Verso le elezioni. Benvenuti in Liguria, regione a fine vita

Bilanci in rosso, invecchiamento della popolazione, record di denatalità. Cosa può aspettarsi dalle urne una regione condannata alla morte civile ed economica da decenni di assistenzialismo e di ideologia

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)

Da Levante a Ponente. Dalle Cinque Terre a Ventimiglia. Dalla mozzafiato “via dell’amore” tra la montagna e il mare. Al fiato mozzo delle “culle vuote” di crêuza e caruggi.

Popolo marinaio, popolo libero, si diceva una volta anche su queste sponde del Tirreno. Una volta le generose liguri dagli occhi ridenti erano davvero libere. Non andavano alle Maldive a cercare il “grande mare”. Ce l’avevano lì, il grande mare, schiumante sulla roccia sotto casa. Adesso la bella ligure sembra incupita in una vecchiaia di donna avvizzita all’ombra di un maschilismo accidioso e balordo. Ma insomma, nessun tempo è buono per la nostalgia. Il 31 maggio si vota il rinnovo del governatore e dell’amministrazione regionale. E per la prima volta c’è una novità nel rito di conferma della “regione rossa” tra le più rosse (con Toscana, Umbria ed Emilia) d’Italia. In Liguria sarà testa a testa. E non tra sinistra e destra, che è solo una conseguenza della novità politica di queste regionali 2015. Ma testa a testa all’interno del Partito democratico. Con l’effetto, forse, che a un centrodestra giunto al punto più basso della sua parabola, toccherà vincere e governare.

E infatti la campagna elettorale si apre con sondaggi che al blocco di partenza danno Pd (candidato governatore Raffaella Paita) e centrodestra (Giovanni Toti) praticamente appaiati al 30 per cento. E con il Pd non renziano, Sel e Rifondazione (Luca Pastorino) attorno al 15. Mentre il grillismo, che proprio nella patria di papà Beppe conobbe il suo apice alle politiche 2013 (30 per cento e primo partito), declina in una forma tutta italiana di astensionismo attivo (20 per cento). In un voto all’essere digitale di turno. Con quella presunzione di essere “figli delle stelle” e con una “presidenziaria” che con 409 clic ha candidato la signorina Alice Salvatore nel paese delle meraviglie.

Per la cronaca rosa la Liguria gioca a offrire matrimoni low cost in Comune (a Genova per 30 euro eviti fiori e confetti in chiesa). E promuove i registri delle coppie di fatto e gay (a Genova nel 2014 si sono registrati in 57, 39 erano unioni gay). Poi apri il vaso di Pandora e scappa fuori la realtà nascosta dalla grande narrazione mediatica (al 90 per cento filogovernativa e con il Secolo XIX, principale quotidiano della regione, che dallo scorso anno si è fuso con la benpensante Stampa di Torino). Per la cronaca vera, la Liguria è la regione con l’età media della popolazione più alta: 48,3 anni. Più vecchia, con una percentuale di ultrasessantacinquenni oltre il 28 per cento. Con tassi di mortalità e di bassa fecondità record. Rispettivamente del 13,2 per mille e di 1,35 figli per donna. Al di sotto della già bassa media italiana di 1,39 figli, che è il livello minimo registrato dall’Unità d’Italia a oggi. E se tra le regioni del Nord la crescita della natalità risulta più che positiva in Lombardia (+4,1 per cento) e in Trentino-Alto Adige (+3,7), la Liguria primeggia nel record di decrescita (-5,4 per cento).

Un quadro desolante
Diminuzione della fecondità, aumento delle migrazioni, disgregazione del tessuto familiare e invecchiamento della popolazione sono fenomeni comuni a tutta Italia. In Liguria, però, documenta l’Istat, questi fattori di decadenza esplodono. Qui c’è il più alto tasso nazionale di separazioni e divorzi (20 per cento). La più alta percentuale di nuclei familiari composti da una sola persona (40 per cento). Il peggior indice di vecchiaia: 240 per cento. L’indice medio di vecchiaia per l’Italia è 154 per cento, appena sotto la Germania, che con il 160 per cento è il paese più vecchio d’Europa. Significa che in Liguria, per ogni 100 frugoli di età compresa tra gli 0 e i 14 anni, ci sono 240 anziani sopra i 65 anni. Ne consegue il peggior indice nazionale di “dipendenza”, cioè il peggior rapporto tra popolazione in età non attiva (0-14 anni e oltre i 65) e popolazione in età lavorativa (14-65, che poi è teorica vigendo in Italia l’obbligo scolastico fino ai 18 anni): un indice che sfiora il 65 per cento. Significa che (teoricamente) ogni 100 liguri, 65 sono mantenuti a spese degli altri 35. Se si confrontano queste cifre con i dati sulla disoccupazione, un quarto della popolazione (circa 400 mila) manterrebbe i tre quarti restanti.

