Inizia la campagna elettorale e i tories ritrovano il coraggio di dire “donna”

Il partito del premier Sunak dichiara guerra alle (dannose) assurdità che gli stessi conservatori hanno contribuito a costruire nel nome dell’“inclusività” e dei diritti trans

Il primo ministro britannico e leader dei Tory Rishi Sunak al congresso di Manchester il 4 ottobre scorso (foto Ansa)

«Noi conservatori sappiamo cos’è una donna». Le parole pronunciate dal ministro della Salute Stephen Barklay al recente congresso dei Tory a Manchester potranno suonare come un affronto all’ovvietà all’orecchio dell’italiano medio, ma a quello dell’elettore britannico sono apparse immediatamente e precisamente per quel che sono. E cioè la risposta non banale alla banalissima domanda “che cos’è una donna?”, che da tempo aleggia irrisolta nella sfera politica progressista del Regno Unito, tanto da diventare emblema assoluto delle assurde contorsioni e censure lessicali imposte dalla necessità di giustificare i dogmi del “transgenderismo” (quelli per cui le donne possono avere il pene).

E se fin qui nell’agone britannico questa contorta visione progressista è stata in qualche modo sostenuta in maniera bipartisan, adesso, come non ha potuto fare a meno di notare la stampa del paese, almeno dalle parti dei conservatori la musica sembra cambiare. L’ovvietà di cui sopra, infatti, è servita al ministro della Sanità per proclamare la nuova linea di resistenza alla dilagante «wokery» del Nhs, il sistema sanitario nazionale britannico. Quindi basta con l’ossessione “inclusiva” che «finisce per mettere in secondo piano i diritti delle donne»: davanti al suo partito riunito a congresso Barklay ha annunciato il ripristino del linguaggio “sessuato” nel sistema sanitario, nonché il divieto per i maschi biologici di farsi curare nei reparti ospedalieri riservati alle donne.

Nel mirino il diritto al gender self-id

Un cambio di spartito confermato anche dal ministro degli Interni, Suella Braverman, che sempre al congresso dei tories di Manchester ha anticipato l’intenzione del governo di Rishi Sunak di introdurre una legge per vietare a vita ai criminali sessuali di cambiare identità di genere. «È giunta l’ora di preoccuparsi un po’ meno dei diritti dei predatori sessuali e di più di quelli delle vittime», ha dichiarato la Braverman.

Nel mirino dei conservatori, evidentemente, è finito il famigerato “diritto” al self-id, la libera autoidentificazione di genere che ha provocato danni incalcolabili non solo nel Regno Unito, ma ovunque nel mondo sia divenuta legge e propaganda. Basti pensare che il progetto di legge annunciato dal ministro Braverman è stato ribattezzato “legge Della”, dal nome di Della Wright, una bambina di sei anni stuprata da un uomo che aveva cambiato nome ben sei volte grazie al self-id.

Un disastro ampiamente previsto

Come ha raccontato qualche mese fa Sky News, infatti, i condannati per reati sessuali, che nel Regno Unito sono inseriti in un apposito Sex Offenders Register, sarebbero tenuti per legge a informare la polizia qualora decidano di cambiare nome in base al gender self-id. Tuttavia, poiché per “autoidentificare” il proprio cambio di genere è sufficiente un atto che si conclude online in un quarto d’ora senza alcun controllo, il disastro è nelle cose:

«Tra gennaio 2019 e giugno 2022, sono stati avviati quasi 12 mila procedimenti giudiziari nei confronti di persone iscritte nel Sex Offenders Register che non hanno comunicato alle autorità una modifica delle loro informazioni personali, come il nome e il domicilio, nonostante l’obbligo legale di farlo. Le cifre – ottenute tramite una richiesta in base al Freedom of Information Act da parte della Safeguarding Alliance e condivise in esclusiva con Sky News – sono “solo la punta dell’iceberg di questa epidemia” e non tengono conto di tutti i casi che non sono stati individuati, spiegano gli attivisti».

Elettori stufi delle assurdità woke

È chiaro che dietro a questa svolta anti-woke dei conservatori britannici c’è molto calcolo elettorale. Si vota nel 2024 nel Regno Unito, e i tories, dopo 13 anni al governo tra non poche difficoltà (Brexit e Covid, solo per dirne due), sono logorati e già da tempo si ritrovano a rincorrere i laburisti nei sondaggi. Ed è sempre più evidente – come confermano anche recenti rilevazioni di una certa affidabilità – che buona parte dell’elettorato è stufa di accettare linguaggi, linee guida e misure di legge che semplicemente negano la realtà. «Se i parlamentari del Labour non riescono a dirci che cos’è una donna, chissà che cos’altro non ci stanno dicendo», ha ironizzato il ministro per le Pari Opportunità Kemi Badenoch al congresso dei tories.

Al netto del classico opportunismo da campagna elettorale, tuttavia, va riconosciuto ai conservatori britannici di Sunak il coraggio di una svolta non scontata. In effetti, come ha notato Jo Bartosch per Spiked,

«sono stati gli stessi conservatori a permettere che le istituzioni venissero sommerse dalle pretese degli attivisti trans. È stato durante il mandato da primo ministro dell’“orgogliosamente woke” Theresa May che la proposta dell’autoidentificazione di genere ha preso piede. In quel periodo, i gruppi di pressione trans hanno fatto breccia nel governo, e ancora oggi esercitano la loro influenza.

Una delle prime e più entusiaste sostenitrici della riforma della legge sul riconoscimento di genere è stata l’ex presidente del Women and Equalities Select Committee (Wesc), Maria Miller [esponente dei tories, ndt]. Che già nel 2016 si lamentava del fatto che donne “che si spacciano per femministe” l’avessero avvertita che le proposte oggi accantonate avrebbero minato i diritti basati sul sesso. Mentre “tra i suoi colleghi conservatori più tradizionali”, riferiva all’epoca l’Independent, “nessuno trovava nulla da ridire”.

Dopo il ritorno nell’oscurità della Miller, la fiaccola dei diritti trans è stata raccolta da altre nullità dei conservatori, tra cui l’ex ministro per le Pari Opportunità Penny Mordaunt e l’attuale presidente del Wesc, Caroline Nokes. Ancora oggi, nonostante le suppliche da parte di gruppi di genitori e di professionisti, il ministro dell’Istruzione Gillian Keegan si è fatta trascinare nella pubblicazione di una guida per le scuole sulle misure per gli alunni trans».

Chissà se la necessità di convincere gli elettori a dare ancora una volta il loro voto ai conservatori aiuterà anche la Keegan a ricordarsi «che cos’è una donna».

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