Noi «deficienti» che parliamo del carcere ai tempi del coronavirus

Italia pluripregiudicata in Europa per le condizioni dei detenuti. Bonafede immobile. Davigo se la prende con chi «fornisce i dati». Io vedo magistrati in lacrime

Cronache dalla quarantena / 11

In questi giorni le commissioni del Consiglio comunale milanese si svolgono, come da decreto Conte, in modalità “da remoto”, attraverso collegamenti in via digitale, grazie all’encomiabile applicazione di impiegati e funzionari che presidiano fisicamente ciò che ai consiglieri è dato di frequentare virtualmente.

Ieri mi ha impressionato la commissione Carceri. Dove dalle audizioni di Giovanna Di Rosa, già membro del Csm e ora presidente del tribunale di sorveglianza di Milano, del magistrato Francesco Maisto, già presidente del tribunale di sorveglianza di Bologna e ora garante dei detenuti, degli avvocati Vinicio Nardo, presidente dell’ordine degli avvocati di Milano, e Andrea Soliani, presidente del consiglio direttivo della Camera penale meneghina, abbiamo appreso che la condizione dei detenuti al tempo del coronavirus è appena un poco inferiore a quello degli scimpanzé dello zoo di Berlino.

L’Iran, che è l’Iran, un paese in cui le condanne a morte vengono eseguite per tramite impiccagione in piazza – solitamente appendendo i malavitosi sulla cima delle gru usate per la costruzione degli edifici – ebbene l’Iran che è l’Iran, ha rimesso in libertà 70 mila detenuti per evitare la contaminazione nelle carceri. Il nostro ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, invece, che non è neanche un mullah, dopo aver inchiodato per mesi il governo a sigillare manette e a tifare galera, abolizione della prescrizione e microspie fin sotto le lenzuola, si è fatto trovare totalmente impreparato – come l’intero governo d’altronde – a mettere non diciamo “in sicurezza”, ma in un minimo di contenimento sanitario, l’orrido circuito delle carceri italiane.

Non esiste nell’Italia del giustizialismo un’idea, un tavolo, un piano, che affronti il tema dei reclusi al tempo di una feroce pandemia. Bonafede non ha messo ai domiciliari praticamente nessuno. Ha fatto trasferire i ribelli delle rivolte. Non ha messo in campo nessun intervento serio. È rimasto fedele alla linea (Davigo) secondo la quale non esiste nessun sovraffollamento carcerario. Sebbene la Corte dei diritti umani del Consiglio d’Europa (Cedu) ci abbia condannato per il sovraffollamento delle carceri e l’Italia resti l’unico paese europeo sanzionato dal diritto internazionale per il suo circuito giudiziario incivile. Ma secondo Piercamillo Davigo – per il quale mi sono permesso ieri di proporre alla commissione Carceri di farsi promotrice di un esposto all’autorità giudiziaria – «siamo l’unico paese europeo condannato per sovraffollamento penitenziario, perché abbiamo dei deficienti che forniscono questi dati».

Così ieri abbiamo dovuto vedere piangere un magistrato presidente del tribunale di sorveglianza.

«Sono saltate tutte le regole, non ce la facciamo più, è diventato impossibile dare risposte adeguate alle giuste richieste di tanti detenuti che non possono vedere i famigliari e temono il contagio».

Piangere dalla disperazione perché di fatto, nonostante il prodigarsi di tutti – magistrati, funzionari, guardie penitenziarie – dalla cima di un ministro importante, non ci sono idee, direttive, misure adeguate alla spaventosa tragedia in atto.

Lo so che è impopolare parlare di carceri. Però non devo andare al governo, io. Non devo andare tutte le settimane a predicare a La7 le prediche di mastro Lindo. Non devo guadagnarmi da vivere insegnando come ci si masturba al tintinnar di manette. Dopo di che, sono persuaso che con la stessa misura con cui abbiamo giudicato saremo giudicati.

Per tornare alla commissione, ieri il garante Maisto ha ribadito che «le misure del governo per le carceri al tempo del coronavirus sono largamente insufficienti». Il magistrato Di Rosa ha implorato tra le lacrime di trovare il modo di ospitare in ambienti esterni al carcere almeno quei detenuti che possono usufruire dei benefici di legge. E visto che i detenuti non posso più avere colloqui con i familiari, è concepibile che seguitino a pagare le telefonate? Amico Sergio Scalpelli, pensateci voi di Fastweb, regalate ai galeotti un po’ di traffico telefonico, umiliate quei neanche all’altezza morale e politica dei mullah iraniani.

Ancora. La dottoressa Di Rosa ci ha implorato: «Perché non requisire alcune strutture alberghiere per alleggerire per qualche mese gli istituti di detenzione?». Toc toc, c’e qualche albergatore che si offre di sua sponte, visto che governo e parlamento si sono liquefatti in mano? Non è cambiato nulla dall’appello rivolto al ministro il 15 marzo scorso da magistrati e lavoratori dei penitenziari. «Le carceri versano in situazione di gravissimo collasso» ed «emergenziale mai vista prima», nella quale un focolaio di infezione sarebbe «ingestibile» dal punto di vista sanitario, favorirebbe nuove rivolte dei detenuti che «potrebbero crescere senza possibilità di contenimento», mentre il personale e gli agenti della polizia penitenziaria sono ormai allo «stremo».

I detenuti in Lombardia sono circa 8.500, per una capienza carceraria di 6.200. Complimenti al “social distancing”.

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Ps. Informazione di servizio per il dottor Piercamillo Davigo, illustrissimo presidente di Corte di cassazione nonché famosissimo opinionista televisivo. Gli ultimi dati forniti dai “deficienti” (fonte: Il Dubbio, quotidiano telematico delle Camere penali) rappresentano quanto segue del circuito penitenziario italiano:

«Attualmente ci sono 60.971 detenuti, quando le carceri italiane ne possono ospitare 50.692. Quindi sono ben 10 mila e 279 i detenuti in più. In alcune carceri si arriva a un sovraffollamento del 214%. Altro dato che sfata il luogo comune che i condannati non vanno in carcere per condanne brevi è che al 13 gennaio risultano 23.024 detenuti che stanno scontando una pena inferiore ai tre anni. Altro dato che colpisce è la presenza di ben 1.572 persone condannate ad una pena inferiore ad un anno. Sono 3.206, invece, le persone che hanno una pena inflitta da uno a due anni. Resta il dato oggettivo che attualmente ci sono più di 23 mila persone candidate ad una misura alternativa, ma nonostante ciò rimangono dentro».

Foto Ansa

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