Ucraina, il grande fallimento delle Nazioni Unite

Sul Sussidiario il generale Giorgio Battisti, già comandante del corpo d’armata di Reazione rapida della Nato in Italia e capo di stato maggiore della missione Isaf in Afghanistan, scrive: «Non si è più in grado di risolvere alcun problema: ecco il grande fallimento delle Nazioni Unite. Basti pensare che l’unico accordo ottenuto da inizio guerra è quello sull’esportazione dei cereali, un accordo realizzato da Erdogan, un intervento unilaterale che ha scavalcato ogni realtà sovranazionale. Oggi i contrasti tra Stati si risolvono con le armi ed è un passo indietro di oltre cento anni: siamo tornati all’Europa del Novecento o anche di due secoli fa».

L’Onu ha e ha avuto una funzione decisiva come cassa di compensazione per gli scontri tra potenze e come luogo di collaborazione tra Stati con divergenti sistemi e politiche estere, ma non può essere scambiata per un “governo mondiale”: è un’istituzione fondata essenzialmente non sul diritto (pur decisivo nel suo funzionamento) ma sulla forza, rappresenta cioè l’equilibrio internazionale raggiunto dopo la Seconda Guerra mondiale, tanto è vero che il diritto di veto nel Consiglio di sicurezza è a disposizione “solo” delle potenze vincitrici (Stati Uniti, Russia, Cina, Regno Unito e Francia). Un nuovo equilibrio si può definire? Certo, ma grazie o una nuova guerra o a nuovi trattati.

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Su Strisciarossa Federico Micari scrive: «In realtà, non esistono forme di governo buone o cattive. Anzi, il sistema con cui si stabilisce il rapporto tra organi costituzionali politici è un abito cucito su misura, tenendo conto delle problematiche strutturali di ogni paese (come ricorda Gustavo Zagrebelsky). Nella fattispecie, i costituenti italiani scelsero la forma parlamentare perché partirono dalla consapevolezza della disomogeneità e della frammentazione della politica. Pertanto il confronto di interessi diversi tra forze contrapposte, che obbligatoriamente si instaura nelle democrazie parlamentari, sembrò essere la forma più idonea per la sostenibilità del processo democratico. E, tutto sommato, il sistema ha retto bene in questi decenni, ricomponendo nella mediazione, ben oltre il rapporto dialettico maggioranza-opposizione, le fratture presenti nella penisola».

Ecco un ragionamento “a sinistra” sul presidenzialismo fatto senza bava alla bocca, ricordando che due grandi democrazie occidentali, quella americana e quella francese, sono rette presidenzialisticamente (in Francia semi-). Micari spiega che in realtà la scelta sul Quirinale nella nostra Costituzione dipendeva dalla frammentazione delle nostre culture politiche che non avrebbero retto a un’eccessiva centralizzazione del potere e invece riuscivano a meglio convivere grazie a un ruolo di garanzia del presidente della Repubblica. A me sembra che i poteri “ambigui” e “anomali” del nostro presidenzialismo derivino innanzi tutto dal contesto della Guerra fredda, quando sia il Vaticano sia gli Stati Uniti non si fidavano di un Parlamento con una presenza così consistente del Partito comunista. Ora, dopo la fine dell’Unione Sovietica, le basi per questa anomala funzione di riequilibrio dei poteri si sono esaurite. Il ruolo del Quirinale si è dunque riproposto come baluardo contro le spinte genericamente definite populiste, alla fine producendo una disgregazione della nostra democrazia: così l’esaurimento della cultura della sinistra sia marxista sia dossettiana, così la crescita di uno sfrenato personalismo (caciquista a livello locale) al posto di partiti come comunità di destino, così l’asfissia della nostra grande borghesia, dagli Elkann alle Moratti, così la formazione di un soggetto politico devastantemente qualunquista come i 5 stelle, così la subalternità alle altre potenze dell’Unione come spiega anche papa Francesco, così la crisi dei corpi intermedi, dalla Confindustria ai sindacati. Per modificare questa situazione è dunque necessario mettere mano al modo di elezione e alle funzioni della presidenza della Repubblica: ha ragione Micari a sollecitare un bilanciamento dei poteri (cosa a suo tempo trascurata da quell’avventuriero di Matteo Renzi), ma difendere lo status quo istituzionale significa aiutare il “morto” ad afferrare il “vivo” e a trascinarlo all’inferno.

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Su Dagospia si riportano da Adnkronos queste parole di Carlo Bonomi: «“Dobbiamo ragionare su qual è la missione di Cdp, dobbiamo scongiurare il rischio che Cdp sia una riedizione dei vecchi enti pubblici che accumulavano in maniera disordinata e a fini elettorali sempre più partecipazioni in imprese diseconomiche”. Così il presidente di Confindustria Carlo Bonomi chiudendo l’assemblea di Federmeccanica».

Il lungo commissariamento imposto all’Italia da Giorgio Napolitano tra il 2009 e il 2011, e durato fino al 2022, ha disgregato profondamente non solo la nostra politica ma più in generale la nostra società. Da qui l’emergere di tutti i presenzialismi possibili, la ricerca di protagonismi non per far prevalere una visione o un programma, ma per cercare un qualche spazio personale.

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Sul sito di Tgcom 25 si riportano queste frasi del Pontefice: «“Il nuovo governo incomincia adesso” e “gli auguro il meglio” perché “il governo è per tutti e gli auguro il meglio perché possa portare l’Italia avanti” anche con “gli altri che sono contrari al partito vincitore. Che collaborino, con la criticità” ma che sia “un governo di collaborazione, non un governo dove ti fanno cadere se non ti piace una cosa o un’altra”, “per favore chiamo alla responsabilità”».

In una situazione in cui la disgregazione avanza, con una grande borghesia incapace di esercitare un ruolo nazionale, con il peronismo grillino, con una sinistra che non sa più elaborare un pensiero, ecco la straordinaria generosità e intelligenza morale del Papa che alza la sua voce a proteggere la democrazia politica in Italia.

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