«Draghi non era il messia e Meloni non è il diavolo»

Il voto italiano visto all'estero tra cliché e sorprese. Se media e politici di sinistra gridano al pericolo, giornali come il FT fanno un'apertura di credito

I leader del centrodestra Matteo Salvini, Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni e Maurizio Lupi in Piazza del Popolo a Roma, il 22 settembre 2022 (Ansa)

I commenti arrivati dall’estero sulle elezioni italiane, e sulla vittoria del centrodestra trainata dal successo del partito di Giorgia Meloni, si caratterizzano per due fattori: il primo è lo spartiacque fra quanti qualificano come “estrema destra” Fratelli d’Italia e si aspettano che il governo che esso guiderà avrà tale impronta, e quanti invece ridimensionano gli allarmi e rigettano l’etichetta estremista frettolosamente incollata da tanta stampa estera nel corso della campagna elettorale; il secondo fattore è la proiezione delle proprie personali fissazioni politiche sul risultato delle elezioni italiane: molti osservatori vedono nel risultato italiano quello che più li ossessiona o in termini di desiderio o in termini di paura.

«Estremisti di destra»

A vedere nel successo del centrodestra italiano una vittoria dell’estrema destra sono testate come El Pais in Spagna, il New York Times negli Stati Uniti, Le Monde in Francia, il Guardian in Inghilterra, e di destra estrema hanno scritto prima e dopo le elezioni in Germania testate popolari come Stern (che ha definito Giorgia Meloni «la donna più pericolosa d’Europa») e la Bild, che prima delle elezioni parlava di “ultradestra” e adesso si chiede come l’aspirante presidente del Consiglio riuscirà a tenere insieme «estremisti di destra ed elettori della classe media nel proprio partito».

Sempre negli Usa Cnn e Politico non utilizzano l’espressione “estrema destra”, ma alimentano un’atmosfera di tragedia imminente battezzando con parole identiche quello che prevedono essere «il governo italiano più a destra dai tempi di Mussolini».

Draghi e Meloni

Da questo coro si distaccano testate insospettabili, e che contano parecchio in Europa, come il Financial Times di Londra e la Frankfurter Allgemeine Zeitung in Germania.

Per Tony Barber, direttore per l’Europa del quotidiano della City, «ci sono solide ragioni per mettere in discussione l’opinione, espressa occasionalmente fuori dall’Italia durante la campagna elettorale, secondo cui il risultato fa presagire un balzo verso l’estremismo. Meloni ha ottenuto il suo trionfo sulla base di una piattaforma nazionalista conservatrice che doveva molto più alle formule che hanno portato al successo le coalizioni di Berlusconi che a qualsiasi politica associata con il Movimento Sociale Italiano, il partito neofascista della fine degli anni Quaranta e Cinquanta da cui discende indirettamente Fratelli d’Italia».

Sulla Faz (i cui lettori tedeschi per ceto e per interessi costituiscono grosso modo l’equivalente dei lettori britannici e non solo del Financial Times) il corrispondente dall’Italia Matthias Rüb (in precedenza corrispondente per 11 anni dagli Stati Uniti) tranquillizza i lettori preoccupati scrivendo: «Tutto il mondo piange Mario Draghi come Primo Ministro italiano. Una parte del mondo demonizza la sua presunta erede Giorgia Meloni. Entrambe sono sciocchezze: Draghi non era il messia e Meloni non è il diavolo. Con le elezioni di domenica l’Italia è tornata alla normalità politica. C’è stato uno spostamento a destra, ma nessuna catastrofe sismica politica che possa scuotere la democrazia in Italia e mettere a repentaglio il futuro dell’Europa».

L’elemento ragionevole

Evitano di appiccicare l’etichetta di estrema destra alla compagine vincitrice delle elezioni italiane l’Economist, che propone il lemma “destra nazionalista”, e il francese Le Figaro (storicamente gollista, oggi genericamente di centrodestra), che definisce Fratelli d’Italia «partito nazional-conservatore» e che giudica Giorgia Meloni «l’elemento ragionevole della coalizione» rispetto agli alleati Berlusconi e Salvini.

Le Figaro si unisce al coro di quanti scartano l’idea che un governo a guida Meloni sarebbe condizionato dall’eredità del fascismo, e tuttavia vede caratteristiche mussoliniane nella nuova “donna forte” della politica italiana: «Il fuoco che l’avvampa quando arringa i suoi sostenitori, il misto di leadership e fermezza che mobilita per guidare il suo partito, l’intelligenza con cui ha saputo cogliere gli umori di una società in crisi e le vulnerabilità di una sistema politico sfiatato: tutto questo viene, sembra, da molto lontano».

Diritto ad abortire

Con questo approdiamo all’elenco potenzialmente infinito di coloro che hanno sfruttato la possibilità di commentare le elezioni italiane per esternare i propri incubi o i propri sogni. Cominciamo con gli incubi. Il ministro degli Esteri socialista spagnolo Juan Manuel Albares, profeta di sventura, vaticina che «in tempi di incertezza, i populismi crescono e finiscono sempre nello stesso modo, con una catastrofe».

