Non chiamateli più errori giudiziari. Sono le vittime del moralismo giustizialista

Ricordate i titoli d’apertura dei giornali, dei tg, i servizi radiofonici sul “ministro del Rolex”, il fango, la merda, le troupe tv appostate sotto casa in attesa di riprendere il reprobo e suo figlio? Il "caso Lupi" e tutti gli altri

Articolo tratto dal numero di dicembre di Tempi.

Maurizio Lupi è in buona compagnia, purtroppo. A quattro anni di distanza, dopo quattro arresti, cinquantuno indagati, seicento articoli – solo per stare a quelli apparsi sui giornali – nei sette giorni caldi del presunto scandalo, carriere rovinate, vite imprigionate, un’azienda leader nel suo campo che ha dovuto chiudere e mandare a casa cinquanta dipendenti, dopo che già la procura di Firenze, da cui partì tutto, aveva archiviato, anche quella di Milano (e siamo ad aprile 2019, ma con la notizia divulgata solo a novembre) archivia, manda in soffitta, scusate era tutto sbagliato, mica abbiamo fatto apposta, è che a Firenze hanno allegato agli atti un’intercettazione che è stata interpretata al contrario, succede, che vuoi che sarà mai?, arrivederci, tanti saluti e grazie.

Grazie un corno. Ricordate i titoli d’apertura dei giornali, i titoli d’apertura dei tg, i servizi radiofonici sul “ministro del Rolex”, il fango, la merda, le troupe televisive appostate sotto casa in attesa di riprendere il reprobo, il corrotto, lui e suo figlio? Ricordate le dimissioni, volontarie, da ministro anche se non era indagato solo per proteggere sé e la sua famiglia dalla gogna? Ricordate?

Maurizio Lupi è in buona compagnia, purtroppo. In quella sempre più folta dei Calogero Mannino (ventotto anni in tribunale), delle Ilaria Capua, dei Mario Conte, degli Antonio Lattanzi, dei Silvio Scaglia, dei Mario Rossetti, dei Guido Bertolaso – e dei Roberto Formigoni e Ottaviano Del Turco, per altri versi. Adesso Lupi è nella compagnia dei “perseguitati”, delle vittime della malagiustizia, degli errori giudiziari.

Errori giudiziari un corno, così la si fa facile. Quando la vicenda scoppiò, Lupi era descritto sui giornali come uno «spregiudicato militante ciellino», per dirla alla Francesco Merlo (questo cattolico senza Cristo, cui è rimasto solo il moralismo di un mullah talebano), che doveva «dimettersi da padre» e doveva smetterla di favorire la «Compagnia delle Opere» che con «quel gran fumo di clericalismo simoniaco, presunte truffe, denunzie, scandali, ricatti, minacce e processi penali ha accompagnato il miracolo economico di Cl».

Ercole Incalza, l’uomo che si è letteralmente inventato l’Alta velocità in Italia, era descritto sui giornali come «il ras del ministero di Porta Pia» (Il Fatto), «il grande boiardo di Stato» (La Stampa), «il Papa di tutti i funzionari, dirigenti, soprintendenti e Commissari Supereroi» (sempre Merlo su Repubblica). Errori li chiamate? Il giorno delle dimissioni di Lupi, in aula alla Camera il grillino Alessandro Di Battista pronunciò un intervento durissimo contro le «casse dello Stato svuotate da malfattori, appalti truccati concessi agli amici, siano essi mandanti ciellini o coop rosse» e attaccò Lupi per «l’ostentazione di fede cristiana e comportamenti farisei, di adunate di Cl e ristrette spartizioni di potere».

La verità è che non si tratta di malagiustizia, ma di strategia pianificata a tavolino, di lotta politica con armi non politiche e non convenzionali – la stampa e le indagini – usate solo per eliminare avversari che non si riescono a battere nelle urne (bussare a casa Berlusconi per chiedere conferma).

Maurizio Lupi è in buona compagnia, purtroppo, perché adesso anche lui fa parte della schiera di quelli che possono dire: se leggevate le carte, quelle stesse carte che usavate per sbattermi come un mostro in prima pagina, era tutto chiaro. Era chiaro sin dal marzo 2015 che non c’erano tangenti, non c’era corruzione, non c’erano intercettazioni che incriminavano me, i miei collaboratori, i dirigenti del ministero.

Non si può sempre voltare pagina, far finta di niente, sperare che non tocchi a noi (prima o poi, toccherà anche a noi), mandare al potere quelli che fanno la spazzacorrotti, aboliscono la prescrizione, aumentano le pene a dismisura e senza criterio. Eppure non servirebbe molto per cambiare aria, basterebbe tornare alla saggezza illuminata di un Cesare Beccaria che ben sapeva che «il giudice che si identifichi con l’accusatore diviene nemico del reo, perché non cerca la verità del fatto, ma cerca nel prigioniero il delitto».

Foto Ansa

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