L’ingannevole e giovanilistica idea del voto ai sedicenni

Che nel corso di una campagna elettorale i partiti si accusino reciprocamente di portare avanti proposte demagogiche e irrealizzabili, fa parte della fisiologia della politica multipartitica. Probabilmente è vero che stavolta c’è più materia di scandalo che in passato. Non starò a ripetere la litania delle proposte stravaganti o insostenibili formulate dai vari leader o dai comprimari, ma trovo particolarmente esilaranti alcune di quelle presentate come risposte alla crisi ambientale: l’abolizione dei jet privati (che in Italia sono 133…) proposta da Alleanza Verdi Sinistra e il milione di alberi da piantare ogni anno attorno alle città italiane (voglio proprio vedere dove li mettono a Genova, a Venezia o a Trieste, e come faranno a curarli perché non muoiano a migliaia come a Milano) avanzato da Berlusconi saranno ricordati come exploit della mancanza di senso del ridicolo e di senso della realtà. Ma c’è una proposta demagogica che i partiti non si rinfacciano, perché è condivisa dagli esponenti di punta dei vari schieramenti: quella del voto ai sedicenni.

Un’idea che piace a Letta, Salvini e Conte

Molti ricorderanno che l’estensione del voto a chi ha compiuto i 16 anni è stata menzionata insieme ad altre riforme dal segretario del Pd Enrico Letta al momento della presentazione del programma del suo partito, ma non si tratta di un’esclusiva: favorevolissimo all’innovazione, Matteo Salvini ha spinto la Lega a presentare un progetto di legge in materia, e già tre anni fa Conte, Di Maio e Grillo (che è tornato sull’argomento pochi giorni fa) avevano manifestato il proprio consenso all’idea. Questa è l’Italia del 2022: un paese dove il guru ispiratore del Movimento Cinque Stelle, cioè del partito di maggioranza relativa della conclusa legislatura, giudica prioritaria l’estensione del voto ai 16enni (che per quanto riguarda le elezioni politiche fra i paesi dell’Unione Europea è previsto solo in Austria e a Malta) perché «Il mondo appartiene a loro!».

Il mondo non appartiene a nessuno, perché nessuno di noi lo ha comprato o lo ha interamente prodotto da sé. È qualcosa che ci è stato dato in prestito perché ne potessimo fruire, e che metaforicamente restituiremo al momento della nostra dipartita, avendolo reso un po’ più ricco o un po’ più povero. Se proprio si vuole utilizzare la categoria della proprietà, sicuramente il mondo appartiene di più a chi è più avanti nell’età: basterebbe dare un’occhiata alle dichiarazioni dei redditi, ai conti correnti bancari, al catasto delle proprietà immobiliari. I sedicenni devono ringraziare genitori, nonni e zii se possono fare vacanze in giro per il mondo e viaggi all’estero, andare ai concerti e fare tardi per la movida con amici e amiche, vestirsi alla moda e cambiare il cellulare una volta all’anno: certamente i soldi non ce li mettono loro. Così come non ce li mettono loro (con rare eccezioni) per vitto, alloggio e spese per l’educazione. L’idea di dare la stessa facoltà di voto alle elezioni politiche a chi ha la responsabilità di mandare avanti una famiglia, a chi si confronta col problema delle tasse, dei mutui da pagare, del bilancio familiare, e a chi queste responsabilità non ce le ha, e semplicemente si avvantaggia dei sacrifici, del senso del dovere altrui, della dedizione genitoriale, non è semplicemente demagogica: è ingiusta e ingannevole. E paradossale.

L’adolescenza interminabile e il voto ai sedicenni

Il paradosso consiste nel fatto che le società occidentali sono diventate le società di quella che Silvia Vegetti Finzi ha definito «l’adolescenza interminabile»: non si diventa adulti mai, altro che a 16 anni! Un numero di giovani senza paragoni con altre epoche storiche e senza paragone con la situazione che prevale nel cosiddetto Sud del mondo continua a vivere in casa coi genitori anche in età adulta, non studia e non lavora anche dopo i 20 anni, non si sposa e non procrea nemmeno dopo i 30 anni. Allo stesso tempo si concede a ragazzi di 13-17 anni di comportarsi “da grandi” in un gran numero di materie: dai rapporti affettivi e sessuali alla gestione degli orari del sonno e della veglia, dalla libertà di entrare e uscire di casa a quella di invitarci chi si vuole. Gli stessi che poi ingrosseranno le file dei Neet (né lavoro né formazione), dei trentenni che continuano a vivere a casa dei genitori o di altri parenti prossimi, dei quarantenni e delle quarantenni ancora senza figli.