In realtà il quadro è relativamente meno desolante. Infatti, nel 2014 – secondo l’ufficio economico della Cgil Liguria – la media degli occupati è stata di 599 mila unità. «Il dato più basso dal 1993». D’altro canto i pensionati liguri ammontano a circa 498 mila e nel 2012 la spesa pensionistica pro capite ha raggiunto valore massimo (6.051 euro). In Liguria si paga una pensione ogni 3,2 abitanti. È la regione italiana che eroga il maggior numero di pensioni di vecchiaia rispetto alla popolazione residente, il  12,61 per cento contro l’11,20 della Toscana, l’11,15 dell’Emilia Romagna e l’11,10 del Piemonte. Infine, la Liguria è la regione del Nord che eroga più pensioni di invalidità (41.154) e, in assoluto, la regione d’Italia che eroga più pensioni ai superstiti (148.762). (Fonte: Il bilancio del sistema previdenziale italiano. 2015 del Comitato tecnico scientifico di Itinerari previdenziali).

Gianni Baget Bozzo, che era genovese anche se ibridato con la Catalogna, diceva che «il genovese è un napoletano triste». Amava la sua gente, ma avvertiva che una certa secolarizzazione e la fine della grande politica – tutto ciò che il suo grande amico Silvio Berlusconi chiamava semplicemente “comunisti” – avevano tolto libertà, iniziativa e allegria al popolo. In effetti la pratica del lamento è comune al sud come al nord. Però in Liguria trovava un corrispettivo che una volta si fondeva in un tutt’uno con il “padrone del vapore”, sempre privilegiando la libertà al soldo. Dice qualcosa la tradizione secondo la quale i padroni di navi e pescherecci offrivano ai marinai la scelta tra il diritto a lamentarsi, “mugugnà”, o ricevere un supplemento di paga. E i marinai liguri pare rispondessero col detto ancora famoso dei «cinque franchi de meno ma o mugugno» (cinque soldi in meno ma liberi di mugugnare).

Già. Come ritrovare oggi la libertà di lavorare e di mugugnare? Come si fa a risalire la china di una demografia micidiale che configura la scomparsa, nel giro di una generazione, del tipo ligure e la sostituzione secca con un melting pot di immigrazione? Con la protesta grillina? Con il governo della magistratura? Con l’egemonia della burocrazia statale, la resistenza sindacale, la cultura dello sballo e l’orgoglio del diritto riproduttivo abortista?

Il prelievo dalla cassa comune
Nel 2014 all’ospedale San Paolo di Savona, dove partoriscono mamme provenienti da tutta la provincia, è stato registrato il numero più basso di nascite dal 2005, con un calo del 37,3 per cento. Savona ha finalmente battuto Trieste nel record della città più vecchia d’Italia. E, forse, d’Europa. Quasi il 30 per cento della popolazione è costituito da ultrasessantacinquenni. In compenso, gli stranieri sono in significativo aumento ma anch’essi si adeguano alla way of life ligure. E così a Savona nel giro di un solo anno le nascite tra i residenti non italiani sono crollate del 23 per cento.

Non si fanno figli perché c’è la crisi, manca il lavoro, la Liguria non offre opportunità e quindi ai giovani tocca solo emigrare? Non è proprio così. Giusto per fare un esempio, il presidente dell’Autorità portuale di Savona ricorda che quanto a opportunità «basta pensare che su 21,3 milioni di croceristi nel mondo, circa il 7 per cento appartiene al mercato di Savona, Genova e La Spezia». Pare che uno studio, effettuato da Siti (Istituto superiore sui sistemi territoriali per l’innovazione) sui croceristi in transito a Savona nel 2011, sia ancora valido: i circa 250 mila passeggeri che approdano ogni anno a Savona spendono mediamente 37 euro a persona. Quasi dieci milioni di euro solo per una toccata e fuga. E vogliamo parlare dei volumi commerciali, i traghetti verso Sardegna, Corsica e coste maghrebine o del giro di container e petroliere sui porti liguri? Difficile capire perché non si riesca a mettere a reddito un potenziale economico-produttivo enorme.

«La fotografia della Liguria in termini di economia è questa: le prime due grandi imprese per numero di addetti sono il comune di Genova e la Regione». Parola di Raffaella Della Bianca, in politica da vent’anni, consigliere regionale uscente e adesso candidata per il centrodestra nel listino Toti. Raffaella è una nostra amica, associata alla Fondazione Tempi, cattolica non bacchettona, senza complessi d’inferiorità rispetto al mainstream della donna quota rosa e cavia per i diritti alla tecnoscienza. Genovese energica e pratica, «vorrei che la mia regione svoltasse sul serio. La Liguria è al nord, ma grazie alla sinistra è anche la prima regione del sud Italia». Il dato non è propagandistico. È certificato dai numeri. La Liguria è la regione del nord che ha il più alto residuo fiscale, 95,38 per cento (fonte: Cgia Mestre), pari quasi a quello della regione a statuto speciale Trentino-Alto Adige, e di quasi 30 punti superiore a quello della Lombardia. Significa che trattiene quasi tutte le entrate sul proprio territorio, ma per le spese correnti deve ricorrere al prelievo nella cassa comune degli italiani. E infatti, la Liguria è tra le regioni che, nel biennio 2103-2104, per pagare i creditori della pubblica amministrazione ha ottenuto dallo Stato una prima tranche di “anticipazioni finanziarie” (o più precisamente di “mutuo” a trent’anni) pari complessivamente a 188 milioni di euro. Non sono i 9 miliardi del Lazio o i 2 miliardi della Campania. Però la Basilicata è più virtuosa.

