«Per unificare la Libia bisogna offrire degli incentivi. Il governo Onu non può funzionare»

Intervista al generale Vincenzo Camporini, vicepresidente dell'Istituto affari internazionale ed ex capo di Stato maggiore della Difesa: «L'intervento armato sul terreno può essere fatto solo da libici»

Matteo Renzi assicura che l’Italia non invaderà mai la Libia e non invierà soldati fino a quando non ce lo chiederà un governo di unità nazionale. Ma l’accordo tra i Parlamenti di Tripoli e Tobruk, che l’Onu caldeggia e aspetta da oltre un anno, è ancora lontano e «in ogni caso non sarà risolutivo». A sostenerlo è Vincenzo Camporini, oggi vicepresidente dell’Istituto affari internazionale, in passato capo di Stato maggiore dell’Aeronautica (2006-08) e capo di Stato maggiore della Difesa (2008-11). A tempi.it il generale spiega che «bisogna offrire degli incentivi per far nascere in Libia l’interesse all’unità e non si possono immaginare interventi armati non fattibili».

pubblicita_articolo allineam=”destra”]In Libia regna il caos: l’Isis avanza e l’Italia rimanda qualunque decisione sul da farsi alla creazione di un governo di unità nazionale. Questo governo vedrà mai la luce?
Sono molto scettico. Unificare il paese e le tribù libiche sotto un unico governo è un’impresa molto difficile. Diventa praticamente impossibile se questa unità viene invocata con l’intervento di un diktat esterno.

Ad esempio da parte dell’Onu?
Ad esempio.

C’è un modo alternativo di riportare l’unità in Libia?
Uno ci sarebbe, anche se richiede molto tempo e molta pazienza. Bisognerebbe riunire attorno a un tavolo tutti gli attori politici della Libia, non solo Tripoli e Tobruk. Anche Zintan, anche Misurata, anche le tribù berbere del sud, anche i clan e le strutture di tipo urbano, perché ormai molte città prescindono perfino dalla lealtà tribale. Sono loro che devono decidere a quale governo affidarsi e chi è il leader.

Siamo sicuri che tutti questi attori vogliano davvero l’unità nazionale?
È chiaro che se vogliamo vedere nascere l’interesse all’unità, dobbiamo fornire qualche incentivo.

Di tipo economico?
Questo è sicuramente il principale. Il fatto che sia ancora in piedi nel paese una Banca centrale che gestisce gli introiti della rendita energetica e li distribuisce in modo equo può essere un elemento chiave per favorire il coagulo di queste volontà locali.

E chi dovrebbe mettere tutti gli attori insieme attorno a un tavolo?
Le Nazioni Unite o qualche paese influente, l’Italia stessa, ma sono loro che devono trovare una soluzione, non possiamo imporla noi. L’orgoglio nazionale di queste popolazioni è un elemento su cui in passato non abbiamo riflettuto abbastanza.

E se invece finalmente viene trovato un accordo sul governo di unità nazionale come lo immagina da anni l’Onu? A quel punto il premier Renzi si è detto disposto a un intervento armato.
L’intervento armato sul terreno può essere fatto solo da libici, inutile pensare ad altre opzioni. Non solo non sono fattibili e non portano risultati, ma causano danni. Per quanto riguarda il governo di unità nazionale, non sarà comunque risolutivo perché non coinvolge tutti gli attori. Non è pensabile poi che questo governo chieda un intervento armato alla comunità internazionale per assicurare il controllo del territorio. E se anche lo facesse, si squalificherebbe da solo: l’orgoglio nazionale libico scatenerebbe un’ondata di proteste che di fatto esautorerebbe il governo in questione.

Intanto l’Isis guadagna terreno. Due italiani ci hanno già rimesso la vita.
Dalle modalità che si sono apprese finora, io non credo che ci sia stato un coinvolgimento dell’Isis nella morte di Failla e Piano. Stiamo parlando di un’area della Libia in cui dominano bande armate più o meno ostili l’una all’altra e più o meno in competizione. Una di queste ha rapito o ha avuto in consegna gli ostaggi e ha cercato di trarne qualche vantaggio: economico e politico.

Il governo di Tripoli non sapeva niente degli ostaggi?
Quello che chiamiamo governo di Tripoli in realtà non ha il controllo sul territorio come lo intendiamo noi. Nell’area c’è una vera anarchia e l’operazione che ha portato alla morte dei due italiani è stata fatta dalle milizie di Sabrata che hanno reagito agli attacchi di un’altra banda armata. Queste forze agiscono senza controllo, manca ogni tipo di coordinamento.

L’Italia non dovrebbe preoccuparsi dello Stato islamico?
Certo. L’Isis è un fenomeno molto recente in Libia, alcune bande armate di Sirte, alcuni ex gheddafiani rimasti senza patron si sono impadroniti dell’etichetta Isis e hanno cominciato a fungere da calamita attirando estremisti un po’ dappertutto.

Molti giornali scrivono che in attesa di un intervento armato, l’Italia potrebbe inviare in Libia qualche decina di uomini di forze speciali per compiere attacchi mirati.
Questo è impossibile nel quadro italiano giuridico e politico. Le forze speciali possono appoggiare l’agenzia di intelligence per acquisire informazioni. L’agenzia magari può reclutare personaggi con esperienza, capacità e preparazione. Ma niente di più.

Dobbiamo quindi arrenderci all’espansione dell’Isis?
No, bisogna erodere il consenso locale di cui gode questo gruppo. Quando i libici si renderanno conto del danno rappresentato dallo Stato islamico, gli faranno mancare il terreno sul quale i jihadisti possono espandersi. E in parte questo processo è già cominciato.

Lei ha paventato in passato l’ipotesi di tripartire la Libia, facendola così tornare al periodo pre-coloniale.
Ecco, mettiamo le cose in chiaro: io non auspico la tripartizione della Libia. Penso però che fra le ipotesi possibili ci sia anche questa. È una carta che ci si può giocare dal punto di vista diplomatico: è ingenuo infatti stilare un piano senza pensare a un “piano B”. Può essere poi una strategia per fare pressione.

Cioè?
Se noi pensiamo di proporre ai libici un piano A, è più facile ottenere il risultato se paventiamo anche a tutti i soggetti un’alternativa, che magari è più sgradita della prima soluzione. Anche nel caso della tripartizione, però, solo i libici possono attuarla. Sono stato di recente a Porta a porta ed è stata immaginata la divisione della Libia con bandierine italiane, francesi e inglesi. Mi vengono i brividi, forse qualcuno ha ancora mire neo-colonialiste. Dobbiamo stare attenti a non fare altri danni.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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