Uccisi in Nigeria un pastore protestante e sua moglie. Lei aspettava il nono figlio

Nel Nord-Est del paese l'ennesimo terrificante episodio di quella che è chiaramente una «guerra aperta e sistematica al cristianesimo»

Il pastore protestante Emmanuel Saba Bileya e sua moglie Julianna sono stati assassinati lunedì 1 giugno nella loro fattoria a Taraba, nel Nord-Est della Nigeria. A rendere la notizia ancora più tragica è il fatto che la donna era incinta del nono figlio. È quanto scrive la Catholic News Agency, aggiungendo che si tratta delle «vittime più recenti di una serie di sequestri e omicidi di cristiani nel paese».

Bileya era un pastore della Chiesa cristiana riformata della Nigeria, spiega la Cna riprendendo informazioni diffuse dalla Hausa Christians Foundation. Lui e la moglie sono stati seppelliti a Donga sabato scorso, 5 giugno. Un comunicato della polizia informa che i due «stavano lavorando nella fattoria, quando improvvisamente uomini armati hanno fatto irruzione e hanno aperto il fuoco, uccidendo il pastore e sua moglie».

Questo duplice – o meglio triplice – omicidio fa parte di una «guerra aperta e sistematica contro il cristianesimo in Nigeria», osserva la Hausa Christians Foundation, che ricorda come nel paese «pastori e leader cristiani e seminaristi vengono rapiti o uccisi ogni settimana».

Come ha recentemente scritto anche Tempi riportando i dati di un rapporto della International Society for Civil Liberties and the Rule of Law (Intersociety), i cristiani nigeriani sono vittime di attacchi e atrocità senza fine da parte di diversi gruppi islamisti, i più sanguinari dei quali sono senz’altro Boko Haram, i clan di etnia fulani e l’Iswap (Stato islamico della provincia dell’Africa occidentale). Solo dall’inizio del 2020 ne sono stati massacrati più di 600 secondo l’Intersociety.

Le vittime cristiane della persecuzione religiosa muoiono decapitate, date alle fiamme, massacrate nei modi più atroci. In più ci sono vicende angoscianti come quella di Leah Sharibu, giovanissima studentessa cristiana rapita dai jihardisti di Boko Haram il 19 febbraio 2018 e mai restituita ai suoi cari perché si è rifiutata di convertirsi all’islam.

Molte le voci che si sono levate in questi anni di persecuzione dalle comunità cristiane per invitare – invano – il governo di Muhammadu Buhari a fare il suo dovere e a proteggere le minoranze religiose dall’odio islamista. Vale la pena in proposito di andarsi a rileggere la dura omelia pronunciata da monsignor Matthew Hassan Kukah, vescovo di Sokoto, ai funerali di Michael Nnadi, seminarista appena diciottenne rapito nel gennaio scorso e ucciso dai suoi carcerieri perché, ha spiegato uno di loro, «predicava il Vangelo con un coraggio eccezionale».

Foto Ansa

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