Gesù bambina e il carcerato

Il miracolo di Ivan Maria, balordo incallito e senza Dio che ha scoperto in prigione «la vittoria di Cristo». Grazie a due amici ostinati e alla nascita prodigiosa della piccola Agnese

Uno dei tanti disegni regalati da Ivan Maria ai suoi amici volontari dell’associazione Incontro e Presenza: una “foto di gruppo” eseguita quando Agnese non era ancora nata. La seconda figura da destra è lei. Invece Ivan Maria (al centro) si è disegnato nero, perché si sentiva «diverso»

In occasione del Natale riproponiamo un articolo apparso nel numero di Tempi del 30 dicembre 2009 e scritto dall’allora direttore Luigi Amicone, fondatore della rivista, scomparso improvvisamente il 19 ottobre scorso.

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Dietro la porta di un negozio che sta di fronte a un grattacielo è appeso il volto di un Cristo. Un Cristo dai lineamenti dolci, delicati, quasi femminei. È il Cristo visto da un carcerato. È arrivato in quel negozio attraverso un passamani. Un passamani dove il capo non conosce la coda. Né, tantomeno, le circostanze di come il disegno, a matita, su un foglio A3 di carta copiatrice, sia uscito dalla cella di un penitenziario e di mano in mano sia approdato a una bottega di Chanel N°5.

Vista dall’unica prospettiva in cui l’origine di questo Cristo è ricostruibile, la vicenda è la seguente.

Il volto di Gesù Cristo eseguito su “commissione” dal detenuto Ivan Maria ed esposto in una profumeria di Milano

Milano, 26 maggio 2009. Emanuele è felice e al tempo stesso comprensibilmente risentito quando si presenta all’ospedale e a sua moglie Micol, col pancione e le doglie del parto, l’ecografista rivolge un complimento strano: «Ha fatto bene a tenerla, signora, la bimba è sanissima». L’avrebbero tenuta lo stesso, ma perché quella stessa dottoressa che qualche mese prima l’aveva visitata in ginecologia e adesso per chissà per quale strana coincidenza era lì, di turno in pronto soccorso, aveva messo addosso ai genitori quella pena, diagnosticando alla nascitura una sindrome cromosomica, «ispessimento traslucenza nucale», insomma Agnese sarebbe stata una bambina Down? «No, guardi, l’ispessimento c’era, adesso non c’è più».

Qualche mese prima e un giorno dopo. Emanuele e la sua amica Daniela sono cristiani educati alla carità. Fanno parte di Incontro e Presenza, un’associazione di uomini e donne fondata vent’anni orsono da Mirella Bocchini, insegnante nei bassi di un istituto professionale, e da Ernesto Balducchi, leader storico dei Comitati Comunisti Rivoluzionari, che consegnò armi e bagagli all’arcivescovo di Milano, il cardinale Carlo Maria Martini. Questa gente che non guarda per il sottile e a cui non cale se chi hanno davanti è un assassino o uno stupratore, entra ogni giorno nelle carceri italiane per condividere la condizione di uomini e donne la cui malvagità ci appartiene. (Anche se poi, cattivi come siamo tutti, non per questo ci capitano le stesse disgrazie che sono capitate a chi sconta il fio dei propri delitti dietro le sbarre).

«Qualunque cosa avrete fatto a uno di questi piccoli, l’avrete fatta a me». Così dice Gesù. E così, in un tardo pomeriggio dello scorso inverno l’uomo e la donna – l’uomo che è in attesa di una figlia promessa handicappata, la donna che ha già tre figli e una gran tremarella nelle gambe (che ansia, ancora in quel braccio dove sono custoditi condannati per violenze sessuali e, chissà perché, transessuali) – camminano fianco a fianco, accompagnati dall’angelo custode guardia carceraria, lungo l’androne che li porterà da quel ragazzo di 39 anni che Emanuele conosce da quasi un decennio e ne ha fatte tante, ma così tante, in quel suo via vai dentro e fuori dal carcere che è stata la sua vita, che «su di lui non ci scommetto un centesimo».