Il primo ministro francese Elisabeth Borne, che guida un governo di minoranza su incarico del presidente Macron, annuncia che darà manforte a Ursula Von Der Leyen (le cui parole dall’America alla vigilia del voto circa i condizionamenti che la Ue avrebbe potuto esercitare sul nuovo governo italiano sono state intese da molti come un’interferenza nella sovranità e nell’esercizio della democrazia da parte dell’Italia) nel sorvegliare il rispetto dei diritti umani in Italia, a partire dal… diritto ad abortire: «Certo, saremo attenti con la presidente della Commissione europea affinché questi valori sui diritti umani, sul rispetto reciproco, in particolare sul diritto all’aborto, siano rispettati da tutti».

La Cina, ancora irritata per le parole della Meloni su Taiwan di settimana scorsa, esorta per bocca del portavoce del ministero degli Esteri Wang Wenbin «le persone rilevanti in Italia» a riconoscere «l’elevata sensibilità della questione di Taiwan», evitando di inviare «segnali sbagliati» alle forze secessioniste.

Chi esulta per Fdi

Sul versante opposto ci sono quelli che nel successo della Meloni vedono un apporto di linfa alle cause che stanno loro a cuore. Ovviamente ci sono leader ed esponenti che fanno parte con Fratelli d’Italia dell’Ecr, il Partito dei Conservatori e dei Riformisti europei dentro al Parlamento europeo.

Lo spagnolo Vox twitta: «Stanotte milioni di europei ripongono le loro speranze sull’Italia. Giorgia Meloni ha indicato la strada per un’Europa orgogliosa, libera e di nazioni sovrane»; il primo ministro ceco Petr Fiala, esponente del Partito democratico civico che fa parte di Ecr, twitta a sua volta congratulazioni e conclude: «Attendo con impazienza la futura cooperazione sulla politica europea e nel gruppo Ecr».

Stessa musica da parte di Morawiecki, primo ministro polacco, e dei Democratici svedesi, ma anche di Orban e di Marine Le Pen, che non fanno parte dell’Ecr. Dalla Francia arrivano gli apprezzamenti più sinceri.

Marion Maréchal, figlia di Marine Le Pen che ha lasciato il Rassemblement National per la destra radicale di Reconquête, il partito di Eric Zemmour, ha spiegato in tivù che la vittoria della Meloni è molto positiva per la Francia, perché la nuova politica migratoria italiana metterà un argine all’immigrazione clandestina in Europa e un minor numero di donne francesi dovranno temere di essere violentate… Sulla stessa linea si ritrova François Xavier-Bellamy, europarlamentare dei Républicains, che fanno parte del Ppe. Il docente di filosofia nei licei ha ricordato che attraverso l’Italia passa la metà di tutti gli immigrati clandestini in Europa, e che «il vero pericolo per l’Europa non è la Meloni, ma i decisori che non vogliono ascoltare gli elettori».

Speranzoso anche il portavoce del governo russo Dmitri Peskov, che ha dichiarato: «Mosca è pronta ad accogliere qualsiasi forza politica pronta a mostrare un atteggiamento costruttivo nei confronti della Russia», e sulla sponda opposta, quella filo-ucraina, l’editorialista pro-Brexit del Daily Telegraph William Nattrass, che in un commento intitolato “La vittoria della Meloni riaccenderà il conservatorismo euroscettico scrive: «L’attenzione del suo partito su cultura, identità, immigrazione e rabbia nei confronti di Bruxelles offre un nuovo modello da seguire per i partiti di destra».

Il caso Orban

Palesemente in Europa e non solo coloro che tirano per la giacchetta Giorgia Meloni sono più numerosi di quelli che vorrebbero ricacciarla nelle fogne. Aveva torto Marcello Sorgi quando scriveva sulla Stampa che la leader di Fratelli d’Italia aveva perso l’occasione per essere accettata dai poteri forti americani ed europei quando aveva votato contro la mozione di condanna dell’Ungheria di Orban presentata al parlamento europeo e approvata anche da Forza Italia. La Meloni si è coperta le spalle benissimo nei riguardi di Washington e di Londra (come dimostra il commento sul Financial Times) quando ha ribadito la linea atlantista e filo-americana sia sull’Ucraina che su Taiwan.

La confermata solidarietà con Orban e con gli altri conservatori e ultraconservatori europei è invece lo strumento migliore per ridurre a più miti consigli Ursula Von Der Leyen, il resto della Commissione Europea e l’ala del Ppe appagata dall’”inciucio” di fatto coi socialisti al Parlamento Europeo. Il disegno della Meloni è di spaccare il Ppe e cucire un’alleanza fra la sua ala destra (incarnata da Manfred Weber, capogruppo tedesco del Ppe al parlamento europeo, ma anche dai conservatori francesi come François-Xavier Bellamy) e le forze nazional-conservatrici dell’Ecr. E non c’è bisogno di portarlo a compimento: basterà agitarlo come minaccia credibile per ottenere concessioni da Bruxelles. Le concessioni di cui hanno bisogno l’Italia come paese e il governo che dovrebbe nascere a breve.

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