Nessuno ha «violato il diritto al suicidio assistito» di Mario

I radicali cavalcano il caso del tetraplegico che Speranza ha promesso di aiutare a morire. L'uomo ha denunciato l'Asur Marche ma nessuna azienda sanitaria è tenuta oggi a fare ciò che chiede

“Mario” denuncia l’Asur Marche: lo annunciano in piena raccolta firme per il referendum sull’eutanasia Filomena Gallo e Marco Cappato. «Violato il suo diritto al suicidio assistito» (foto Ansa)

«Violato il diritto al suicidio assistito» e parte la denuncia contro l’azienda sanitaria delle Marche. Lo annuncia Cappato convocando una conferenza stampa in piazza Cavour ad Ancona in piena raccolta firme per il referendum sull’eutanasia: per la prima volta in Italia un cittadino denuncia una pubblica amministrazione per non averlo ancora ammazzato.

Non si tratta di un cittadino qualunque ma di “Mario”: si firma così il 43enne tetraplegico che ha scritto una lettera aperta al premier Draghi e al ministro Speranza rivendicando il diritto a morire «con dignità» e a ricevere dall’Asl il farmaco letale. Pubblicata dalla Stampa il 10 agosto, Speranza aveva risposto il giorno dopo giurando sostegno e sollecitando le Asl ad allinearsi alla ormai famigerata sentenza della Corte Costituzionale sul caso Cappato-Dj Fabo. Non si capisce come dal momento che lo stesso ministro sottolineava l’attuale assenza di «indicazioni chiare e univoche alle rispettive aziende sanitarie locali sulla procedura di applicazione del dispositivo della Consulta», ma tant’è: “torturato” dallo Stato e dal governatore Francesco Acquaroli, che ha responsabilità in materia regionale – questa è la denuncia di Cappato -, Mario ha fatto causa all’Asur Marche per “omissione di atti d’ufficio”. Ovvero, dicono i radicali, «la mancata verifica, da parte dell’azienda sanitaria, delle condizioni cliniche di Mario, volte ad accertare il suo diritto ad accedere al suicidio assistito, così come previsto dalla sentenza della Corte Costituzionale 242\2019 e peraltro già anche ordinato dal Tribunale di Ancona lo scorso 9 giugno».

Mario vuole l’eutanasia in Italia

Tutto ha inizio lo scorso anno, in piena pandemia, quando Mario contatta l’associazione Luca Coscioni: a causa di una lesione del midollo spinale avvenuta durante un grave incidente, Mario vive paralizzato da dieci anni e vuole andare a morire in Svizzera, non gli interessano le cure palliative (lo scriverà sulla Stampa: «Certo, lo so, potrei accedere alle cure palliative come mi è stato ricordato dall’Asur Marche. Ma sarebbe una morte atroce sia per me che per i miei cari. Nel vedere il mio corpo consumarsi lentamente, sotto sedazione, dopo giorni e giorni. Per me è inaccettabile anche il solo pensiero. Perché non posso decidere io della mia vita?»). I radicali gli spiegano allora che grazie alla Consulta è possibile agire «legalmente» anche in Italia, ma l’azienda sanitaria non lo «aiuta». Nonostante l’ultima udienza al tribunale di Ancona abbia confermato il suo diritto a ricevere una visita medica per accertare, previa acquisizione del relativo parere del Comitato etico territorialmente competente, se si trova in possesso dei quattro requisiti richiesti dalla Consulta (essere affetti da patologie irreversibili, provare sofferenza intollerabile, essere tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale ed essere capace di prendere decisioni libere e consapevoli), la procedura non viene attivata.

Segue diffida, inviata il 12 luglio, e in caso di reiterato silenzio, avvisa Mario, procederà in sedi penali. Passa più di un mese, Mario deposita quindi un esposto presso la Procura della Repubblica di Ancona denunciando l’omissione di atti d’ufficio (art. 328 del codice penale che punisce il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo).

Il caso perfetto per Cappato

«Allora cosa vogliamo fare? Attendiamo i tempi dei tribunali o il governo centrale ritiene doveroso garantire l’uguaglianza di applicazione dei diritti a tutti i cittadini?», strilla Cappato. «Di fronte alla violenza perpetrata sotto la responsabilità del presidente delle Marche Francesco Acquaroli contro Mario, chiediamo al governo e al ministro Speranza di agire immediatamente per interrompere la flagranza di reato in corso e attuare un provvedimento di commissariamento della Regione per attuare la visita medica che Mario attende ormai da un anno. In caso contrario, alla responsabilità di Acquaroli si aggiungerà anche quella di Speranza, del premier Draghi e di tutto il governo».

