Trattativa Stato-mafia. Ecco la ricetta per creare pizzini patacca e diventare famosi come Ciancimino

Mentre sul romanzesco processo palermitano si prepara a testimoniare niente meno che Napolitano, esce un pamphlet che dimostra con ironia l'infondatezza della prova regina: il presunto papello con le richieste di Riina alle istituzioni

Ingredienti necessari alla realizzazione di un “papello” pseudo mafioso, da far pubblicare su tutti i quotidiani e le tv, facendolo passare per qualche aula di giustizia, per diventare famosi (e magari anche ricchi): «L’aiuto di un amico scrivano e delinquente, che abbia fatto almeno la terza elementare (e che sappia quindi scrivere un dettato in stampatello), una penna, una risma di carta ed una cartuccia di toner degli anni 90». L’insolita ricetta è al centro di un ben documentato pamphlet appena pubblicato, scaricabile gratuitamente dal sito sostenitori.info: Il papello di Massimo Ciancimino. Storia di una fotocopia, edizioni Futuro. Il libro, firmato da Syque Caladejo (uno pseudonimo), è una gustosa lettura, consigliabile in questi giorni in cui il processo sulla presunta trattativa Stato-mafia si sposta al Quirinale per la deposizione del presidente Giorgio Napolitano, proprio mentre emergono sempre più chiaramente le doti da pataccaro del super teste Massimo Ciancimino.

CERTEZZE GRANITICHE. Il presunto papello con le richieste avanzate da Totò Riina alle istituzioni per mettere fine alla stagione delle stragi, infatti, è la prova regina al centro del processo in corso a Palermo. Secondo Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco mafioso della città Vito, e nella tesi della procura, il documento risalirebbe al giugno 1992, all’indomani della strage di Capaci in cui fu ucciso Giovanni Falcone, e sarebbe stato, sempre secondo Ciancimino Jr., secondo i magistrati dell’accusa e secondo il gip Piergiorgio Morosini, anche la causa che accellerò l’omicidio di Paolo Borsellino in via D’Amelio (19 luglio 1992). È stato proprio il gip Morosini, rinviando a giudizio gli imputati del processo sulla trattativa, a collocare il papello al centro del quadro probatorio, ritenendolo senza dubbio autentico perché «non c’è traccia o sospetto di composizione artificiosa, cioè di Photoshop e si tratta di fotocopia verosimilmente tratta da originale». Anche diversi giornalisti vantano granitiche certezze in materia. In particolare il vicedirettore del Fatto quotidiano Marco Travaglio si è speso più volte nei suoi editoriali per ribadire che «l’autenticità del documento non è una diceria di Ingroia e Ciancimino: è la conclusione cui è giunta la polizia scientifica, che ha accertato la datazione della carta e del toner degli anni ’90 e l’assenza di ogni possibilità di manomissione (tipo collage o Photoshop)».

TRAVAGLIO AL PUNTO 13. Proprio per dimostrare l’infondatezza di questo verdetto di Travaglio, invece, l’autore di questo libro si lancia in un simpatico giochino. Caladejo riproduce un papello identico a quello ora agli atti del processo, con l’aggiunta di una tredicesima, fintissima, richiesta mafiosa: «Consentire al nostro affiliato Marco Travaglio una rapida e brillante carriera». Scrive l’autore: «La forma corrisponderebbe esattamente a quella del papello oggi in atti, così come confermata dalla polizia scientifica: fotocopia fatta con carta vecchia e toner vecchio, l’originale l’avrebbe scritto un tizio su dettatura».
Né Travaglio né Morosini ricordano di menzionare infatti che la perizia della polizia scientifica ha escluso categoricamente che gli autori del presunto papello siano Totò Riina, Bernardo Provenzano o un membro qualsiasi del gotha mafioso. Qualunque altro “pataccaro”, sottolinea Caladejo, potrebbe essere stato ingaggiato, in epoca successiva. Ciò che è certo è solo che per la polizia scientifica «l’autore attualmente non è identificato», e a riprova di questo nel libro è pubblicata la conclusione della perizia. «Il nostro innocente giochino dedicato a Travaglio – si legge nel pamphlet – nasce perché si è voluto provare a fargli percepire i sentimenti di una persona innocente processata sulla base di una prova-principe che altro non è che una fotocopia realizzata con vecchi materiali».

MA QUALE 41 BIS. In dieci punti l’autore sviscera poi altre consistenti obiezioni all’autenticità del documento, citando la sentenza di assoluzione dell’ex generale del Ros Mario Mori a Palermo (in cui i giudici esplicitamente denunciano la «buona predisposizione del Ciancimino Massimo alla fabbricazione di documenti falsi» e ritengono che «siano state eseguite dal Ciancimino fotocopie anche in tempi più recenti») così come i dubbi espressi in vari atti dai pubblici ministeri di Caltanissetta. Tra l’altro sono sottolineate anche le assurdità del contenuto del papello e in particolare l’anacronismo della più discussa presunta richiesta avanzata dal pseudo Riina allo Stato, ovvero l’«annullamento decreto legge 41 bis» riportato al punto numero due. Spiega Caladejo: se davvero l’asserito papello fosse stato compilato da Riina nel giugno del ’92, come sostiene Ciancimino Jr., «difficilmente avrebbe potuto contenere tale richiesta. Infatti sino al giugno ’92 il “41 bis” non era un decreto legge, ma soltanto un articolo della legge 354/75 (l’ordinamento penitenziario allora vigente, ndr) riguardante le rivolte carcerarie. Il decreto legge di cui all’epoca si discuteva e che avrebbe introdotto modifiche alla detenzione dei mafiosi era invece l’articolo 19 della legge 306/92 e di quello scrivevano tutti i giornali. Il “41 bis” è un’errata dicitura che verrà applicata solo dopo l’approvazione di quell’articolo 19, che avvenne però soltanto dopo la strage di via D’Amelio, e quindi un mese dopo i natali che Ciancimino jr. vorrebbe attribuire al suo papello».

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