Con le sue umili obiezioni a Francesco, Messori è più bergogliano di tutti gli zelanti “papa boys”

Nei giorni scorsi l’intellettuale cattolico Vittorio Messori ha preso carta e penna per esprimere, in prima pagina sul Corriere della Sera, il suo personale giudizio (“oscillante di continuo tra adesione e perplessità”) sul pontificato di papa Francesco. L’articolo può essere letto qui e giudicato da ciascuno.

A chi scrive, per quanto possa interessare, sono bastati pochi minuti per scorgervi un senso di educazione e delicatezza, le quali, nel caso in questione, non paiono astuti artifici formali, ma la materia concreta di cui tutto il testo trasuda: la chiamerei umiltà.

Mentirei, però, se dicessi che questa pubblica sollevazione di dubbi non mi ha sorpreso e all’inizio un po’ turbato. È comprensibile per chi, come il sottoscritto, di Papa Francesco ha sempre apprezzato tutto o quasi: sorpreso e commosso, più di ogni altra cosa, dall’integralità della sua fede, una sorta di vestito perenne che porta addosso e che sembra penetrare ogni suo gesto, compresi quelli che possono provocare spiazzamento. Inoltre in rete, prima di leggere l’articolo, avevo osservato commenti poco gentili su Messori, per usare un eufemismo.

Tutto questo, per fortuna, non mi ha sottratto alla lettura, né, subito dopo, alla domanda: è legittimo, per un cattolico, per di più tanto autorevole, esprimere le proprie perplessità sul Papa in forma pubblica? Ebbene, la mia risposta è sì. Sì se con questo stile, con questo tatto, questa apertura, questa umiltà, questo senso del limite, questo dubbio leale, che non smette di essere riconoscimento certo del Papa e del suo ruolo, ma non nasconde perplessità, se ci sono, senza annegarle in una pacifistica, ma menzognera e irrazionale, adesione senza se e senza ma. Non solo è legittimo, è anche coraggioso e può essere, Dio lo voglia, fecondo.

Per questo, a maggior ragione, non ho apprezzato il sottile linciaggio mediatico che ha dovuto subire Messori in questi giorni. Penso a scritti come quello del vaticanista Luis Badilla, che non entrano nel merito della questione (ovvero delle obiezioni di Messori al Papa), ma semplicemente ridicolizzano il contenuto e tendono a screditare l’autore. E mi è dispiaciuto ancor di più notare che simili scritti siano stati diffusi sul web da figure autorevoli del mondo cattolico (da me stimate) come il vaticanista della Stampa Andrea Tornielli e il direttore di Civiltà Cattolica Antonio Spadaro. Mi ha offerto l’impressione – spero sia solo tale – di una sorta di “lotta tra bande”, come se ci fosse bisogno di difendere il Papa da Messori o da chissà chi, come se qualcuno avesse dichiarato una sorta di guerra interna (e Messori non lo fa). Per non parlare poi di articoli come quello di Leonardo Boff, teologo della liberazione, che per difendere Bergoglio da Messori finisce per scaricare (e come no?) l’attacco su Papa Ratzinger (Messori, al contrario, ha lealmente indicato, e fatto pesare, l’approvazione di Ratzinger a Bergoglio).

Si è parlato spesso, e giustamente male, del concetto di “cattolico adulto”, ovvero svincolato in tutto e per tutto dal giudizio della Chiesa e del suo Pontefice. Io però non sopporto neppure quello adolescente, ovvero tanto affascinato e sognatore da innamorarsi dei propri miti senza metterli mai in discussione, come si fa a 15 anni con i cantanti. E di tutto abbiamo bisogno, ma non di certo di un Papa “mito”, intoccabile rock star.

Ciascuno, dunque, legga e giudichi con la propria testa. Io, per me, preferisco i “messori” agli “adolescenti” papa boys. Ovvero l’allievo che alza la mano, con correttezza e rispetto, per giudicare la lezione del professore in cattedra, rispetto a chi deride, squalifica e minimizza le parole del compagno senza veramente argomentare e senza riflettere mai sui propri miti.

“Non mitizzate” dico spesso ai miei allievi. Mi ha reso felice, di recente, il fatto che un simile richiamo sia arrivato da qualcuno più autorevole di me. “Non divinizzate i capi” ha detto lui. Sapete chi è? Papa Francesco (decima malattia del Catalogo delle “malattie della Curia”). È lo stesso uomo che un giorno telefonò a Mario Palmaro, l’intellettuale che quasi tutti i giorni lo criticava (con ben altri toni rispetto a Messori) sulle pagine del Foglio. Bergoglio non sentì il bisogno di banalizzare, ma di incontrare, essere vicino alla malattia che quell’uomo stava affrontando.

Palmaro morì giovane poche settimane dopo, a 45 anni, lasciando moglie e quattro figli. Quella telefonata ha reso più belle la sua vita e la sua morte. La critica non divenne distacco ma occasione. È il Bergoglio style, che tanti suoi fan farebbero bene a imitare.

@PinoSuriano

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