Il disastro del Niger, l’ombra di Mosca, le colpe dei francesi

Se dopo Mali e Burkina Faso anche «l’unico alleato rimasto all’Occidente nel Sahel» finirà sotto l’ala di Putin, gran parte del “merito” sarà dell’interventismo «coloniale» di Parigi

Manifestazione a Niamey a favore del golpe in Niger, 30 luglio 2023. «La Francia deve andarsene», recita il cartello

Il golpe del generale Abdourahmane Tiani contro il presidente del Niger Mohamed Bazoum ci riguarda da vicino perché, dopo il Mali nel 2021 e dopo il Burkina Faso nel 2022, anche «l’unico alleato rimasto all’Occidente nel Sahel» (Repubblica) minaccia di tagliare i ponti con la Francia e di finire tramite i mercenari della Wagner nella sfera di influenza della Russia. Vedi l’assalto all’ambasciata francese al grido di «viva Putin».

La crisi nigerina ci riguarda e ci sono motivi precisi se l’Italia si sente particolarmente coinvolta. Ha scritto ieri Fausto Biloslavo per Il Giornale:

«Uno dei pericoli è l’alleanza delle forze golpiste in Mali, Burkina Faso, già schierati con i russi e Niger. Tre paesi confinanti nell’area strategica del Sahel. Un motivo in più di cautela per l’Italia, che punta sul Niger per contrastare il traffico di migranti e sviluppare il futuro Piano Mattei».

«Non sappiamo cosa farà domani la Francia»

L’Italia, come ha detto Antonio Tajani martedì dopo la riunione sulla situazione del Niger con la premier Giorgia Meloni, il sottosegretario Alfredo Mantovano e il ministro della difesa Guido Crosetto, «auspica una soluzione negoziale a la costituzione di un governo riconosciuto dalla comunità internazionale». Ma a questo proposito un altro motivo di preoccupazione – forse perfino più del golpe in sé (del resto, come ha notato Domenico Quirico venerdì sulla Stampa, in Africa «i presidenti francesi, dopo le finte indipendenze, ne hanno ordinati e commissionati a decine per tener in ordine il cortiletto della “grandeur”») – è proprio l’imprevedibilità delle mosse francesi.

Queste le parole inquietanti di Crosetto registrate da Gianluca Di Feo su Repubblica ieri:

«Non mi viene in mente un solo caso di politica internazionale in cui i 27 [Stati membri dell’Unione Europea] siano d’accordo. Sul Niger io non so che cosa pensa e cosa farà domani la Francia. Non lo sa la Germania e non lo sanno gli Usa».

La smentita di Parigi, le accuse dei golpisti

Domenica l’Ecowas, la Comunità economica dei paesi dell’Africa occidentale, ha dato ai militari del Niger una settimana per restituire il potere al governo democraticamente eletto, non escludendo alcuna misura di risposta, nemmeno la forza. L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri Josep Borrell ha twittato che l’Europa «sostiene tutte le misure adottate da Ecowas come reazione al colpo di Stato avvenuto in Niger e le appoggerà rapidamente e con decisione». E Parigi da parte sua – è sempre Repubblica a scriverlo – «sembra spingere per un intervento contro i golpisti, una mossa che rischierebbe di coalizzare i pretoriani ribelli del generale Tiani, l’esercito nigerino e larga parte della popolazione, innescando un conflitto feroce».

Ufficialmente, per bocca del ministro degli Esteri Catherine Colonna, il governo francese ha escluso l’intenzione di attivare l’esercito, ma la giunta che ha preso il potere a Niamey accusa apertamente la Francia di preparare «attacchi aerei sul palazzo presidenziale in mano ai militari» e paventa «massacri e caos» in caso di intervento armato straniero. Con Mali e Burkina Faso sulla stessa linea: «Un intervento armato in Niger sarebbe una dichiarazione di guerra contro di noi».

No ai «cowboy bianchi nel saloon»

Il timore che qualcuno incautamente «inneschi un conflitto feroce», insomma, ha ragioni fondate e traspare anche questo dalle dichiarazioni di Crosetto riprese da tutti i giornali contro la tentazione di «fare i cowboy nel saloon». Secondo il ministro della Difesa «un intervento condotto da europei bianchi per incidere in una cosa interna rischierebbe di avere effetti deflagranti. Il compito dell’Occidente non è buttare benzina, ma gettare acqua sul fuoco. Secondo me la situazione è recuperabile senza interventi troppo duri». Recuperabile finché il presidente Bazoum resterà in vita, benché tenuto in ostaggio nella residenza presidenziale a Niamey.