L’emergenza Mario serve alla perfezione la causa del referendum per l’eutanasia legale: c’è la raccolta firme, il paraplegico “torturato” dallo Stato che gli nega il diritto all’autodeterminazione, la prima azienda sanitaria che finisce in tribunale, un ministro che invece di fare il suo (dare seguito ai dettami della Consulta sulle cure palliative come prerequisito di ogni procedura sul fine vita) si impegola vanesio in promesse di morte assistita sui giornali e viene ricattato dai radicali a cui ha tenuto bordone.

Soprattutto, c’è lo stesso metodo dei radicali. Omettere che tra slogan e legalizzazione dell’eutanasia ci sono di mezzo contraddizioni e assurdità giuridiche e costituzionali, omettere che a spianare la strada alla volontà di Mario e al suicidio assistito erogato dalle Asl non basta affatto una sentenza della Consulta.

Nessuna Asl può erogare il suicidio assistito

Lo ricorda a Tempi Alfredo Mantovano, magistrato di Cassazione e vicepresidente del Centro studi Rosario Livatino: «Chiariamo che in questo momento non c’è alcun provvedimento che imponga alle Asl, in seguito alle verifiche richieste, di erogare il suicidio assistito: c’è l’annuncio di un ministro a cui dovrebbe fare seguito un atto amministrativo del ministero. Ma siccome si tratta di un atto che coinvolge direttamente le Asl su una questione tutt’altro che marginale, il provvedimento deve obbligatoriamente passare dalla conferenza Stato-Regioni, e quindi da una intesa con le Regioni stesse. Intesa che non darei affatto per scontato venga raggiunta facilmente su una materia così sensibile».

In altre parole, chiamare in causa una Asl o una Regione per “violazione del diritto al suicidio assistito” (il titolo più usato dai giornali) non ha alcun senso: non c’è alcun provvedimento che le autorizzi ad ammazzare nessuno. «C’è una sentenza della Corte costituzionale che sollecita il Parlamento a dare attuazione alle sue direttive, ma la discussione in Commissione giustizia alla Camera di un testo unificato sull’eutanasia, relatore l’onorevole Bazoli del Pd, è ancora in corso: non è nemmeno iniziato l’esame e voto dei singoli articoli. In pratica non esistono fonti di riferimento».

Non basta la sentenza della Consulta

Di più: come abbiamo più volte sottolineato, la sentenza della Corte costituzionale interviene su un caso concreto, il processo a carico di Marco Cappato, fissa le condizioni di non punibilità ma richiede una fase attuativa, «per esempio affida un ruolo che può essere anche decisivo al comitato etico territorialmente competente che dovrebbe rilasciare un parere vincolante. Peccato che in questo momento ci siano, sovrapposte tra di loro, tre distinte discipline di comitati etici e tre distinti comitati etici, ciascuno dei quali fa capo a queste discipline. Il ministero della Salute sta lavorando per riportare ordine ma in questo momento non si capisce quale comitato dovrebbe essere deputato a rilasciare il parere una volta data piena attuazione legislativa al parere della Consulta. Per non dire del tema del rispetto della coscienza del medico, sottolineato dalla Consulta, poiché nessun sanitario può essere obbligato a togliere la vita».

Non c’è un quadro normativo: non siamo nel campo della richiesta di un intervento domiciliare da parte di un malato o di omesso intervento terapeutico, ma di omessa attivazione di procedura di fine vita. E qui, ripetiamolo, il quadro normativo non esiste. Cappato ha dissuaso Mario dall’andare a morire con l’eutanasia in Svizzera, «noi – ha proclamato il radicale – l’abbiamo messo a conoscenza della sentenza della Corte e della possibilità di agire legalmente nel suo paese». Sentenza che – ripetiamolo anche questo alla luce della lettera pubblicata dalla Stampa e della denuncia intentata contro una azienda sanitaria -, ha indicato come prima condizione per attuare una procedura di fine vita l’erogazione di cure palliative.

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