Qualcosa sfugge nella scelta del Pd di commissariare la Campania

Il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca (foto Ansa)a ra

Su Formiche Gabriele Carrer scrive: «Il Bundesamt für Sicherheit in der Informationstechnik, cioè l’agenzia governativa tedesca per la sicurezza informatica dipendente dal ministero dell’Interno, utilizza router Lte della cinese Huawei, bandita da diversi paesi per i sospetti di spionaggio per il governo di Pechino, e apparecchiature di telefonia fissa di Alcatel-Lucent Enterprise, il cui socio di maggioranza è China Huaxin, società statale cinese. È quanto emerge dalla risposta del governo federale a un’interrogazione del gruppo parlamentare Cdu/Csu diffusa dall’Handelsblatt. Nelle scorse settimane Die Zeit aveva raccontato che il bando totale dei produttori cinesi Huawei e Zte sarebbe sul tavolo del governo tedesco, con gli operatori Deutsche Telekom, Vodafone e Telefonica che potrebbero essere costretti entro l’estate a sostituire le attrezzature nelle rispettive reti 5G».

Ecco un’ulteriore clamorosa conferma dei pasticci combinati da Angela Merkel leader della Germania e dell’Europa, ben accompagnata dal quell’altra aquila della politica internazionale di Barack Obama.

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Su Scenari economici Leonardo Dortona scrive: «L’India e la Malesia hanno concordato di regolare gli scambi commerciali in Inr, rupie indiane, ponendo un altro importante player industriale sui mercati internazionali anche valutari».

I pasticci della Merkel uniti alle scelte di Obama sul Medio Oriente (Tunisia. Libia, Egitto, Siria, Arabia Saudita), sull’Iran e alla disattenzione per il galoppante egemonismo cinese stanno producendo sbandamenti in alleati storici dell’Occidente (innanzi tutto l’Arabia Saudita ma in parte anche la Turchia) e in uno più recente ma strategico come l’India. Una visione propagandistica delle relazioni internazionali (democrazia contro autocrazia) non spiega gli orientamenti di democrazie come l’India appunto, ma anche il Brasile e il Sud Africa. Superando il mercantilismo imbroglione della Merkel e l’idealismo taroccato di Obama, sarebbe auspicabile un Occidente unito che facesse un po’ di quella vecchia e vilipesa attività che un tempo si chiamava politica.

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Su Affaritaliani Vittoria Baldino, vicecapogruppo alla Camera dei 5 stelle, dice: «Noi, più di dimostrare massima propensione al confronto, non possiamo fare. Sta a loro raccogliere la nostra disponibilità e cercare di lavorare insieme perché di questi soldi nemmeno un euro deve essere perduto».

Mentre Elly Schlein non si perde una battaglia “identitaria” che sia una, la Baldino offre al governo la disponibilità a lavorare insieme per realizzare gli obiettivi del Pnrr. Come mai gli eredi di una sinistra ex Dc ed ex Pci, così storicamente attenta ai problemi nazionali, è così svagata, mentre un movimento di protesta senza vere proposte sembra essere diventato quasi erede del pragmatismo togliattiano nonché di quello democristiano? Il fatto è che Giuseppe Conte non ha speciali collegamenti concreti con basi sociali e può, grazie ai suoi rapporti “fluidi” con l’elettorato, permettersi qualsiasi mossa tattica, con anche buoni risultati politici, poi però non traducibili (grazie alle sue carenze cultural/politiche strutturali) in scelte concrete: così mentre Conte tratta bene con la Commissione europea, poi il suo cocco Domenico Arcuri non riesce a fare in un anno quello che il generale Francesco Paolo Figliuolo è stato in grado di fare in una settimana. La Schelin, invece, rappresenta un elettorato abbastanza preciso, quello delle “zone a traffico limitato”, non molto appassionato dalle questioni sociali e concentrato sulle battaglie culturali identitarie, del resto se ne occupi il povero Maurizio Landini, se ce la farà.

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Su Strisciarossa Massimilinao Amato scrive: «Una delle prime cose che Misiani dovrà fare appena metterà piede in Campania, si suppone, sarà quella di ribadire con forza a De Luca un concetto che, in un’infuocata assemblea svoltasi venerdì scorso in un albergone dalle parti della Stazione centrale a Napoli, il più vicino dei dirigenti locali alla nuova segreteria nazionale, Marco Sarracino, ha scandito quasi sillabandolo dal palco. Questo: che la rotta del partito (linea, alleanze, regole interne e tutto ciò che caratterizza un’organizzazione democratica) la decide il Nazareno. Ma, davanti a una platea in cui ha rifatto capolino Antonio Bassolino, per la prima volta dopo diversi anni e su invito del neoeletto segretario provinciale napoletano, il sultano ha ribattuto a muso durissimo: “La linea del partito campano si fa in Campania, non a Roma o alle Nazioni Unite”. Bum. Quella di Misiani, insomma, sarà tutt’altro che una passeggiata di salute».

C’è qualcosa che non capisco nella discussione interna al Pd. Si elegge il nuovo segretario nazionale anche con il voto dei passanti e poi questo può fare più o meno tutto quello che vuole: commissariare, decidere i candidati alla presidenza delle Regioni, ignorare un presidente della Campania che ha preso il 60 per cento dei voti dell’elettorato. Insomma si pensa di passare dal vecchio centralismo democratico o dal sistema correntizio dc, a un centralismo autocratico? Boh. Certo che la battaglia contro il presidenzialismo proposto da Giorgia Meloni sarà un po’ complicata da una simile gestione della vita interna del Pd.

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