I neo centristi hanno il solito problema: centinaia di generali e decine di soldati

Il leader di Italia viva Matteo Renzi (foto Ansa)

Sul Sussidiario Guido Gentili dice: «La situazione per Draghi è molto complicata, perché quest’anno, sotto traccia, comincerà una campagna elettorale molto pesante, che si riverbererà sul tavolo del governo, visto che dai partiti arriveranno nuove richieste di scostamento di bilanci». Gentili è uno dei più attenti osservatori della politica e dell’economia italiane, anche queste parole lo confermano. È un peccato che anche lui come altri valenti opinionisti non abbia ben valutato “prima” che cosa comportava il non eleggere Mario Draghi presidente della Repubblica.

Su Formiche Innocenzo Cipolletta dice: «Il governo dovrà affrontare una situazione congiunturale complessa. Abbiamo un problema di energia da una parte, di inflazione dall’altra e in mezzo tensioni geopolitiche non di poco conto. Io credo sia sbagliato focalizzarci solo ed esclusivamente sul Pnrr, qui c’è da capire bene come riusciremo a gestire e ridurre il debito pandemico accumulato in questi anni. I mercati ci guardano, non lo dimentichiamo». Cipolletta, al di là delle sue specifiche competenze, ha sempre preposto a una seria scelta politica la difesa dell’ala più immobilista dell’establishment. Da qui una retorica senza senso come quella di invitare a obiettivi politici (il povero e magnifico Draghi, per di più depotenziato dalla non ascesa al Quirinale, potrà solo perseguire, sia pur perfettamente, obiettivi legati all’emergenza cioè Covid e Pnrr, nonché qualche questione non rinviabile) un governo tecnico senza una vera legittimità da parte dell’elettorato.

Su Affari italiani Alberto Maggi scrive: «Poi ci sarà un centro, nel quale, forse, avrà un ruolo Pier Ferdinando Casini, mancato capo dello Stato». “Mancato” è il perfetto soprannome di Casini: “mancato” leader del centrodestra, “mancato” leader della rinascita democristiana, “mancato” statista. Alla fine l’unica cosa che gli è riuscita è definirsi uomo di centrodestra e farsi eleggere dal Pd nel più rosso collegio di Bologna.

Su Huffington Post Italia Antonio Tajani dice: «Non si fanno le fusioni a freddo». L’analisi di Tajani non è affatto sbagliata, come è ragionevole chiedere alla Lega di meditare sui rapporti con un Ppe che si sta spostando sempre più a destra (da Friedrich Merz a Valérie Pécresse, da Isabel Díaz Ayuso a Roberta Metsola). L’unica avvertenza è che se è vero che non si devono fare fusioni a freddo, è anche vero che il freddo cadaverico con cui si pensa di congelare la politica, è altrettanto irrazionale e ancor più pericoloso.

Sulla Zuppa di Porro Francesco Giubilei scrive: «Sia che si voglia rifondare il centrodestra o dar vita a una federazione o costruire una nuova alleanza, c’è una sola strada da seguire ed è quella delle primarie per coinvolgere gli elettori nella scelta dei propri leader e rappresentanti». Giubilei è un brillante trentenne che spesso dice e scrive cose particolarmente interessanti. Dovrebbe però aiutare la sua area politica di riferimento ad articolare le proposte. Come si legano le primarie all’attuale organizzazione del centrodestra? Non vale la pena di collegare questa scelta a un più complesso scenario di riforme? Per esempio a un finanziamento dei partiti legato proprio alle primarie? Insomma gli slogan sono importanti, però tener conto della complessità della realtà lo è di più (e soprattutto dovrebbe arrivare prima dello slogan).

Su Strisciarossa Franco Del Campo scrive: «Niente è cambiato, affinché cambi tutto. Il Gattopardo ritorna a ruggire la sua verità adeguata ai tempi moderni». Su un sito di una sinistra ancora legata con i sentimenti immediati più che non con l’elaborazione di questi, alla storia del comunismo italiano, è difficile sfuggire alla realtà (cosa che invece è naturale tra gli ex dc italiani, pur depositari di una tradizione ormai sradicata, abituati a considerare come la base della politica sia risolta dal posizionamento internazionale e dal ruolo dello Stato prima che dall’analisi culturale della realtà). Con questo legame con una tradizione realistica, dunque, non si può non cogliere bene il peso del “gattopardismo” nell’ultima rielezione di Sergio Mattarella. Poi, però, anche qui secondo tradizione, si rovescia la frittata: sarebbe un gattopardismo moderno.

Sugli Stati generali si scrive della politica oggi: «L’eterna conferma del sempre uguale è l’unico habitat in cui riesce a sopravvivere, sia pure a stenti». In questo sito di una sinistra dove è stata elaborata la fine del comunismo anche italiano e dove si cerca di resistere alla tentazione di sostituire la politica con la retorica, non mancano mai osservazioni particolarmente interessanti e realistiche come questa che riportiamo.

Sul Blog di Beppe Grillo si legge questo titolo di un articolo su un robot progettato da un team di ricercatori della Johns Hopkins University: “Robot esegue intervento chirurgico senza l’aiuto dell’uomo”. Si coglie in questo riferimento ai robot capaci di compiti ultracomplessi lo sforzo del comico genovese, particolarmente amante delle crociere, di trovare un’alternativa al disperante duo Luigi Di Maio-Giuseppe Conte. Insomma: intelligenza artificiale o stupidità umana? That is the question.