L’età incerta della Vegetti Finzi spiega che a produrre la condizione dell’adolescenza interminabile è la miscela contraddittoria di incoraggiamenti all’autonomia propria della condizione adulta e di infantilizzazione di fatto attraverso ricatti affettivi che fanno sentire il ragazzo non ancora pronto per la vita adulta. Questa è esattamente la contraddizione che si riscontra nel programma elettorale del Partito Democratico, che prevede di dare il voto ai 16enni e nello stesso tempo di estendere l’obbligo scolastico fino ai 18 anni. L’attuale obbligo scolastico fino ai 16 anni viene giudicato insufficiente a educare e formare un ragazzo, ma questo stesso ragazzo potrà votare alle elezioni. Se ne conclude che per votare non è necessario essere maturi e preparati. O che la politica non ha la stessa serietà della scuola. O che i politici vogliono approfittarsi di soggetti immaturi. In ogni caso, siamo davanti a quel messaggio contraddittorio («Sei già grande… No, sei ancora piccolo…») che favorisce lo sprofondamento nell’adolescenza interminabile.

Voto ai sedicenni per premiare la “generazione Greta”?

Il voto a 16 anni avrebbe senso in Africa o in America Latina, dove a quell’età i ragazzi ma soprattutto le ragazze sono già diventati genitori, sono già padri e madri con la responsabilità di una progenie, dove comunemente partecipano alla produzione di reddito o comunque alla produzione delle condizioni materiali di esistenza della loro famiglia di origine. In Italia la riforma viene richiesta con due distinte argomentazioni. Una dice che occorre dare il voto ai 16enni per incoraggiare i giovani a partecipare di più alla vita politica; l’altra afferma che è il momento di premiare la “generazione Greta”, cioè quegli studenti delle medie superiori che hanno dimostrato maturità politica partecipando al movimento dei Fridays for future.

In tanti crediamo che il modo migliore per incoraggiare giovani e meno giovani a partecipare alla vita politica democratica sarebbe quello di reintrodurre il voto di preferenza alle elezioni o almeno di organizzare elezioni primarie per la scelta dei candidati dei collegi uninominali. Finché i candidati alle elezioni saranno decisi dalle segreterie dei partiti, cioè in modo non democratico bensì oligarchico, qualunque provvedimento presentato come uno strumento per incoraggiare la partecipazione alla vita politica sarà nient’altro che una presa in giro. Quanto alla “generazione Greta”, non dovrebbe essere titolo di merito il partecipare a un movimento dagli obiettivi fumosi e irrealistici, di pura protesta senza proposta, identificato con la figura di una leader che accusa gli adulti di averle rubato l’infanzia, mettendosi spudoratamente sullo stesso piano dei bambini ai quali davvero l’infanzia è stata negata dalla guerra, dalla miseria e dalle malattie.

Per farlo bisogna modificare la legge

Per dare il voto ai 16enni sarebbe necessario modificare la legge che attualmente fissa la maggiore età a 18, perché l’articolo 48 della Costituzione stabilisce che per avere diritto al voto occorre essere maggiorenni. All’indomani di una tale modifica molte disposizioni di legge italiane apparirebbero contraddittorie, a partire dall’articolo 98 del Codice Penale, che prevede una pena ridotta per chi compie un reato ma ha meno di 18 anni e più di 14. Con la maggiore età fissata a 16 anni, i sedicenni non dovrebbero più godere del beneficio della pena ridotta, ma essere trattati come i maggiorenni.

L’altra faccia del giovanilismo in materia di diritto al voto sono le “facilitazioni” per gli elettori verosimilmente anziani. Tutte le sere in tivù la comunicazione istituzionale spiega a quali condizioni possa essere richiesto il voto domiciliare, riservato agli elettori con disabilità e patologie che non permettono loro di recarsi o di essere trasportati fino al seggio elettorale. Si tratta evidentemente di condizioni più comuni fra la popolazione anziana che fra quella giovanile. Un nutrito elenco di documenti da produrre e la data limite del 5 settembre per la domanda vengono specificati durante lo spot.

Ma una società che volesse riconoscere il valore insostituibile dei suoi anziani non li dovrebbe facilitare nel voto solo quando sono gravemente malati, ma sempre e per il solo merito della loro età. La prima impostazione incoraggia lo stigma sociale che identifica la condizione anziana con la fragilità che impedisce di esercitare delle facoltà. Serve, al contrario, un’impostazione che veda nell’anziano un patrimonio di esperienza, saggezza e realismo al quale la società non intende rinunciare nel momento in cui si scelgono i rappresentanti della volontà popolare. Il voto domestico sopra una certa età dovrebbe essere generalizzato e senza condizioni che non siano quelle relative agli anni che si sono compiuti. Si aspetta un partito o una coalizione che faccia propria questa proposta.

Foto Ansa

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