La «differenza di valori» tra i russi e noi

Pochi giorni fa sono stati diffusi i risultati del sondaggio condotto dal Centro russo di ricerca sull’opinione pubblica (Wciom) sull’atteggiamento della popolazione nei confronti delle relazioni tra persone dello stesso sesso. La ricerca è stata effettuata nei mesi di aprile e luglio su un campione di 1.600 persone residenti in 46 regioni federali. Ne esce un quadro – ha commentato Aleksej Firsov, portavoce del Centro – che sottolinea la differenza dei valori percepiti dai cittadini russi rispetto a quelli di altri paesi occidentali (Firsov cita al riguardo il rapporto Ipsos del 2013), e può essere considerato un parametro di «identificazione nazionale». A parte lo stile “politically correct” delle dichiarazioni, la differenza è indubbia, anche se – confrontandola con altri dati – emerge un panorama non altrettanto confortante.

Alla prima domanda, «Come vi rapportate a persone di orientamento sessuale non tradizionale?», la percentuale di tolleranti non supera il 22 per cento: sono coloro che ritengono le tendenze sessuali una «faccenda privata»; a loro si aggiunge un 15 per cento di indifferenti che preferiscono evitare di avvicinare gli omosessuali. Il 35 per cento considera l’omosessualità una malattia da curare a livello medico o sociale, mentre per il 20 per cento i gay sono «gente pericolosa» che va «isolata dalla società», percentuale in crescita rispetto al 12 per cento rilevato nel 2004.

La seconda domanda entra direttamente nella questione: «È d’accordo che le coppie omosessuali debbano avere il diritto a contrarre unioni stabili?». Qui balza all’occhio il 70 per cento di «assolutamente no», valore raddoppiato rispetto al 34 per cento registrato nel 2005, a cui va aggiunto un 10 per cento di «penso di no», mentre gli «assolutamente favorevoli» e i «favorevoli in parte» restano all’8 per cento (nel 2005 erano il 14).

«Che tipo di politica dovrebbe attuare lo Stato verso le unioni dello stesso sesso?», si legge nel terzo quesito. Qui le risposte variano leggermente a seconda dell’età degli intervistati: più permissivi nella fascia dai 18 ai 30 anni, meno indulgenti man mano che si sale con l’età. Dalle risposte il 41 per cento ritiene che lo Stato dovrebbe intervenire per «eliminare il fenomeno» dell’omosessualità. Secondo il 32 per cento lo Stato non dovrebbe occuparsi di tali questioni, ma allo stesso tempo anche i gay non dovrebbero accampare diritti. Solo il 7 per cento si dichiara propenso a riconoscere e tutelare i diritti degli omosessuali, escludendo però che possano essere riconosciuti come nuclei familiari o adottare bambini. Ancora più basse le percentuali dei favorevoli a un riconoscimento pubblico delle unioni omosessuali e relative adozioni di bambini: entrambe non superano il 3 per cento.

Prima di questo sondaggio, il Wciom ha pubblicato i risultati di un’altra ricerca, stavolta sulla famiglia naturale, giungendo alla conclusione che negli ultimi 25 anni l’opinione dei russi in merito non è mutata: «La maggioranza dei nostri compatrioti è convinta che si metta su famiglia innanzitutto per la continuazione della stirpe: così riteneva nel 1989 il 56 per cento degli intervistati, e oggi il 60». Ci si sposa «per aver accanto una persona che ti capisce e ti sostiene in tutte le situazioni» (43 per cento, dato immutato dall’89), per «avere una casa bella e decorosa» (38 per cento, +7 per cento dall’89), per «sentirsi utili e occuparsi di qualcuno» (36 per cento, immutata), per non «separarsi dalla persona amata» (31 per cento, in decisa crescita).

Passando dalla… poesia alla prosa, il sondaggio chiedeva di identificare anche le criticità della vita in comune: rispetto al 1989, si è dimezzato (oggi al 22 per cento) il dato che le imputava a mancanze materiali; se da un lato è scesa la percentuale di coloro che lamentano una carenza di libertà personale (dal 21 al 18 per cento), dall’altro è aumentata la preoccupazione per il futuro dei figli (percepita come problema dal 19 per cento degli intervistati, +4 per cento rispetto all’89).

I dati poco confortanti riguardano il numero di aborti e divorzi. In varie occasioni, soprattutto parlando ai giovani, il patriarca ortodosso Kirill ha ripetuto che la Russia potrebbe essere «un paese diverso se non ci fossero così tanti aborti e divorzi», aggiungendo che «in media si separa il 70 per cento di coloro che contraggono matrimonio». Il dato è confermato da tempo dall’Istituto federale di statistica: nel primo semestre del 2012, ad esempio, su 100 matrimoni si sono registrati 65 divorzi. Nello stesso anno erano oltre 6 milioni le famiglie monoparentali (5,6 milioni le madri single, 634.500 i padri). Dalla metà degli anni Novanta per numero di divorzi la Russia ha superato l’America.

Rispetto al problema dell’aborto, benché da un paio d’anni a questa parte la tendenza sia in diminuzione con meno di un milione di aborti all’anno, l’eredità sovietica si fa sentire. Dal punto di vista storico, i dati sulle interruzioni di gravidanza in quel periodo sono stati declassificati solo alla fine degli anni Ottanta, ma sappiamo che l’Unione Sovietica era tra i primi paesi al mondo a praticarle (in Russia ci sono stati 5,6 milioni di aborti nel solo 1964, il picco più alto in tutta la sua storia). In epoca post-sovietica, sommando il numero di aborti praticati dal 1990 al 2012, si arriva alla cifra spaventosa di 50 milioni di bambini non nati.

Nel 2009 la media è stata di 73,7 aborti ogni cento nati (media Usa: 23,4 su 100 nel 2008). Non per niente anche in questo caso il patriarca ha usato più volte toni duri e preoccupati, paragonando il fenomeno a una «guerra invisibile» capace di assestare tra l’altro un colpo durissimo alla demografia nazionale.

Foto Mosca e foto gay pride da Shutterstock

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