Sotto questo profilo è impressionante come l’ideologia incida sulla spesa pubblica. Fa male alle persone e malissimo ai bilanci. Prendiamo la sanità ligure. Un colabrodo che nell’ultimo decennio di gestione Burlando ha collezionato solo buchi. E nonostante abbia evitato il piano di rientro, insiste nel produrre uno dei più alti disavanzi nazionali (-3 per cento). Per dire, la Campania, che è sotto piano di rientro, fa molto meglio, con un disavanzo che si attesta attorno allo 0,1. Perché questa tendenza al “rosso” fisso? Si capisce anche solo dall’ideologia dei “diritti” che sottende la spesa sanitaria ligure. Mesi di attese per le prestazioni ordinarie. Ma Speedy Gonzales quando si tratta di metter in mostra l’ennesimo diritto farfallone: prima regione (settembre 2014) ad annunciare il via libera all’eterologa gratuita (costo per la sanità pubblica tra i 2 e i 4 mila euro pro capite, tenendo presente che spesso occorre ripetere la prestazione più volte per l’alta percentuale di insuccesso).

E la Liguria è in testa nella speciale classifica di aborti e strutture abortiste (Ivg). Nella relazione del ministro della Salute sull’applicazione della legge 194, pubblicata nell’ottobre 2014 sul biennio 2012-2013, si legge: «Il ricorso all’aborto medico varia molto per regione, sia per quanto riguarda il numero di interventi sia per il numero di strutture. Valori percentuali più elevati si osservano nell’Italia settentrionale, in particolare in Liguria (25,2 per cento), Valle d’Aosta (24), Piemonte (19) ed Emilia Romagna (18,5 per cento). Scendendo nel dettaglio, in molte Regioni c’è un numero maggiore di punti Ivg rispetto a quello dei punti nascita (Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Umbria), il che è addirittura in controtendenza rispetto al rapporto fra nascite e Ivg». Insomma, tra le regioni “rosse” che incredibilmente privilegiano (con strutture ad hoc) più l’aborto che la maternità, c’è la Liguria. Regione a fine vita, record di infecondità e denatalità, le cui istituzioni seguitano a favorire “la morte in pancia”.

Un consiglio disinteressato a Renzi
Non bastasse ciò, la Liguria è una delle regioni dove i giovani fanno maggior uso di droghe e dove la giunta di sinistra del comune di Genova si è dichiarata favorevole alla liberalizzazione di quelle “leggere”. Il diffondersi della droga, spesso associato all’abuso di alcol tra i giovani, è causa della crescita di molteplici patologie fisiche e psichiche. Dunque, di nuovo, costi per la salute individuale e spese di assistenza per la collettività. Ebbene, anche in questa classifica, secondo una ricerca dell’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa (Ifc-Cnr) condotta nel 2014 sulla diffusione delle droghe tra gli studenti italiani di 15-19 anni, la Liguria è la regione che registra tra i giovani e giovanissimi un consumo di stupefacenti (cannabis, allucinogeni e stimolanti) superiore alla media italiana.

Invece della strabiliante bellezza e potenzialità della sua gente e del territorio, sembra trionfare sulla Liguria la cappa di una visione assistenzialistica della società e mortifera della persona. Fondi europei, diritti, sussidi di Stato. Così la Liguria tira a campare. Ospizio a cielo aperto che il 31 maggio andrà al voto. Novità della renziana Paita? A Genova tutti sanno quello che sa Della Bianca. «Raffaella Paita è una purissima creatura di Claudio Burlando. Che ha mollato Bersani per passare con Renzi. Quando il Pd si spacca sul suo nome, non lo fa perché la Paita ha chissà quali visioni alternative rispetto alla linea di un partito la cui natura è l’edera. Si spacca perché in Liguria il Pd è contro Renzi». In effetti qui trionfò Bersani alle primarie del 2102. E rivinse Cuperlo in quelle del 2103. «Luca Pastorino, che rompe il fronte unico del partito e va con Sel, non è il candidato della “minoranza Pd”. Non è l’uomo di Pippo Civati a Genova. Rappresenta il gruppo di comando storico del Pci-Pds-Ds-Pd a Genova. Ed è ferocemente antirenziano».

Ecco spiegato perché, se vuole un consiglio disinteressato, il presidente del Consiglio dovrebbe mettersi ventre a terra e giocarsi la faccia a Genova. Dopo di che, è difficile immaginare che una Paita vincente all’ombra di Renzi sia quello che serve alla Liguria per uscire dalla sua morta gora. Nessuno, considerata la situazione, può avere la ricetta miracolosa. Però, se sbagli Raffaella non esci dalla logica di una politica che per cinque soldi s’è comprata il mugugno e ha affondato la nave.

Foto Savona e foto pescatore da Shutterstock

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