Romeo e Giulietta ai tempi del divorzio breve

A proposito della nuova legge sul cosiddetto divorzio breve, il sociologo Luca Diotallevi ha scritto il 25 aprile un commento sul Corriere della Sera che merita di essere segnalato. Lo riproduciamo qui di seguito.

Il divorzio breve è l’ultimo di una serie di provvedimenti legislativi che rendono più semplice porre fine ad un matrimonio. Il largo consenso e le timide critiche fanno apparire fuori luogo ogni polemica. Resta però lo spazio per qualche riflessione. In questi ultimi mesi la politica ha dato il proprio contributo al congedo che la nostra società sta prendendo dal matrimonio (sempre più affare privato).

Lungi dal sottovalutare quante sofferenze risultano abbreviate dall’accorciamento dei tempi necessari alla pronunzia del divorzio, ci si può però chiedere cosa è una società in cui le leggi sempre meno riconoscono il carattere speciale del matrimonio. Qui per matrimonio si intende quel fatto cui la Costituzione italiana si riferisce ad esempio all’art. 29. L’amore tra un uomo e una donna vi è riconosciuto capace, innanzitutto, di alimentare eguaglianza giuridica e morale tra i due, e di generare un tipo di unità che merita tutela da parte della legge. Il «per sempre» e l’esclusività di quel particolare amore, che non implica indissolubilità, veniva riconosciuto dalla Repubblica come rapporto etico-sociale non unico, ma insostituibile e meritevole di sostegno in vista del bene comune.

La legge, di questo qui si tratta, sa sostenere solo attraverso forme, tempi e pene. Per questo forme, tempi e pene variano, perché non sempre è in gioco un valore equivalente. La scelta del legislatore di semplificare le forme e di abbreviare i tempi di accesso al divorzio è stata estremamente significativa perché compiuta in un tempo in cui il matrimonio non è più e non pretende più di essere l’unica istituzione all’interno della quale è lecito praticare l’amore e la sessualità o procreare. Perché allora alterare la tutela di qualcosa che è sempre più facile non scegliere?

Le voci contrarie si sono appellate quasi sempre agli interessi dei figli. Sacrosanto, ma non basta. La Costituzione fonda la famiglia sul matrimonio e non giustifica il matrimonio con il fine della famiglia. Evidentemente credeva di vedere un valore dove non siamo più in grado di vederlo o che non apprezziamo più come allora (tra l’altro cancellando quel matrimonio rischiamo di far dilagare modelli di famiglia diversi, fondati ad esempio sul maschilismo).

Naturalmente non sarà vietato sposarsi cercando nel matrimonio anche cose che eccedono la forma del contratto. Tuttavia la domanda era un’altra: cosa è una società civile che riconosce in misura sempre minore il carattere speciale dell’amore matrimoniale?

Se Romeo e Giulietta avessero programmato qualche scappatella, probabilmente i boss Capuleti e Montecchi non si sarebbero preoccupati tanto. Il punto è che Romeo e Giulietta volevano sposarsi, e il matrimonio è una istituzione e dunque, come osserva S. Žižek, una sottrazione di potere alle altre istituzioni. Una società con un matrimonio più debole è una società più povera e più controllabile.

Luca Diotallevi

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