Renzi turbogarantista attacca i magistrati. Fino a quando?

Il leader di Italia Viva fa un discorso perfetto e berlusconiano in Senato su magistratura e politica. Dimenticandosi di quando gli conveniva non parlare

Il leader di Italia Viva, Matteo Renzi, in Senato (foto Ansa)

«Per anni abbiamo consentito che i pm decidessero chi poteva far politica e chi no. Il potere giudiziario attraversa un momento drammatico. Una parte della Camera ha immaginato di trarre vantaggio da vicende giudiziario che colpivano la destra».

«Un momento tragico»

Sembrava di sentire parlare Silvio Berlusconi, mercoledì pomeriggio in Senato. Le parole sono invece quelle pronunciate dal leader di Italia Viva, Matteo Renzi, nel suo discorso prima del voto sulla riforma della giustizia (curiosamente poco ripreso da giornali e media mainstream). L’ex presidente del Consiglio aveva avvisato tutti sulla sua newsletter, in mattinata: «Sarà un intervento molto difficile, tra i più difficili della mia carriera. Ma sento il dovere di dire parole di verità sul momento incredibile che sta vivendo il mondo della magistratura nel silenzio dei più».

Di magistratura, e con toni duri, ha poi parlato Renzi, sottolineando come sia chiaro che è esplosa «una guerra oggettiva che sta portando a indagini di magistrati su altri magistrati. La riforma Cartabia, che voteremo con convinzione, è un primo passo: ci toglie dalla riforma Bonafede e ci porta verso una dimensione nuova ma questa situazione viene a collocarsi nel momento più tragico della storia del potere giudiziario».

Contro la correntocrazia

E ancora, l’ex segretario del Partito democratico ha aggiunto che «i magistrati devono sentirsi liberi di fare bene il proprio lavoro anche se non sono iscritti a una corrente. I politici devono avere il coraggio di guardare in faccia senza preoccupazione di sorta, perché non può essere un avvio di garanzia a bloccare una carriera. Le guarentigie dei parlamentari sono costituzionalmente garantite e quotidianamente ignorate dall’uso mediatico della magistratura e delle indagini».

Poi, riferendosi indirettamente a Matteo Salvini e alle intercettazioni tra magistrati che lo riguardano, Renzi ha detto che «Servono parole chiare su elementi di oggettivo mal funzionamento della magistratura. Quando le correnti dicono che vogliono stringere un cordone sanitario intorno al senatore X, non si deve preoccupare quel parlamentare ma il Senato». Il problema, ha spiegato, è la «correntocrazia» della magistratura, molto simile per certi versi alla «partitocrazia del 1991».

Ora, sorvolando sul fatto che c’è stato e c’è qualcun altro che queste «parole di verità» le ripete da almeno venticinque anni, non si può che sottoscrivere parola per parola quello che Matteo Renzi ha detto in Senato, ma l’ex leader di uno dei partiti che sul giustizialismo ha campato a lungo non può pensare che basti un po’ di garantismo a parole per passare dalla parte dei “buoni”. Renzi non è nuovo a queste uscite antigiustizialiste: nel 2016 diceva bene che «questo paese ha conosciuto anche negli ultimi venti, venticinque anni, pagine di autentica barbarie legate al giustizialismo».

«Ma la verità», scriveva Tempi allora, «è che Renzi è un garantista a targhe alterne».

«Ha sempre ondeggiato tra gli opposti come un tergicristallo: giustizialista quando gli faceva comodo, innocentista quando desiderava tirare l’applauso senza pagarne il fio. Non che sia l’unico, per carità. A parte qualche raro caso, è un doppiopesismo che caratterizza l’intera classe politica italiana. […] Col ministro Federica Guidi, Renzi ha adottato una tattica simile a quella usata con Maurizio Lupi. Nessuna pressione ufficiale per le dimissioni, ma nemmeno una pubblica parola in loro difesa. Gli è stato sufficiente “non dire” per ottenere, pilatescamente, il doppio risultato di non contrariare la piazza né apparire un despota giacobino. Facile essere garantisti dopo la sentenza d’assoluzione, il problema è esserlo prima. E su questo Renzi traccheggia a seconda della convenienze. In modo clamoroso lo si notò sul caso del ministro degli Interni del governo Letta, Annamaria Cancellieri, sbrigativamente invitata da Renzi a togliere il disturbo in base a un’intercettazione».

Meglio un garantista oggi ma anche domani

Renzi fa bene a criticare la magistratura e invocare il garantismo, certo è più facile farlo da leader di un partito che esiste solo nei palazzi o quasi, e dopo avere provato sulla propria pelle l’accanimento politico dei giudici. Ad agosto di quest’anno l’ex senatore di Forza Italia Antonio Caridi, accusato nel 2016 di associazione mafiosa, sbattuto in carcere preventivamente per diciotto mesi su autorizzazione del Senato è stato assolto dal tribunale di Reggio Calabria da tutte le accuse. Chi votò all’epoca a favore del suo arresto? Il Partito democratico guidato da Matteo “tergicristallo” Renzi, che una volta fa il giustizialista e un’altra il garantista. Nello stesso anno ci fu il caso Uggetti, sindaco dem di Lodi arrestato e assolto a maggio di quest’anno. All’epoca forse Renzi non aveva tempo per «parole di verità» e si limitò a dire del compagno di partito che era «una brava persona».

«Signor Presidente», ha concluso mercoledì Renzi, «di fronte a quanto sta succedendo in questo momento le mie conclusioni riguardano tre punti. Per esigenze di tempo saranno tre tweet: i magistrati devono sentirsi liberi di fare bene il proprio lavoro, anche se non sono iscritti a una corrente; i politici devono avere il coraggio di guardare in faccia senza preoccupazioni di sorta perché un avviso di garanzia non può bloccare una carriera; non si può continuare a parlare di nuove guarentigie». Chissenefrega dell’ipocrisia – da sempre diciamo che sono «meglio gli ipocriti che scoprono il valore del garantismo a scoppio ritardato piuttosto che i sacerdoti che passano il tempo a insaponare la corda con le loro mani pulite» – ma detta in un tweet e in punto solo, meglio un garantista oggi e anche domani.

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