Cade anche il totem della “scelta”, i dem tifano “aborto per tutti”

Non chiamateli più "pro-choice", per i liberal americani «è ora di usare un linguaggio che rifletta ciò per cui lottiamo: accesso alle interruzioni di gravidanza per tutti, senza giustificazioni»

Marcia per l’aborto sul ponte di Brooklyn (foto Ansa)

Gli abortisti americani danno pienamente ragione agli antiabortisti: non si può essere a favore della libertà di scelta, ma di una scelta sola, l’aborto. Lo ha scritto nero su bianco il Pro-Choice Caucus della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti d’America: con la Corte Suprema “pronta a ribaltare la Roe v. Wade” e il Senato che ha bocciato il provvedimento per codificare la sentenza in legge federale, bisogna dire le cose come stanno, cioè come le scrive Planned Parenthood in un documento mutuato in una sorta di nuove linee guida del linguaggio democratico.

Addio “pro-choice”, benvenuti “pro-aborto”

Secondo il colosso dell’aborto, “pro-choice” è infatti una pecetta inadeguata, giudicante e disonorevole. Perché? Riassunto del ragionamento: non solo si dice “pro-choice” anche chi è favore dell’aborto solo in determinate situazioni, ma «”scelta” presuppone che tutti possano abortire, e che qualcuno debba solo scegliere se lo vuole o meno. Non tutti possono abortire quando lo vogliono». Il riferimento è alle donne di colore e a chi vive in stati con leggi restrittive sulle interruzioni di gravidanza, a chi non può prendere un permesso da scuola o dal lavoro, a chi non può raggiungere cliniche con mezzi di trasporto propri o chi non ha abbastanza soldi per permettersi l’intervento: «Non possiamo lottare solo per il diritto di scegliere l’aborto», ma perché «chiunque possa abortire, quando e dove ne ha bisogno», «senza giudizi sociali».

Inoltre, la parola “pro-choice” facendo riferimento a una “scelta” contribuisce ad aumentare stigma e vergogna di chi abortisce, sottendendo che «l’aborto non è una cosa buona, che l’aborto legale è importante ma in qualche modo cattivo, indesiderabile», eppure «almeno una persona su quattro che può rimanere incinta abortirà durante la sua vita e dovrebbe essere sostenuta e celebrata». Morale, basta con i distinguo e il safe space in cui si rifugiano tanti “pro-choice” poco abortisti: «È ora di usare un linguaggio che rifletta ciò per cui lottiamo: accesso all’aborto per tutti, senza giustificazioni».

Aborto per tutti e senza giustificazioni

Detto fatto, il Pro-Choice Caucus ha diffuso tra i democratici una serie di raccomandazioni a tema Roe e aborto: sostituire la parola “scelta” con “decisione”, gravidanza “indesiderata” con “imprevista”, “obiezione di coscienza” con “negazione delle cure”, “aborto clandestino” con “assistenza sanitaria criminalizzata”. Soprattutto, l’ordine di scuderia è soppiantare i vecchi slogan sull’aborto “safe, legal, and rare” (sicuro, legale e raro) con il molto più democraticamente aggiornato aborto “safe, legal and accessible”, cioè accessibile a tutti, su richiesta e senza giustificazione. In altre parole, passare dal sostegno alla scelta personale (lungamente raccontata come dramma, decisione sofferta, cicatrice indelebile) al tifare aborto per tutti,

Nella neolingua adottata dagli abortisti lecito è infatti – lo abbiamo scritto tante volte –, parlare di aborto quale “dramma” solo in riferimento alle condizioni di accessibilità. Se non è facile, se esiste l’obiezione di coscienza e le cliniche fanno meno aborti, allora sì che l’aborto è un dramma, su cui pesano stigma, omertà, silenzio. Altrimenti? Altrimenti deve essere semplice come andare dal dentista o come bollire un uovo. Basta un click e fine delle ipocrisie.

Fine dell’ipocrisia (e del bambino di cui parlare)

Non fossero servite le performance degli attivisti che per la festa della mamma si sono messi a fracassare la testa di finti bambolotti “abortiti” davanti alle chiese, lanciare molotov nei Centri di aiuto alla vita, o irrompere vestiti da ancelle durante le messe, l’abortista è nudo e senza paravento: non c’è più nemmeno un “mio corpo”, una “mia scelta”, una “mia coscienza” da difendere dalle ingerenze del governo, nessun “travaglio personale” o “male necessario” nel quale fare allignare una supposta libertà di scegliere se dare o togliere la vita.

Non c’è – nella nuova, democratica, lotta per conferire al genere umano lo status di consumatore e alfiere dell’aborto senza se e senza ma – nemmeno più un bambino, un feto, un ricciolo di materia umana di cui parlare.

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