Renzi e Berlusconi? Hanno solo imparato a “masticare il chewing-gum”. Resta tutto uno Stato da riformare

Bene l'intesa sulla legge elettorale che interrompe una spirale terribile. Ma uno degli errori più gravi in politica è scambiare l'inizio di un percorso per la sua fine: tutte le riforme decisive sono ancora da fare

L’intesa di Matteo Renzi con Silvio Berlusconi – perdipiù nella sede del Pd – è stata per una nazione profondamente sbandata una vera boccata d’ossigeno. Però si tratta di una boccata che se non accompagnata da scelte conseguenti, non eviterà nuove asfissie alla povera Italia.

Dare una qualche base di solidità alla discussione sulle regole istituzionali dopo che si è considerata indifferente politicamente la decadenza dal Senato di Berlusconi (mentre si è sfiorata la crisi per “le offese” a Nunzia De Girolamo), dopo che un governo nato per cambiare la Costituzione si è occupato solo di sopravvivere e l’Alta corte ha delegittimato politicamente il Parlamento, era necessario per garantire una minima resistenza delle istituzioni democratiche. Però la crisi è davanti a noi: così il tragico slittamento di poteri determinato dalla magistratura combattente e la derivata debilitazione del circuito sovranità popolare-sovranità nazionale che ci rende ostaggi di eccessive influenze straniere. E ciò proprio quando – dalla discussione sul sistema bancario alle trattative sulla gestione dei debiti statali, fino alla cupidigia con cui si guarda al nostro sistema industriale e al nostro “risparmio” – la tendenza ad avere ai tavoli un’Italia sempre più “debole” sarà irresistibile.

Dunque è un gran bene che si sia interrotta una spirale terribile, ma non ci si può illudere di avere risolto le questioni di fondo. Il porcellum rimodellato di Berlusconi e Renzi può essere una scelta necessaria per fronteggiare l’emergenza sconsideratamente imposta dalla Corte costituzionale, abolire il Senato e sostituirlo con una Camera delle autonomie va benissimo, anche se definire nuovi equilibri istituzionali senza discutere pesi e contrappesi, senza analisi culturale dei problemi in campo (e qui la colpa del governino è gravissima) non è la via migliore. Tagliare qualche costo fisso e potere anomalo delle regioni aiuta a recuperare rapporti con l’opinione pubblica e col sistema produttivo ma non scioglie alcuna questione strutturale.

Insomma a chi si chieda se oggi sarà più facile contenere iniziative squassanti della magistratura combattente (metti che venga in mente di arrestare Berlusconi o di chiudere l’Eni, tanto per fare un esempio) io non mi sentirei di rispondere positivamente. In effetti è solo il circuito popolo-assemblee elettive che spaventa un potere irresponsabile però non in grado di fare un colpo di Stato, quindi intento a una destabilizzazione continua ma virtualmente esposta al malumore popolare: se si esagera, ti separano le carriere e il tuo blocco corporativo si incrina.

E nemmeno vedo nascere un assetto che possa trattare con una qualche autonomia quando Washington e Berlino si presentano unite (avere come ministro dell’Economia un Sancho Panza del pur meraviglioso ma pur sempre garante di equilibri globali – al di là della sovranità italiana – Mario Draghi, illustra da sé quanto siano minimi i nostri spazi di movimento), né che sappia utilizzare le contraddizioni tedesco-americane per costruire un equilibrio meno automaticamente gerarchizzato. Non peseremo mai come Madrid o Varsavia (non dico Parigi o Londra) senza un’adeguata sovranità nazionale. Nelle condizioni attuali il nostro ruolo resterà come negli ultimi tre anni quello di postulanti la cui unica arma è che una catastrofe italiana ne provocherebbe una globale. E quindi “la Corte” (americana, tedesca o tedesco-americana) “sarà clemente”, subordinandoci ma garantendoci/si la sopravvivenza.

Il varco è aperto e va sfruttato fino in fondo
Non c’è niente di più stupido in politica che sprecare i varchi che si aprono. Ma nella scala della stupidità viene subito dopo lo scambiare l’inizio di un possibile percorso per la sua fine: proprio perché la scelta renzian-berlusconiana è felice (ma lo furono anche il tentativo Maccanico nel 1996, la Bicamerale dalemiana nel 1998, l’apertura fassiniana nel 2001, l’apertura veltroniana nel 2008, l’atteggiamento non antiberlusconiano di Mario Monti nel 2011, il governo di unità nazionale nella primavera 2013) bisogna mantenere l’iniziativa avendo una linea sulla contingenza (come gestire lo sbandamento irrefrenabile del governo Lettino, nuove eventuali aggressioni della magistratura combattente, inasprimenti degli eccessi di influenza straniera) e una di prospettiva (presidenzialismo, federalismo, nuovo assetto dell’Europa, riforma della giustizia, tetto alla pressione fiscale: tutte questioni decisive che rimangono di fronte a noi).

Quel genio politico che è stato Lyndon Johnson amava dire del repubblicano Gerald Ford, successore nel caos post-Watergate alla Casa Bianca di un altro genio politico come Richard Nixon, che non riusciva a masticare chewing-gum e camminare insieme. In ricordo di questa intramontabile battuta si può dire che ieri Silvio e Matteo hanno dimostrato di saperci fare con la gomma americana, adesso provino che sanno anche come tentare due passi in avanti.

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