«Non ricevo perché servo, ma perché sono»

Sferragliare di lucchetti, pesanti chiavi che aprono doppi e tripli cancelli. In quel momento Emanuele avrà pensato che Ivan Maria – strano doppio nome del Terribile senza Dio e della Madre di Dio – li avrebbe accolti in quel suo solito stato di inquietudine. O forse era solo di rabbia covata, intensa, cieca. Di gatto cieco che tira fuori le unghie alla notte. Di ragazzo che va e viene dal gabbio, ora raccolto nel suo vomito dopo una telefonata concitata e una notte passata a prostituirsi sulla strada; ora riconsegnato con la sua paccottiglia, dopo l’ennesima mesata trascorsa in carcere e dal carcere rivomitato come uno stomaco di ferro rivomiterebbe un pezzo di carne masticata. Riconsegnato a chi? A nessuno, se non a un uomo e a una donna di Incontro e Presenza.

«Io penso a te spesso durante i 15 gg che ci separano dai nostri incontri. Penso che è come se Dio non mi abbia voluto lasciar solo e siccome per me che ho vissuto sino ad ora una vita spregiudicata, spericolata e lussuriosa (nel senso della prostituzione a 360°) tutto questo è molto strano ma bello. Sto bene con voi anche perché non mi sento come quando servivo per le rapine o per “vendere” il mio corpo, cioè come se “ricevo perché servo”. Sento che ricevo perché sono!».

C’era un motivo perché questa volta Ivan Maria si trovasse nel raggio dei condannati per reati sessuali e non tra i comuni. Il suo pacco di carne non aveva stuprato, né molestato alcuno. Però le sue fattezze non erano più quelle di un uomo. Da sei mesi nutriva il corpo di ormoni, voleva cambiare sesso e addestrava la testa a pensare al femminile.

Un reggiseno e un rossetto

Così, anche il giorno dopo di qualche mese prima del 26 maggio 2009, giorno della nascita di Agnese, figlia di Micol e di Emanuele, entrando nella cella di una maceria dopo l’uragano, Daniela porta con sé il reggiseno che le era stato richiesto. E un certo rossetto. Questa cosa, che non è complicità ma semplicemente amicizia, da qualche tempo ha fatto scaturire una scintilla tra il carcerato e la donna con tre figli, 47 anni, impiegata, di nome Daniela. E che solo da un anno e mezzo partecipa alla caritativa dell’associazione e divide le sue giornate tra l’ufficio, la casa e il carcere. «Non è stato semplice, avevo il parere contrario di tutti. Non volevano che avallassi una sua decisione “errata”. Io gli portavo quello che mi chiedeva ribadendogli ogni volta che non condividevo ciò che stava facendo a se stesso, contro se stesso, ma che gli regalavo quelle cose perché ero convinta che il mio cuore e il suo cuore fossero bisognosi dello stesso abbraccio. Volevo fosse un segno della mia attenzione per lui». Succede qualcosa. Vai a sapere cosa. Fatto sta che «da lì è cambiato tutto. Ha iniziato a fare dei disegni bellissimi e ha iniziato a scrivermi delle lettere».

«Mia sorella è “sparita” e non so proprio come rintracciarla. Pensare a mio Padre mi viene pena e compassione. Mentre a mia madre vorrei tanto scrivergli, ma non so dove sia adesso. So che hanno cambiato casa e paese, ma non so dove siano andati a vivere…».

E siamo all’apertura di quella benedetta cella. «Ciao Ivan». «Ciao ragazzi». È un giorno come un altro. E come ogni altro giorno che capiti a un detenuto visitato, anche al detenuto Ivan Maria fa piacere ricevere ospiti. Accade questo, però, dice Daniela, quel giorno dopo di qualche mese prima del 26 maggio di Agnese. «Accade che lo andiamo a trovare io e Emanuele, che aveva saputo da poco che la sua secondogenita che stava per arrivare sarebbe stata portatrice della sindrome di Down. Quel giorno lui ci raccontò che la prima cosa che faceva svegliandosi era bestemmiare. Allora Emanuele gli buttò lì tra il paterno e lo scettico: “Ma insomma, di sette giorni che bestemmi non puoi provare a farne uno che invece di bestemmiare provi a dire una preghiera per la mia Agnese?”. Gli disse più o meno così, senza troppa convinzione, conoscendo bene il tipo e sapendo di non poterci fare affidamento».

