I giovani fanno da tappezzeria al crollo della sinistra e degli influencer

Dov'erano gli under 35 chiamati alle armi dalla politica ecologista e gender fluid e da cantanti e attivisti capaci di "spostare migliaia di voti" per difendere il pianeta, il diritto all’aborto, gli Lgbt, lo ius soli? Lontani dalle urne

Francesca Michielin e Fedez (foto Ansa)

«Oggi inizia la resistenza. Buongiorno a tuttз», twitta l’ormai iconica cantante ambientalista e femminista Francesca Michielin, sdegnata da quel panda di follower che le chiede rispetto per il “voto degli italiani”: «Sì certo, “il voto degli italiani”: pensa a quanti fuorisede non hanno potuto esprimere il loro voto, e pensa a quante persone nascono in Italia, parlano italiano, lavorano qui e non possono votare. Il paese non è reale».

Certo, per il partito panem et influencer fuori dallo smartphone o dalla Feltrinelli il paese non è reale, è un incubo: «Today is a sad day from my country» è la condivisissima Instagram story di Damiano dei Maneskin con tanto di copertina di Repubblica “Meloni si prende l’Italia”, ovunque è un calare di schermi neri, e c’è da chiedersi, come Giovanna Botteri all’indomani della vittoria di Trump, a che serve il lavoro di Fedez, Levante, Elodie, Marracash e compagnia cantante «se poi la gente vota diversamente?».

Ma non erano «le prime elezioni climatiche della storia»?

Dove stavano infatti i “milioni di followers” dei vip in servizio permanente alla causa di “spostare voti” il 25 settembre? Dov’erano i diciottenni di quella “generazione consapevole, informata, razionale” che emozionava scrittori ed editorialisti ad ogni discesa in piazza contro l’alternanza scuola lavoro, per la carriera alias, contro i cambiamenti climatici?

Dov’era l’entusiasmo, la rabbia, l’urgenza dei migliaia di Fridays for Future accampati al Torino Climate Camp per tentare l’intemerata tra gli applausi dei giornalisti: «Lanciare la volata al difficilissimo tentativo di fare in Italia qualcosa di simile a quanto visto in Australia a maggio: le prime elezioni climatiche nella storia del paese», e che Carlo Petrini invitava a «diventare protagonisti sulla scena politica, non solo italiana ma mondiale, e adesso sono pronti a farlo, è arrivato il momento»?

Dov’erano i giovani che non arretrano sui diritti?

Dov’erano i giovani senza paura come i figli dello stilista di Valentino Pierpaolo Piccioli, che «ci hanno insegnato che non esiste solo il genere femminile e quello maschile ma tanti altri, esattamente come in natura, esattamente come da sempre. Il loro vero privilegio è quello di “non avere paura” (…) Mi auguro che tutti i ragazzi dai 18 anni in su si rechino a votare il prossimo 25 settembre, perché non dobbiamo arretrare di un millimetro sui diritti acquisiti ma soprattutto i tempi sono maturi per acquisirne di nuovi e fondamentali»?

Chiara Ferragni invita al voto (foto Ansa)

Dov’erano i giovani baluardo del paese “più avanti della politica” a cui si è detto che tornava il fascismo, il patriarcato, arrivava l’Ungheria, Putin ma pure Trump, che Giorgia Meloni non era una donna, o era poco donna, o insomma una donna che odiava le donne, che era meglio l’uomo femminista della donna, che Laura Pausini era una ingrata, che la destra era schierata contro la lotta al cambiamento climatico, il diritto all’aborto, i diritti Lgbtq, Peppa Pig, i giovani a cui si sono rivolti i festivaloni dei giornali trascinando attivisti e tiktoker sul palco?

Dov’erano i pro-choice e i pro-Lgbtq della Ferragni?

Che avevano da fare quel giorno gli over 18 e gli under 35 dei 28 milioni di seguaci di Chiara Ferragni a cui l’influencer ha rivolto il suo appello al voto per difendere «il diritto delle donne all’aborto, il diritto delle persone Lgbt a non essere picchiate, insultate, discriminate per il proprio orientamento sessuale, il diritto dei giovani ad avere un futuro, il diritto di chi soffre a decidere della propria vita, il diritto di un bambino a sentirsi parte di questo Paese anche se figlio di stranieri»? Non votare, ammoniva l’influencer in modalità “Hollywood per Joe Biden”, «significa delegare ad altri ciò che sta a noi decidere. Andate a votare domenica 25 settembre».

Insomma, dov’erano i giovani cari alla sinistra ecologista e gender fluid a cui far dire tutto quello che pensava (e scriveva tutti i giorni sui quotidiani) la sinistra ecologista e gender fluid?

Giovani alla larga dai seggi elettorali

La risposta è: alla larga dai seggi elettorali. L’astensionismo dei giovani (tra i 18 e i 34 anni continuano a chiamarsi così) rilevato dai sondaggi e confermato alle urne ha mandato ai matti Enrico Letta: «C’è stata una grande astensione dei giovani: io ho fatto una campagna in cui ho messo i giovani al centro e il fatto che i nuovi elettori rimangano così lontani lo trovo inquietante». Inquietante. Anche perché, secondo i dati Opinio Italia per Rai, il partito più votato dai giovani tra i 18 e i 34 anni è stato il Movimento 5stelle. «Il M5s ha incrociato alcune istanze che sono tipiche al sud piuttosto che nel resto del Paese: il reddito di cittadinanza è sicuramente un provvedimento che ha aiutato i giovani che stavano in difficoltà», ha commentato Livio Gigliuto, secondo il quale i due temi che i partiti non sono riusciti a intercettare e che avrebbero fatto la differenza sono ambiente e lavoro.

Inquietante, anche perché al contrario, secondo lo scrittore Sandro Veronesi, la sinistra ha sbagliato proprio a non «mettere sul tavolo cose diverse dal lavoro» (come «difendere il diritto alla felicità») e la svolta per uscire dall’impasse si chiama Elly Schlein: «Domani, quando voteranno gli adolescenti che oggi discutono di identità sessuale ribaltandola, si sentiranno finalmente rappresentati da qualcuno che incarna la fluidità come Schlein. Questo aspetto è stato sottovalutato, ma non potrà più accadere, anche semplicemente per una questione di ricambio generazionale dell’elettorato».

La débâcle del partito degli influencer

Sottovalutato? Posto che da elaborazioni Swg su Camera e Senato FdI risulta il primo partito (scelto dal 22 per cento degli under 35 che hanno votato), la minestra servita è la stessa: nel paese virtuale ci si fa in quattro per blandire i giovani quando c’è da firmare per un referendum sull’eutanasia o sulla cannabis, quando serve promuovere lo ius soli e il voto ai sedicenni, quando bisogna spingere sull’acceleratore della transizione ecologica e della rivoluzione green; quando è necessario sponsorizzare il ddl Zan attraverso le stories dei Ferragnez, quando insomma c’è da pensare ai giovani come tappezzeria su cui far rimbalzare l’eco delle idee dall’alto di questo o quel Bosco Verticale.

Ma nel paese reale ci sono circa 9 milioni e mezzo di elettori under 35 e, dal referendum sull’eutanasia al ddl Zan non ne è andata in porto una: questa volta, a fare da tappezzeria alla vittoria “della destra”, ma anche al crollo della sinistra ecologista e gender fluid e alla débâcle del partito degli influencer, i giovani ci hanno pensato da soli. E questo non sembra affatto un dato inquietante.

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