«Siamo all’idolatria di una legalità illegale»

Francesco Paolo Sisto scatenato sui processi-gogna, la resa del Parlamento ai giudici, la violazione della Costituzione per “contratto di governo”. E la separazione delle carriere

Articolo tratto da “Lo stato della giustizia”, servizio di copertina del numero di Tempi di luglio 2019. Per leggere gli altri contenuti del servizio, clicca qui.

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«Questo governo sta inoculando virus letali nelle vene della nostra giustizia: ne vedremo gli effetti tra qualche anno». È forte, l’allarme di Francesco Paolo Sisto, avvocato e deputato di Forza Italia da tre legislature, uno dei più seri avversari del populismo giudiziario in Parlamento. Quando ai primi di maggio un avviso di garanzia ha costretto alle dimissioni il sottosegretario leghista Armando Siri, in Parlamento Sisto è stato l’unico ad avere il coraggio di descrivere crudamente quel che accadeva: «È un attacco alle istituzioni», ha detto. «Il governo revoca un sottosegretario solo perché un pubblico ministero lo decide? Davvero vogliamo consentire che la politica e le istituzioni siano nelle mani delle Procure?».

In questa intervista con Tempi, Sisto conferma che quel cedimento è stato solo l’ultimo atto di un lungo dramma: «Ogni giorno di più – protesta il giurista-deputato – la Costituzione diventa un ricettario mutevole, a seconda del menù che si vuole redigere e realizzare. La presunzione di non colpevolezza è una regola che certe volte viene invocata, altre no: nemmeno fosse un indicatore di direzione volatile. Ma se si comincia a decimare un governo sulla base di atti unilaterali di un pm non siamo alla frutta: siamo al, tristissimo, dessert».

Da un mese, poi, è scoppiato lo scandalo del Csm: l’ordine giudiziario vive il suo momento peggiore per perdita di credibilità. Ma Sisto non sembra certo rallegrarsene. Ne trae spunto, al contrario, per cercare di mettere alcuni punti fermi sulla nostra giustizia malata.

Onorevole Sisto, la presunzione d’innocenza è morta?
Di questo “omicidio continuato” della presunzione di non colpevolezza parlò chiaramente Norberto Bobbio 25 anni fa, ai tempi del primo governo Berlusconi. Disse che le informazioni di garanzia venivano trasformate in «sentenze anticipate». Sentenze che ancora oggi hanno una doppia patologia: vengono da un atto unilaterale della pubblica accusa, e sono sempre rafforzate dalla condanna mediatica.

Come giudica la politica giudiziaria di questo governo?
La sua caratteristica prima è l’incostituzionalità: consapevole, e qualche volta addirittura confessata. Basta pensare all’abolizione della prescrizione, che travolge il principio della ragionevole durata del processo, disapplicando brutalmente l’articolo 111 della Costituzione.

Dal gennaio 2020 la prescrizione si bloccherà dopo la sentenza di primo grado: che cosa accadrà?
Che il processo diverrà eterno. C’è un collegamento stretto, un fil rouge tutto patologico, tra la inumazione della presunzione d’innocenza e l’omicidio della ragionevole durata del processo. Un’altra chicca? La Costituzione stabilisce che le pene devono tendere alla rieducazione e «non devono essere contrarie al senso di umanità». Invece questo governo s’è inventato la pena accessoria eterna, senza fine, esattamente il contrario. Un’altra pazzia.

Lei descrive un governo fuori dall’asse costituzionale: davvero è così?
Diciamo che la Costituzione viene costantemente violata sulla scorta di un “contratto di governo”, che è quanto di peggio possa ipotizzarsi se diventa un anomalo impegno “al di là del bene e del male”. Così si devasta l’ordinamento penale. Oggi percepiamo solo il virus, ma gli effetti devastanti li subiremo tra qualche anno. Quando avremo processi senza fine. E il crollo delle garanzie nel nostro sistema giudiziario.

In tutto questo, a fine maggio è scoppiato lo scandalo del Csm.
Sono emerse quelle che io definisco le “miserie umane”.

Cioè?
Ma sì: accanto al disastro dei massimi sistemi, che abbiamo descritto fin qui, ci sono poi le miserie umane: quelle che nascono da conflitti interni, aspettative inappagate. Diciamo che il discorso s’immiserisce e passa a temi minori.

Minori? Ma anche dallo scandalo del Csm emergono disastri paurosi.
Guardi, se c’è qualcosa che mi fa perdere la pazienza è chi si erge a “moralizzatore”. Pensare che il Csm possa essere lontano dalla politica è impossibile: il Csm ha in sé la politica, tenuto conto che i cosiddetti membri laici sono eletti, appunto, dal Parlamento. Non è la presenza della politica a minare la credibilità o la virtù del Csm. Diciamo piuttosto che è grave l’episodio-scandalo: perché non è ammissibile che un imputato partecipi alla decisione sulla scelta del “suo” procuratore della Repubblica, di colui che che guiderà di fatto il suo procedimento [Sisto parla di Luca Lotti, ex ministro del Pd, che interveniva nelle trattative notturne per la nomina del successore di Giuseppe Pignatone a capo della Procura di Roma, ndr]. Su questo non ci sono dubbi. Ma negare che i ruoli disposti con delibera dal Csm vengano discussi in sinergia con la politica “interna” a me pare un’ipocrisia: fra correnti e partiti c’è sempre stato dialogo.