Su Formiche Francesco Damato scrive: «Al quale Matteo Salvini si è recato in mezzo alla solita selva di microfoni e telecamere, davanti a cui il “capitano” finisce, volente o nolente, sempre per abbandonarsi a gesti e pose da lotta, di chi riesce a farlo grosso così a chiunque, dentro e fuori casa». Insomma Salvini, detto anche “la parola più veloce del West”, dovrebbe un po’ ragionare su quel che si scrive nell’Amleto: «Words without thoughts never to heaven go». Le parole senza pensiero non arrivano mai in Paradiso.

Su Dagospia si riporta un articolo di Marzio Breda sul Corriere della Sera nel quale si scrive: «Nel proprio discorso di reinsediamento, giovedì pomeriggio, Sergio Mattarella non dovrebbe dunque formulare un nuovo inventario di “ritardi, omissioni, chiusure, sordità, tatticismi, guasti e inconcludenze”». Anche perché ritardi, omissioni, chiusure, sordità, tatticismi e inconcludenze sono frutti diretti del suo primo settennato.

Su Affari italiani Paolo Alagia scrive: «Le incognite sulla strada della costituzione di un grande centro sono tante». Conta e riconta, i capi dei topini centristi non riescono a trovare sufficienti fettine di formaggio per potersi unificare. Mentre il neocentrismo di oggi è una farsa, la formazione del Partito d’Azione fu un’impresa gloriosa. Però sia i protagonisti della nuova farsa sia quelli della vicenda “gloriosa” hanno e avevano lo stesso problema: centinaia di generali e decine di soldati.

Su Affari italiani Danilo Toninelli dice: «L’elezione del presidente Mattarella non è un successo per nessuno, ma grazie al M5s abbiamo evitato di avere Berlusconi, Casellati, Casini e lo stesso Draghi a rivestire la figura di sovrano assoluto». Un presidente per 14 anni sarebbe un sovrano semirelativo?

Su Formiche Giuliano Cazzola dice: «Ha perso la politica; ha vinto il Parlamento». Che abbia vinto questo sbandato Parlamento è un’aggravante del pasticcio-imbalsamazione combinati con il pur meritevole Sergio Mattarella. Ma quello su cui bisogna concentrarsi è il primo nodo del dilemma: la sconfitta della politica. In questa affermazione c’è un elemento di verità fondamentale: la scelta di Mattarella e le reazioni dell’opinione pubblica sono un’ulteriore tappa dell’affermarsi di una tendenza ostile alla politica. Così la “rottamazione” di Matteo Renzi che sostituiva la liquidazione delle persone alla lotta delle idee e ciò l’ha portato al 40 per cento alle europee. Così la protesta senza proposta di Beppe Grillo che è arrivata al 32 per cento nelle politiche del 2018. Così la denuncia, che prevale sulle scelte, di Matteo Salvini che è arrivato al 40 per cento alle europee. Così Mario Draghi che dà uno schiaffo (meritato) alla politica. Così Mattarella che si fa eleggere contro la politica incapace e raggiunge una, in parte meritata, eccezionale popolarità. I cicli dell’antipolitica durano circa un anno, non è difficile prevedere chi se ne avvantaggerà nelle elezioni che nel giugno del 2023 non potranno essere evitate: l’unica che offre una proposta coerente (seppur largamente propagandistica) all’opinione pubblica, diventando il prossimo portacenere che una società piena di malessere scaglierà contro un ceto politico che magari si appresta col proporzionale a organizzare un sistema sulla misura dei topini nel formaggio. Si può evitare un esito di questo tipo restaurando una politica che non si fondi solo sull’antipolitica? Certamente non a occhi chiusi e a testa bassa come si sta facendo adesso.

Su Affari italiani si scrive: “La questione migratoria è un’altra sfida che abbiamo come Europa, non possiamo lasciare i paesi in prima linea soli senza trovare una soluzione europea per una crisi che è europea”: così la maltese Roberta Metsola, presidente del Parlamento europeo, ospite a Che tempo che fa su Rai 3». Finalmente, senza Angela Merkel, i popolari europei (specialmente una maltese di una nazione esposta a tutte le manovre geopolitiche sull’immigrazione), pur con qualche concessione alla retorica corrente, espongono i problemi per quello che sono.

Su Dagospia si riporta un articolo di Monica Serra sul sito della Stampa in cui si scrive: «L’ultimo atto dello scontro in procura si è tenuto al quarto piano del Palazzo di Giustizia, nell’aula “rossa” blindata dai carabinieri. Dalle 9 del mattino fino a sera, la prima commissione del Csm in trasferta a Milano ha visto sfilare alcuni dei protagonisti della bufera e molti dei loro colleghi, mentre a Brescia, il gip Andrea Gaboardi firmava l’archiviazione delle indagini aperte sul procuratore in pensione Francesco Greco: l’unico, almeno per il momento, a uscire indenne dai fascicoli penali aperti sui magistrati milanesi coinvolti nello scontro nato attorno alla gestione dei verbali di Piero Amara sulla presunta Loggia Ungheria e delle vicende Eni». Ecco un interessante caso in cui il responsabile di un team poteva non sapere e in cui un procuratore è “capo” a sua insaputa.

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