Riforma della scuola? Toccafondi: «Meglio deciderla insieme agli studenti che scriverla a Roma a tavolino»

Il sottosegretario all'Istruzione rilancia l'idea del premier Renzi di un patto educativo con chi vive la scuola in prima persona. E promette: «Rafforzeremo l'alternanza per aiutare i nostri ragazzi a imparare facendo»

La riforma della scuola che il premier Renzi aveva promesso di presentare a fine agosto, dichiarando a Tempi che «sulla scuola vi stupirò», non si è fatta. Ieri sono state pubblicate sul sito governativo passodopopasso.italia.it le 136 pagine di un pdf che spiega, in 12 punti, qual è l’universo di idee su cui il governo intende aprire un confronto con studenti, genitori, professori, presidi, istituti e associazioni, al fine di elaborare i contenuti della riforma che dovrà vedere la luce non prima del 2015. Alternanza scuola-lavoro, autonomia scolastica e reclutamento dei docenti sono solo alcuni dei contenuti su cui, tra il 15 settembre e il 15 novembre, ci sarà tempo per far pervenire al ministero dell’Istruzione eventuali contributi. Poi, a partire da gennaio 2015, ha spiegato Renzi in un video, il governo comincerà a scrivere i provvedimenti legislativi necessari a cambiare la scuola. Al sottosegretario Gabriele Toccafondi, che ha le deleghe su scuola paritaria e istruzione tecnica e professionale, tempi.it ha chiesto di spiegare il perché di questa decisione e anticipare quali sono i punti su cui il governo vuole intervenire.

Toccafondi, come mai la riforma della scuola è stata posticipata di un anno?
Personalmente ritengo positivo il fatto che la scuola italiana non venga stravolta per l’ennesima volta in corso d’opera, quando l’anno accademico è già cominciato; è molto meglio che si apra alla possibilità di un dialogo e un confronto serio con chi la scuola la vive in prima persona tutto l’anno, soprattutto i ragazzi che la frequentano. Perché non dobbiamo mai dimenticarci che la scuola è fatta innanzitutto per loro.

In questi due mesi su cosa avverrà il confronto?
Su tutto ciò che, a partire dai 12 punti, può contribuire a disegnare la scuola che verrà. Così che il Parlamento possa valutare per tempo entrambi gli aspetti su cui dovrà prendere delle decisioni, quello normativo e quello economico. E le assicuro che è molto meglio fare così che non sentire tutti senza mai decidere niente oppure, al contrario, prendere decisioni in una stanza chiusa dentro il ministero senza, però, interpellare nessuno.

Nel merito, cosa dovrebbe cambiare?
Per quanto mi riguarda, credo che non sia più possibile rimandare decisioni che promuovano con forza l’alternanza tra scuola e lavoro, soprattutto negli istituti tecnici e professionali (che sono il 50 per cento degli alunni iscritti alla scuola secondaria superiore), dove c’è maggiore bisogno di imparare “facendo”. È un tema rivoluzionario, che, purtroppo, in Italia ha sempre incontrato una forte resistenza ideologica, soprattutto a sinistra, che ci è costata la situazione attuale in cui il mondo dell’istruzione e quello del lavoro non dialogano più; tanto che la disoccupazione giovanile è superiore al 40 per cento, ma al contempo ci sono aziende con non trovano nel mercato quei profili per cui, invece, vorrebbero assumere giovani.

Come si aiuta un giovane a studiare per trovare lavoro?
Con l’alternanza tra scuola e lavoro, che oggi, purtroppo, negli istituti professionali e tecnici corrisponde, nel migliore dei casi, a 90 ore solo al quarto anno e che noi, invece, porteremo a 200 ore per anno obbligatorie negli ultimi tre anni di scuola. Perché un ragazzo impara un mestiere solo se vede come si usa il tornio, come si cucina in un ristorante, come si coltiva la terra o cosa fa un meccanico in officina. Altrimenti, c’è il rischio che abbandoni deluso il percorso intrapreso, solo perché si immaginava una cosa diversa. E il 30 per cento di chi frequenta istituti tecnici abbandona. Un conto, infatti, è raccontare come si fa una cosa, un altro, è vederlo direttamente coi propri occhi. È lo stesso motivo per cui abbiamo in cantiere un “Piano Marshall” per dotare le scuole di laboratori funzionanti. Che serviranno non solo ai professionali ma anche ai licei.

Nelle linee guida si legge l’obiettivo di «realizzare pienamente l’autonomia scolastica», ma le modalità con cui si vogliono reclutare i docenti hanno già suscitato qualche perplessità. Come mai?
Il confronto con le scuole servirà a discutere anche di questo, ma non dimentichiamo che il mondo non è mai né tutto bianco né tutto nero. Sono legittime le aspettative tanto di chi è da una vita che insegna come precario e a giugno non ha mai certezze per il settembre successivo, quanto quelle di chi sta finendo l’università desidera insegnare in una scuola. Con i 12 punti avviamo un confronto anche con loro per dargli una risposta. Quanto all’autonomia, pensavo che fossimo all’anno zero e invece, girando per le scuole, mi sono accorto che sono già tanti gli istituti che approfittano al meglio degli spazi di cui già dispongono, soprattutto grazie all’impegno extracurricolare di alcuni docenti. Dobbiamo partire da qui, dalle esperienze che funzionano per aiutare la scuola a funzionare meglio e fare sempre di più per i nostri ragazzi.

@rigaz1

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