E allora? Non c’è nulla da cambiare?
Sì: serve una riforma strutturale, perché le modalità di reclutamento dei consiglieri del Csm sono esageratamente a disposizione delle correnti, che non devono avere l’influenza invadente che invece oggi hanno. Poi vi è però necessità anche di una riforma etica. Perché potremo scegliere qualsiasi sistema elettorale, dal sorteggio fino alla cooptazione, ma prima ci vuole il recupero di valori etici individuali e poi collettivi.

Indubbio. Però c’è una seria questione di regole, no?
Sì. E per esempio sono favorevole alla riforma che punta a sdoppiare il Csm: un Consiglio per i magistrati requirenti e uno per i giudicanti.

È la proposta di legge d’iniziativa popolare lanciata dall’Unione dei penalisti, e un cavallo di battaglia di Forza Italia.
Servirebbe a evidenziare, anche agli occhi del cittadino, che le due funzioni sono geneticamente diverse: il pm accusa, il giudice giudica. Avere due Csm diversi impedirebbe anche quel che continua purtroppo ad accadere: e cioè che molti giudici diventano pm poco tempo prima delle elezioni del Csm per potervi avere accesso in quota pubblici ministeri. È un’abitudine eufemisticamente sgradevole, che va cancellata.

Ma le toghe, come sempre, sono già sulle barricate. Dicono: «No, si attenta alla nostra indipendenza»…
Nessuno vuole metterla in discussione, l’indipendenza. E per garantirlo ho un argomento convincente.

Quale?
Figurarsi se io punto a creare un pm dipendente dal governo. Se l’immagina che cosa sarebbero dei pm “dipendenti” da un governo come questo? Piuttosto mi tiro un colpo in testa…

Quindi un doppio Csm. Magari con numero pari di membri togati e di laici eletti dal Parlamento. E poi?
Serve chiarezza. Io nella Provvidenza ci credo. Se il Padreterno ci ha dato questa occasione, va tesaurizzata. Dall’Alto, qualcuno ci dice che ci sono zone opache che vanno rese più limpide. E la prima chiarezza è: tu per tutta la vita fai il pm, e un altro per tutta la vita il giudice.

Manca anche trasparenza. Com’è possibile che nessuno sappia perché sono stati esclusi 10 dei 13 candidati alla Procura di Roma? Tra loro c’erano fior di magistrati, ma la quinta commissione del Csm ne ha proposti solo tre al plenum. Ma non sapremo mai il perché: i verbali sono segreti.
C’è un problema di trasparenza relativa, sì. Però ai verbali possono sempre accedere i dieci esclusi.

Non sarebbe meglio che fossero totalmente pubblici?
Mi pare sufficiente che possano ottenerli gli interessati: in commissione si discute anche di procedimenti disciplinari, di fatti spesso privati. La “trasparenza a tutto campo” potrebbe violare la privacy. E il diritto costituzionale alla riservatezza è fondamentale. Meglio puntare a una maggiore rigidità dei criteri per scegliere i magistrati destinati alle cariche direttive.

A che cosa pensa?
È stato praticamente abolito il criterio dell’anzianità di servizio, che però spesso vuol dire esperienza, e per questo forse è stato un errore disapplicarlo. Infatti ha consentito ad alcuni carriere impensabilmente fulminee: il sospetto è che queste carriere abbiano avuto una matrice eminentemente correntizia.

Ci sono altre riforme in itinere: intercettazioni, processo, porte girevoli…
Il problema è che non siamo in un ambiente politico “normale”. Lega e Cinquestelle stanno insieme ma si combattono. E non vogliono migliorare il sistema, puntano solo al consenso. Il fatto che non si voglia intervenire sulle intercettazioni è un’altra follia. Nella riservatezza giudiziaria c’è un buco, ormai vige una consuetudine contraria alla legge. L’unico rimedio: sanzioni adeguate. Il problema è che da una parte il ministro grillino Alfonso Bonafede difende il suo consenso, ma i leghisti Matteo Salvini e Giulia Bongiorno difendono il loro.

Poi c’è la “spazzacorrotti”: la vera negazione di tutte le garanzie.
Va rivista in profondità. Ci sono imputati, anche anziani, che sei mesi prima non sarebbero andati in carcere e ora invece ci vanno, anche in violazione della regola dell’irretroattività della norma penale. Per fortuna la spazzacorrotti è già all’attenzione della Corte costituzionale, ma il problema è che è una legge-totem, su cui i Cinquestelle non ci sentono. Penso a Roberto Formigoni*: se un domani la Consulta stabilisse che la spazzacorrotti è incostituzionale, o se si provasse a modificarla, per i Cinquestelle la sola ipotesi di un’uscita di Formigoni dal carcere sarebbe un dramma. Purtroppo a questo siamo arrivati: all’idolatria della giustizia sommaria finalizzata al consenso. È questo il vero, inimmaginabile disastro.

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*Questa intervista è stata pubblicata sul numero di Tempi di luglio, prima dell’assegnazione di Roberto Formigoni ai domiciliari

@mautortorella

Foto Ansa

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