Il fioretto dell’attaccabrighe

Dopo quindici giorni Daniela ed Emanuele tornano a trovare Ivan Maria. «Convinti che la cosa fosse morta lì, tra una chiacchiera e l’altra gli chiediamo se si fosse ricordato di Agnese. E lui: “Certo che mi sono ricordato. Non un giorno, tutti e sette. Non solo, ho deciso di fare anche un fioretto, perché mi ricordo che da bambino mi hanno insegnato che la preghiera se accompagnata da un sacrificio è più efficace. E così ho deciso di non incazzarmi più con le guardie”. Per Ivan una rivoluzione, lui attaccabrighe professionista. La preghiera per Agnese lo ha accompagnato in tutti i mesi che attendevamo questa bimba. Nel mentre un giorno mi dice: “Ho deciso, smetto gli ormoni. Ho capito che non mi dà la felicità questa scelta”. Lui dice che è stata Agnese ad aiutarlo in questa decisione. E ad ogni modo è rimasto fedele a quella decisione».

«Mi raccomando dì ad Emanuele che io prego sempre per Agnese e che quando nascerà avrà uno zio acquisito che un giorno conoscerà. Ho conosciuto il dolore, la solitudine, la sofferenza, gli sputi e gli scherni, ma con voi e Cristo sono vincitore, ho mantenuto la mia promessa per Agnese per voi e per me e soprattutto per te».

«Tutto a posto, ci sono io che prego per lei»

«In prossimità del parto gli abbiamo chiesto di pregare che la bimba nascesse il 26 maggio, essendo la scadenza più o meno in prossimità di quella data, ma non certa. Anche qui, nessuno credeva molto alla possibilità che nascesse proprio quel giorno. Non c’erano avvisaglie, niente di niente. La bambina è nata il 26, data per noi importante perché erano dieci anni che era morto un nostro carissimo amico chirurgo, ed è la festa della Madonna di Caravaggio a cui il padre fondatore di Comunione e Liberazione era particolarmente devoto».

La lettera scritta da Ivan Marina alla piccola Agnese, della quale il detenuto avrebbe dovuto il padrino di Battesimo, cosa che gli fu impedita dal regime carcerario

Agnese è nata il 26 maggio perfettamente sana. Ma non per questo il calvario è finito. Trasferito da un carcere all’altro, Ivan Maria si trova attualmente recluso lontano dai suoi amici. Un reggiseno, un rossetto, un libro di don Luigi Giussani. Di certo, quello che è accaduto a Ivan Maria tra un ormone e l’altro è un fatto irreversibile. Il fatto – raccontano le lettere di Ivan come il Terribile e Maria come la Madre di Dio – che “Egli è qui”.

«La lettera di Emanuele mi ha colpito molto, la sua gratitudine per ciò (che lui dice) ho fatto per lui: un giorno gli dissi: “Per tua figlia non preoccuparti: è tutto a posto, ci sono io che prego per lei”. Sai che non ricordavo esattamente questo. Ebbene questa mia frase l’ha colpito tanto da fargli suonare un campanello (da quello che mi ha scritto) e da quel momento tutto è cambiato. Mi ha chiesto se avessi potuto ottenere un permesso per fare da Padrino ad Agnese – purtroppo non è possibile… ma che bello!!! Solo il fatto che me l’abbia proposto mi ha fatto un immenso piacere. A volte mi chiedo: ma tutto questo non potevo viverlo fuori? Poi penso: no. Doveva succedere adesso perché Lui ha deciso così».

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