«Credi in Dio o in Xi Jinping?». Così la Cina indottrina gli uiguri

Zumrat Dawut, uigura sterilizzata a forza dal regime e scappata negli Stati Uniti dopo tre mesi in un campo di lavoro nel Xinjiang, racconta cosa succede nelle carceri per gli uiguri

«Credi in Allah o in Xi Jinping?». È questa una delle domande che gli uiguri si sentono rivolgere quando vengono rinchiusi nei campi di rieducazione attraverso il lavoro del Xinjiang. A rivelarlo in una recente intervista a Breitbart è Zumrat Dawut, nata e cresciuta nella capitale provinciale di Urumqi, incarcerata in un campo per tre mesi il 31 marzo 2018. Dawut è riuscita a scappare nell’aprile 2019 negli Stati Uniti e oggi, ottenuto l’asilo politico, vive a Washington con il marito e i tre figli.

La persecuzione degli uiguri in Cina

Dawut ha testimoniato sulle violenze subite anche alle Nazioni Unite e la sua storia è molto simile a quella raccontata da altre donne. Come lei, almeno 1,5 milioni di musulmani uiguri sono stati rinchiusi a partire dal 2017 in quelli che il Partito comunista cinese chiama “scuole di formazione”, ma che in realtà sono vere e proprie prigioni (qualcuno parla di campi di concentramento) dove gli internati subiscono il lavaggio del cervello e sono spesso costretti a subire il lavoro forzato. L’obiettivo del regime è correggere le idee islamiche ed estremiste della minoranza etnica.

Dawut è stata rilasciata dal carcere il 2 giugno, ma il governo si è rifiutato di restituirle il passaporto se prima non si fosse sterilizzata. Infatti, è stata accusata di aver concepito un terzo figlio nonostante la legge lo vietasse. Oggi in Cina è consentito avere più di due figli, ma nel 2018 era ancora vietato. Il governo ha prima comminato un’esorbitante multa alla famiglia di Dawut pari a 18 mila yuan (circa 2.500 euro), poi l’ha costretto a farsi sterilizzare. Le autorità cinesi sostengono che Dawut mente e che lei stessa ha firmato il consenso alla sterilizzazione. Ma come dichiarato dalla donna in una recente intervista, «mi hanno detto: “Se non ti fai sterilizzare, potresti non poter più rientrare in Cina e i tuoi figli non potranno andare a scuola”».

«Non sono carceri normali»

Parlando con Breitbart, Dawut racconta:

«Non sono prigioni normali. Iniettano alla gente medicine sconosciute e torturano le persone. Sono rimasta rinchiusa per 62 giorni ed ero pronta a morire in ogni momento. I prigionieri erano costretti a studiare il “Pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era” e chi non imparava abbastanza velocemente veniva picchiato».

«Credi in Dio o in Xi Jinping?»

Dawut spiega anche che «quelle prigioni non sono scuole di formazione. Arrestano avvocati, dottori, persone intelligenti, l’élite della società uigura: non solo chi non ha competenze per lavorare». Addirittura, la donna aggiunge che «alle persone veniva chiesto se credevano in Dio. Se rispondevano di sì, venivano uccise. Solo chi diceva di credere in Xi Jinping continuava a vivere. Ho visto con i miei occhi le guardie torturare una persona per aver detto: “Credo in Dio e non in Xi Jinping”. Poi l’hanno portata via e non ne abbiamo più saputo niente».

I corsi di indottrinamento non sono una novità in Cina. Si sono svolti regolarmente e costantemente per tutta la popolazione dal 1949 fino alla morte di Mao Zedong nel 1976. Dopo l’apertura del paese nel 1979, il maoismo è scemato nella vita di tutti i giorni ma all’interno delle prigioni e dei campi di lavoro, torture e lavaggio del cervello non sono mai finiti.

«Gli han vogliono eliminarci»

Ora Dawut afferma che «noi uiguri non possiamo più vivere con gli han», l’etnia di maggioranza in Cina. «Abbiamo sofferto troppo: l’unica cosa che vogliono fare è eliminarci con un genocidio». Negli ultimi quattro anni sono state raccolte molte prove sugli omicidi e i suicidi che avvengono regolarmente nei campi di lavoro destinati agli uiguri, anche se non ci sono prove che la violenza del regime sia sfociata in un “genocidio”.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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