Secondo una lettura dei fatti piuttosto diffusa (e forse troppo facile, ammonisce per esempio Domani), dietro il colpo di Stato contro Bazoum ci sarebbero proprio i mercenari della Wagner e dunque i russi. E al netto del fatto che Mosca ha preso esplicitamente le distanze dai golpisti dichiarandosi «favorevole» al «rapido ripristino dello stato di diritto», e che l’esistenza della presunta trama putiniana è ancora tutta da provare (la Casa Bianca ha dichiarato ufficialmente che a oggi «non risultano» manine russe dietro l’ammutinamento), sono ormai innegabili le mire russo-cinesi sull’Africa in chiave antioccidentale. È anche dalla necessità di contrastare questo espansionismo che nasce il nuovo feeling tra Washington e Roma, come ripete da tempo Lodovico Festa nelle sue preghiere del mattino.

Putin o meno, comunque, se c’è una certezza in questo quadro, hanno fatto notare in questi giorni alcuni osservatori, è la capacità francese creare caos nel Sahel, ossia proprio nella regione dove da una decina d’anni Parigi «si presenta come la portabandiera dell’intervento occidentale» contro le scorribande dei terroristi islamici. Non bastassero a dimostrarlo i casi del Mali e del Burkina Faso, ecco che la vicenda del Niger aiuta ad aprire gli occhi.

Morte di un «impero coloniale»

È qui infatti, in Niger, che «muore l’impero coloniale della Francia: miseramente, senza stile, tra bugie e porcherie», ha scritto il 28 luglio Domenico Quirico nel suo duro commento per La Stampa.

«Nel Sahel i francesi sono detestati da gran parte della società civile, la loro presenza collegata a una “lotta al terrorismo” che serve a puntellare le vecchie colpe, è necessaria solo a una borghesia di scrocconi di tutti gli affari tenebrosi, di losche figure specializzate nelle speculazioni con gli aiuti per lo sviluppo, di politicanti che parlano di democrazia solo per svaligiarla. […] La Wagner non ha inventato niente in Africa, ha solo riempito con traffici e violenza suoi i vuoti che la Francia, e l’Occidente, ha scavato in questi paesi: con decenni di complicità interessate e di sfruttamento, coltivando servilità e prostituzioni dei suoi alleati al potere, consentendo la saldatura tra l’ingiustizia da denaro e l’ingiustizia da potere. Un luogo dove siamo stati a un tempo corrotti e corruttori».

Sottosviluppo e sfruttamento dell’uranio

Che cosa abbia fatto di male la Francia da quelle parti lo ha dettagliato bene ieri Gian Micalessin sul Giornale. Il peccato originale risale al 2013, dieci anni fa, quando François Hollande decise che toccava a Parigi «sottrarre il Sahel al controllo jihadista e stabilizzarlo». Peccato che il presidente socialista – ed è uno dei motivi per cui è caduto in disgrazia seppellendo con sé il suo partito – si sia dimenticato di accompagnare le operazioni militari con «azioni politiche e diplomatiche capaci di conquistare cuore e mente degli abitanti cancellando la memoria del passato coloniale».

È proprio questo l’approccio che il governo italiano intende ribaltare con il Piano Mattei. Mentre anche a causa della superficialità francese e occidentale il «Niger è rimasto uno dei dieci paesi più poveri del mondo nonostante lo sfruttamento degli ingenti giacimenti di uranio». Uranio che in gran parte è infatti destinato ad alimentare le centrali nucleari francesi. Ma non è finita:

«Su Parigi pesa anche l’accusa di aver chiuso gli occhi sulla corruzione e sull’inadeguatezza di leader come Mohamed Bazoum, l’ex presidente del Niger colpevole – secondo i militari responsabili della sua deposizione – di anteporre gli interessi dell’ex potenza coloniale che l’ha portato al potere a quelli del proprio paese».

Il fallimento della lotta al terrorismo

E non ha certo contribuito a creare un clima di fiducia la scelta francese, nel 2022, di spostare il contingente dal Mali al Niger «senza consultare Niamey», così «amplificano l’impressione di una Francia incurante della sovranità delle nazioni del Sahel», continua l’inviato di guerra del Giornale. Per di più, nemmeno dal punto di vista strettamente militare l’interventismo francese è servito a granché. Anzi. L’opinione pubblica della regione «considera il caos della Libia la conseguenza dell’intervento francese». E le violenze e i soprusi da parte dei gruppi islamisti non sono affatto finiti in Niger. Ancora Micalessin:

«In questo clima ha trovato facile spazio la narrazione, sicuramente infondata, ma politicamente efficace, di una Francia impegnata a favorire la crescita dei movimenti islamisti per giustificare la presenza militare. […] Come se non bastasse l’avanzata “qaedista” – accompagnata dall’arretramento delle forze governative e da spietati raid contro i centri abitati – alimenta il risentimento nei confronti di un’ex potenza coloniale colpevole di tradire la promessa di difendere gli abitanti della regione».

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Questo articolo è stato aggiornato alle ore 10 di mercoledì 2 agosto 2023 per includere la dichiarazione del governo degli Stati Uniti relativa alla assenza di prove di un coinvolgimento della Russia nel colpo di Stato in Niger.

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