Case green. Per il clima servono prezzi e non piani quinquennali

La normativa europea sulle emissioni degli edifici introduce una nuova lunga serie di obblighi. A che pro se l'obiettivo è irrealistico? Una proposta alternativa

La pianificazione climatica dell’Unione Europea procede a tappe forzate e si arricchisce di un altro tassello o, per meglio dire, mattone. Il Parlamento europeo ha approvato la direttiva sulle emissioni degli edifici. L’elenco degli obblighi introdotti è lunghissimo.

Si parte dagli edifici nuovi privati che dovranno essere a zero emissioni tra sei anni; per quelli pubblici la scadenza è ancor più ravvicinata. Si prosegue con l’obbligo di ristrutturare almeno il 16 per cento degli edifici pubblici al 2030 per salire al 26 per cento tre anni più tardi. E ancora: -16 per cento dei consumi energetici per le case a fine di questo decennio e -22 per cento cinque anni più tardi. Diverrà obbligatorio installare i pannelli solari su tutti i nuovi edifici pubblici. E dal 2040 sarà vietato installare caldaie a gas. Ora toccherà ai singoli Paesi presentare piani nazionali conformi al grande piano europeo.

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La strada intrapresa per il settore immobiliare è analoga a quella prescelta per la produzione di energia elettrica, per la mobilità e per tutti gli altri settori dell’economia. Si parte con la definizione dell’obiettivo che si vuole conseguire – azzerare le emissioni a metà secolo – e poi, a ritroso, si attuano misure specifiche in grado di garantirne il raggiungimento. Tale approccio è criticabile sia in riferimento al fine sia ai mezzi adottati.

Emissioni zero e case green

La prima domanda che dovremmo porci è: l’azzeramento delle emissioni in Europa al 2050 è desiderabile? Si è dato per scontato che lo sia perché solo il conseguimento di tale risultato – esteso a tutto il mondo – consentirebbe di mantenere l’aumento di temperatura della Terra entro gli 1,5 °C.

Come quasi tutti sanno, ma pochissimi dicono, si tratta di un obiettivo irrealistico. Lo era già quando fu formulato nel 2015 e a maggior ragione lo è oggi: nel decennio trascorso le emissioni nel mondo invece di ridursi hanno continuato ad aumentare sebbene più lentamente che nei decenni precedenti. Per limitare il riscaldamento a un grado e mezzo sarebbe oggi necessario azzerare le emissioni in soli dodici anni mentre ne avremmo a disposizione una sessantina se ci accontentassimo, come ancora ci proponevamo di fare dieci anni fa, di rimanere sotto i 2°C.

Ma, facciamo finta che il resto del mondo non esista, e guardiamo solo a casa nostra. Il net zero europeo al 2050 dovrebbe essere considerato auspicabile solo se i costi da sopportare per raggiungerlo fossero inferiori ai benefici. La UE non ha prodotto alcuna valutazione ufficiale della politica. Un’analisi costi-benefici è stata prodotta dall’economista Richard Tol, professore di economia all’Università del Sussex. Il risultato è molto negativo: il costo totale è stimato pari ad almeno il 3 per cento del PIL dell’Unione mentre i benefici sono valutati pari allo 0,3 per cento. Il rapporto benefici/costi è dunque pari a 1/10 nell’ipotesi di una politica efficiente di riduzione delle emissioni.

Trend storico delle emissioni di CO2 nel mondo e di riduzione delle stesse per contenere l’aumento di temperatura entro gli 1,5 °C o i 2 °C

Pianificazione economica

Nella realtà – e veniamo ai mezzi – le misure poste in atto sono tutt’altro che ottimali. Il problema della pianificazione ambientale non è diverso da quello della pianificazione economica tout-court.

Lo ricordava qualche anno fa anche Paul Krugman, l’economista liberal più noto al mondo, lontanissimo da una visione mercatista, che si chiedeva: «In che modo dovremmo ridurre le emissioni? I consumatori dovrebbero cercare di utilizzare meno energia? Dovrebbero modificare i loro consumi? Si dovrebbe produrre energia da fonti a basse o a zero emissioni? Dovremmo provare a catturare la CO2 dall’atmosfera? Sarebbe molto difficile stabilire regole per raggiungere tutti questi obiettivi; infatti, anche solo comparare le emissioni di una scelta semplice, come se guidare o volare verso una città a poche centinaia di miglia di distanza, non è affatto un problema semplice».

Il pianificatore centrale non dispone di informazioni sufficienti per decidere come allocare le risorse.

Dare un prezzo alla CO2

Un’alternativa ci sarebbe. È quella di dare un “prezzo” a ogni tonnellata di CO2 emessa e poi lasciare fare a consumatori e produttori che agirebbero sui vari margini avendo consapevolezza dei costi delle diverse opzioni disponibili.

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Questa forma di regolazione, in parallelo con l’abolizione di divieti, obblighi, sussidi, consentirebbe di discriminare automaticamente tra riduzioni di emissioni che vale la pena effettuare e altre che invece sono troppo costose. Sarebbe nell’interesse di tutti tranne di coloro – da un lato i burocrati e dall’altro coloro che meglio sanno muoversi nei corridoi di Bruxelles per garantirsi provvedimenti tagliati su misura – per i quali è preferibile l’approccio attuale prediletto anche dai tanti che vedono nella riduzione delle emissioni whatever it takes cioè non un fine ma un mezzo per rivoltare come un calzino un sistema economico che non è di loro gradimento.

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