Il circolo vizioso che danneggia il clima

La retorica catastrofista spinge alcuni paesi a prendere impegni incredibili, pur sapendo che non possono rispettarli, altri ad avanzare pretese assurde

C’è un circolo vizioso che danneggia il clima e non solo: tutti ne sono a conoscenza ma nessuno vuole affrontarlo né tantomeno fermarlo. Il suo meccanismo è perfetto nella sua perversione e porta sempre agli stessi identici risultati. Sulla scorta di rapporti che spesso di scientifico hanno solo il nome, i giovani, col sostegno dell’allarmismo mediatico, scendono in piazza per chiedere azioni mirabolanti agli Stati. I leader dei paesi, per non apparire «poco ambiziosi» ed essere invece annoverati nel consesso dei “buoni”, fanno promesse eccessive, pur sapendo che non potranno mai mantenerle. Per arginare poi lo scontento generato dalle mancate azioni e frenare la disillusione, sempre sulle ali di editoriali e manifestazioni, gli Stati fanno nuove promesse, ancora più improbabili delle precedenti, e così via.

L’obiettivo della Cop26 era irrealistico

Se non fosse per questo circolo vizioso, gli ambientalisti potrebbero anche definire la Cop26 un discreto successo. C’è stato un accordo (vago) contro la deforestazione, uno contro il metano, un altro per la riduzione dell’utilizzo del carbone, un altro ancora per accelerare l’avvento dell’auto elettrica e perfino uno (al ribasso) tra Usa e Cina. Nel rapporto finale non è stato scritto che il carbone deve essere «eliminato», è vero, ma vi si legge che «va ridotto». Inoltre, le promesse di riduzione della CO2, anche da parte dei principali emettitori di gas serra, non sono mai state così alte. E allora perché si parla tanto di fallimento?

Perché l’obiettivo prefissato era assolutamente irrealistico. Per contenere l’aumento della temperatura globale al 2100 entro 1,5 gradi – ci dicono gli esperti – il mondo dovrebbe arrivare ad emettere nel 2030 “appena” 25 miliardi di tonnellate di CO2. Rispetto ai 52 miliardi di tonnellate del 2019 significa una riduzione di oltre il 50 per cento in nove anni scarsi. Se si considera che la Cina da sola ne emette 14 miliardi e non prevede riduzioni prima del 2030, è chiaro a chiunque che l’obiettivo non può essere raggiunto.

Gli Usa già rinnegano l’accordo sul clima

Ma da ogni parte si grida che bisogna fare di più e prima, senza rendersi conto che la retorica sganciata dalla realtà può solo causare danni. Una prova di questo la si può trovare nelle parole pronunciate al termine della Cop26 da John Kerry, nominato da Joe Biden inviato degli Stati Uniti per il clima.

Commentando il comunicato finale della conferenza sul clima di Glasgow, il quale prevede che entro la fine dell’anno prossimo gli Stati migliorino le rispettive promesse di riduzione della CO2, ha dichiarato che è molto «improbabile» che gli Usa lo facciano visto che già l’impegno di quest’anno sarà difficile da rispettare. «Così si oltrepassano i limiti», ha detto dell’intesa che lui stesso ha contribuito a scrivere, secondo il Wall Street Journal. Ma, viene da chiedersi, allora perché non l’ha cambiato? A che cosa serve alimentare questo circolo vizioso?

Ricchi contro poveri

C’è un altro aspetto curioso che verrà nuovamente discusso il prossimo novembre in Egitto alla Cop27, l’ennesima “ultima occasione” per salvare il pianeta. Se è vero che le emissioni di CO2 stanno distruggendo il mondo, come gli stessi paesi del G20 sembrano sostenere, è comprensibile che a Glasgow gli Stati che più stanno soffrendo a causa delle conseguenze dei cambiamenti climatici abbiano chiesto ai grandi della Terra di essere risarciti.

Sviluppando la vostra economia e le vostre industrie, è l’accusa, avete inquinato il pianeta causando i nostri problemi: ora dovete risarcirci con moneta sonante. Alla loro richiesta i paesi ricchi hanno risposto picche perché, hanno sostenuto, avevamo tutto il diritto di crescere e ricercare il benessere dei nostri popoli. Il ragionamento non fa una grinza ma fa a pugni con l’idea secondo la quale lo sviluppo industriale dell’Occidente sta portando all’estinzione della specie umana (ricordate il monito di Frankie il dinosauro dell’Onu?).

Meno promesse, più “modello Sudafrica”

Più dunque i leader, alle conferenze Onu, si porranno obiettivi irrealistici, meno saranno in grado di dimostrare che stanno effettivamente cercando di migliorare l’ambiente con iniziative che, a ben vedere, non hanno precedenti nella storia. La retorica catastrofista non fa bene ai negoziati, alimenta soltanto pretese irricevibili.

Invece che lamentarsi, i giovani ambientalisti dovrebbero guardare con interessi ad esempio all’accordo tra Stati Uniti, Unione Europea, Regno Unito e Sudafrica: i primi finanzieranno con 8,5 miliardi il paese africano per abbandonare più velocemente il carbone, che genera il 90% della sua elettricità, e sostituire le vecchie centrali inquinanti con l’energia rinnovabile. Se tutto andrà bene, ne prossimi 20 anni saranno immesse nell’atmosfera 20-30 miliardi di tonnellate di CO2 in meno. Magari non salverà il pianeta, ma farà meglio all’ambiente di mille promesse irrealizzate perché irrealizzabili.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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