In 5 anni il governo cinese ha condannato per corruzione 684 mila funzionari comunisti

«La corruzione degli individui, chiunque essi siano, sarà perseguita senza sosta e nessun corrotto potrà evitare di essere punito». Ha parlato così oggi He Guoqiang, uno dei nove potentissimi membri del Comitato permanente  del Politburo del Partito comunista cinese, che governa di fatto la Cina, e capo della Commissione disciplinare del Partito.

660 MILA FUNZIONARI CORROTTI. Per He, negli ultimi cinque anni sono stati sanzionati per corruzione 660 mila ufficiali del Partito, mentre 24 mila sono stati condannati penalmente. L’alto quadro comunista insiste che verranno «perseguiti senza sosta» casi come quello di Bo Xilai, segretario di Partito della megalopoli Chongqing e astro nascente del comunismo cinese, oggi epurato e sotto processo per corruzione e abuso di potere, di Gu Kailai, moglie di Bo condannata alla pena di morte, ora sospesa, cioè l’ergastolo, per l’omicidio del faccendiere britannico Neil Heywood, e di Wang Lijun, braccio destro di Bo, scappato al consolato americano temendo di essere fatto fuori dal Partito, respinto dagli Usa, e condannato a “soli” 15 anni di carcere.

GIUSTIZIA A OROLOGERIA. Ma la radiazione dal partito di Bo e le condanne di Gu e Wang non sono certo dei successi contro la corruzione, come il Partito cerca di far credere all’opinione pubblica. Infatti, se Bo non fosse diventato troppo ingombrante per il Partito, visto che voleva entrare a far parte del Comitato permanente del Politburo, le cui nomine si terranno l’8 novembre, e se il suo vice Wang Lijun non si fosse rifugiato all’ambasciata americana, creando uno scandalo internazionale e portandolo alla luce del sole, la giustizia non avrebbe mai punito un dirigente comunista e sua moglie per l’omicidio di un uomo. Nessuno si illude che processi durati al massimo qualche ora possano davvero essere giusti.

IL PROBLEMA È DI SISTEMA. Mentre He Guoqiang parla dunque degli impressionanti numeri della corruzione dei membri del Partito comunista, una delle piaghe più grandi che affligge oggi la Cina, non spiega perché la corruzione sia così diffusa tra i quadri comunisti. In un sistema politico a partito unico, come quello cinese, dove l’economia è dominata dall’alto e i governanti locali sono scelti da Pechino e devono rispondere solo a Pechino, non alla gente, ciascun funzionario locale può fare ciò che vuole della terra e delle risorse del territorio, a patto che rispetti i criteri (per lo più economici) che Pechino richiede. Un funzionario può allora espropriare terreni privati e venderli a grandi industriali senza risarcire i cittadini (v. Wukan), tenendo per sé parte del denaro per arricchirsi e ripianare le casse del villaggio, può schiacciare il dissenso con la repressione, può consentire alle aziende statali, dietro compenso, di non pagare i lavoratori, approfittando dell’assenza di sindacati e di tribunali imparziali. Così mentre il Partito comunista sbandiera la lotta alla corruzione, evita di mettere in discussione il «socialismo con caratteristiche cinesi» e, di conseguenza, di affrontare il problema della corruzione.

@LeoneGrotti

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