Per certi fanatici la cattura del re dei boss è solo un altro motivo per attaccare il governo

Il direttore del Fatto quotidiano Marco Travaglio (foto Ansa)

Su Startmag Francesco Damato scrive: «Ai lettori in buona parte grillini che pendono dalle sue riflessioni il direttore del Fatto quotidiano ha oggi raccomandato di non affrettare sollievi per l’arresto di Messina Denaro perché solo “nei prossimi mesi, dalle sue risposte ai pm e dalle politiche del governo su 41-bis ed ergastolo ostativo, si capirà se la sua cattura è stata preceduta da trattative con chi ha più interesse al suo silenzio: i referenti istituzionali”. Eppure ad altre “trattative” sono stati intitolati processi che dovrebbero fare arrossire, per i loro risultati, inquirenti e cronisti fiancheggiatori. Nel caso ancora fresco della cattura di Messina Denaro il Fatto ha già indicato chi dovrebbe arrossire, e magari dimettersi o essere rimosso: il guardasigilli Carlo Nordio per il proposito di limitare e disciplinare meglio le intercettazioni. Delle quali evidentemente non si abusa mai abbastanza, visti i miracoli che possono produrre fra tante immondizie».

C’è in Italia un nucleo politico, ma ancor più mediatico (il pur mediocre Marco Travaglio è un gigante rispetto a Beppe Grillo e ancor più a Giuseppe Conte, forse solo Rocco Casalino è più abile di lui), impegnato in un attacco fanatico al governo Meloni. Non sarebbe in sé un dramma: una decente democrazia non ha problemi a convivere con aree di fanatismo. Ma il fatto è che noi non abbiamo una decente democrazia, viviamo in un sistema con equilibri istituzionali contraddittori e traballanti, e abbiamo un ampio arco di forze (a partire innanzi tutto dall’area “compradora” della nostra borghesia) restie ad accettare la centralità del voto popolare come elemento fondamentale della legittimità di parlamento e governo.

* * *

Su Formiche Giovanni Guzzetta dice: «Il problema della giustizia in Italia è un dramma nazionale non solo per la strutturale incapacità di offrire le risposte che da essa i cittadini si aspettano, ma perché rappresenta un paradigma dello scollamento tra il discorso pubblico, intriso di retorica ideologica, e la realtà dei problemi per affrontare i quali sarebbero necessarie risorse economiche, infrastrutturali, deontologiche che non sono presenti. La vicenda della “spazzacorrotti” è appunto emblematica, perché ruota tutta intorno ad una semplificazione ideologica che divide il mondo in giustizialisti e garantisti e sulle quali la politica affannosamente cerca di inseguire il consenso. Ciò che è accaduto in questi anni sul tema della prescrizione sin dalla riforma Orlando e sul quale fior di giuristi a cominciare da Giovanni Fiandaca, per nominarne uno su tutti, hanno disperatamente cercato di risvegliare il sentimento di civiltà giuridica, è solo un esempio. È dunque abbastanza inutile e frustrante entrare nei dettagli. Il problema è molto più profondo. È necessario spezzare la spirale della banalizzazione ideologica dello scontro, funzionale solo a nascondere l’impotenza decisionale ad affrontare i problemi strutturali. Se non matura un approccio diverso, fondato su pragmatismo e concretezza, se non si ha il coraggio di trasformare in decisioni concrete e coraggiose i princìpi costituzionali quali l’effettività della tutela, la ragionevole durata dei processi, un’idea condivisa su quale sia l’obiettivo principale della funzione penale e sanzionatoria, ogni ragionamento è destinato a risolversi nell’ennesima polemica».

Le sacrosante riflessioni di Guzzetta vanno accompagnate, tenendo conto delle fragilità sia pure relative della nostra democrazia, dallo sforzo di costruire un clima costituente, uno sforzo da rivolgere innanzi tutto al Pd per isolare gli agenti del caos di cui si scriveva prima.

* * *

Su Affaritaliani si scrive: «Torna un po’ di sereno tra Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron dopo la crisi e le polemiche sui migranti. “Cordiale conversazione telefonica tra il presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron”, annuncia una nota di Palazzo Chigi, “nel corso della quale sono stati affrontati i principali temi al centro dell’agenda europea e internazionale”».

Oggi, qui da noi, si è imposta una “pausa” al commissariamento, dall’alto e da fuori, della nostra politica e questo sta pagando in politica estera, anche nei rapporti con Macron. Questa “novità” dell’autonomia politica dell’Italia diventa cruciale sia nella partita dei rifornimenti energetici (in questo senso Roma sta aprendo uno strategico fronte mediterraneo) sia nelle prossime decisioni dell’Unione Europea. Diversi “tifosi del caos” spiegano che il ritorno del dialogo con la Francia è frutto essenzialmente della diplomazia di Sergio Mattarella. Che il presidente della Repubblica abbia avuto un ruolo rilevante nella ripresa dei rapporti tra Parigi e Roma è senza dubbio vero. Però l’Italia oggi è protagonista politica di un dialogo che prima era garantito solo da singole prestigiose personalità e questa nuova situazione offre molte più carte per difendere i nostri interessi nazionali fondamentali.

* * *

Sulla Zuppa di Porro Stefano Zecchi scrive: «Qualche caro amico mi ha chiesto che cosa un professore di filosofia estetica possa fare nel Consiglio regionale della Lombardia. Insomma, mi si presenta la fatidica domanda: “Perché mai ti candidi?”. Approfitto dell’amicizia che mi lega a Nicola Porro per spiegarlo. Stiamo affrontando una stagione di grandi cambiamenti. La globalizzazione rende la competizione sempre più tumultuosa, la città come fenomeno sociale, caratterizzato in gran parte del Novecento da quella grande conquista di libertà di movimento che è l’automobile, è di fronte all’esigenza di ripensarsi: la cosiddetta riconversione ecologica comporta non solo nuove visioni ma anche nuovi investimenti in strutture ed edifici. Queste scelte, che enfaticamente potremmo chiamare epocali, implicano diverse evidenti competenze, come quelle economiche, tecnologiche, finanziarie, umanitarie talvolta, però si trascura un principio essenziale: la Bellezza. In breve, troppo spesso si dimentica l’anima ambrosiana che guarda alla bellezza, quella che ha edificato basiliche in uno dei più affascinanti stili romanici che possieda l’Italia, architetture civili nella geniale visione leonardesca e la grande arte che si sviluppa grazie al governo illuminato dei Visconti e degli Sforza. Tutto questo avviene nello spirito di una Bellezza Vivente».

Il dibattito sulle prossime regionali è dominato, grazie soprattutto a molti dei quotidiani più diffusi, da una nuova ondata di insaputelli: “Ero nel centrodestra ma a mia insaputa”, “Ero leghista ma a mia insaputa”, “Ero dei 5 stelle ma a mia insaputa”, “Ho fatto una legge sulla sanità regionale ma a mia insaputa”, “Ero nel Pd ma a mia insaputa”. Oltre a questi candidati insaputelli, c’è però anche chi cerca di portare un contributo di idee. Quelle del mio vecchio amico Zecchi mi sembrano interessanti.

Exit mobile version