Piutost’ che nient’ l’è mej questa Ue

L’alto rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari esteri Josep Borrell con Luigi Di Maio, da lui nominato inviato Ue per il Golfo europeo (foto Ansa)

Su Huffington Post Italia Marco Lupis scrive: «Yellen tende una mano a Pechino per un “rapporto economico costruttivo ed equo”».

L’attuale fase internazionale è particolarmente complicata. Il segretario al Tesoro americano Janet Yellen cerca un dialogo con Pechino perché una brusca rottura dei rapporti economici tra Cina e Stati Uniti aprirebbe la via a una recessione mondiale senza la prospettiva di equilibri facilmente riaggiustabili a medio termine. D’altra parte la Yellen fa parte di un’amministrazione Biden ben decisa a non consentire a Xi Jinping, attraverso il controllo di tecnologie, di porti e materie prime, e grazie a investimenti con tratti neocolonialisti, di attuare una strategia egemonistica che metta in pericolo quella meta di un mondo fondato sui diritti che è la base fondante delle civiltà occidentali contemporanee.

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Su Formiche Giulio Sapelli dice: «Naturalmente il macronismo filocinese fa progressi, perché quando il sistema internazionale è, come accade in questo momento, polarizzato significa che non riesce a raggiungere un equilibrio stabile. Equilibrio non vuol dire pace perenne, ma vuol dire che nessuna potenza riesce ad affermare il suo potere sulle altre. È ciò che sta capitando con l’aggressione russa all’Ucraina, ovvero una rottura dell’equilibrio perché gli americani di fatto non sono riusciti né a sconfiggere né a fermare la Russia».

Per riuscire a non rompere radicalmente con Pechino, senza però lasciarle mano libera sulla scena globale, serve il massimo di coordinamento tra gli Stati liberal democratici, e in questo senso le diverse “furbate” di Emmanuel Macron non aiutano. Così anche la sua idea di un esercito europeo (dopo la moneta un’altra istituzione soggetta a una formazione politico-sociale come l’Unione priva di una costituzione) è peregrina in una fase in cui con la guerra russo-ucraina in corso ci si deve concentrare sulla Nato. D’altra parte Parigi con il suo alto debito e con le sue strategie sviluppiste è un oggettivo alleato di Roma nel frenare le pulsioni all’austerità di Berlino, ed è anche una potenza disperata per i suoi fallimenti africani: tutte condizioni che spingono a un dialogo (con gli occhi ben aperti e senza retorica) tra Parigi e Roma.

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Su First online Angelo Bolaffi dice: «Per ora il problema dei paesi a Est è la sicurezza, quindi per loro è più importante il rapporto con Washington che quello con Bruxelles. Se non ci fosse stata Washington Putin sarebbe arrivato in Polonia. Lo sappiamo noi e lo sanno loro. La differenza è che gran parte dei paesi dell’Ovest sottovalutano il fatto che l’Europa non sia in grado di difendersi senza l’aiuto degli americani. Macron ha detto una cosa giusta, sebbene in maniera maldestra. Cioè che l’Europa dovrebbe lavorare per avere una sua forza strategica militare autonoma. Ma non contro l’America, come ha fatto intendere lui, ma insieme ad essa. Perché se gli Stati Uniti ricadono di nuovo nelle mani di Trump, o di un politico simile, e decidono di voltarci le spalle, noi che facciamo? La Polonia questo lo sa. I baltici lo sanno. E lo sanno ovviamente gli ucraini. Io spero che nasca un’Europa che vada dall’Atlantico alla Crimea. Ma per fare questo conterà molto la Germania. Se la Germania non sarà in grado di esercitare una vera egemonia, nel senso di riuscire a tenere insieme questi due pezzi di Europa, allora sì che ci sarebbe un vuoto. E se ci fosse veramente questo tipo di vuoto al centro dell’Europa, allora l’Ue, come l’abbiamo conosciuta noi, non esisterebbe più».

Bolaffi, uomo di sinistra e osservatore qualificato di quel che avviene in Germania, è un testimone prezioso del momento difficile di fronte al quale si trova Berlino, che deve tenere insieme il suo rapporto con Parigi e quello con l’area baltico-scandinva-centroeuropea che sta assumendo un ruolo cruciale non solo in Europa. L’analisi di Bolaffi è molto interessante, non mi convincono in parte le sue conclusioni, cioè l’idea di risolvere la complessità dei problemi del Vecchio Continente attraverso il rilancio di un’egemonia tedesca. Certo, c’è del realismo in questa considerazione, ma è il realismo dei pigri che non riescono a immaginare un’evoluzione che consenta all’Europa di non avere più una sola (o al massimo due) potenze al comando.

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Su Startmag Mauro Giansante scrive: «“La nomina di Di Maio è una scelta demenziale e la decisione dell’Europa è imbarazzante”, ha sibilato stamani su La7 Tonia Mastrobuoni, corrispondente da Berlino per Repubblica».

La stampa un po’ freneticamente delirante sulla Meloni non ha ancora deciso se solidarizzare con Bruxelles per la scelta di un rappresentante dell’Unione nel Golfo persico ostile alla premier in carica o se criticare Giorgia Meloni perché non si è opposta a una scelta così mediocre. Lasciamoli ai loro dubbi. Comunque è vero, come osserva la Mastrobuoni, che la nomina dell’ex ministro degli Esteri del governo Draghi è particolarmente mediocre e di fatto rileva la scarsa funzionalità di istituzioni che poggiano sullo strapotere delle tecnocrazie invece che su sistemi fondati su una costituzione che garantisca loro una vera legittimità politica. D’altra parte in questa fase così difficile della vita del nostro pianeta anche un’Unione così mal messa come è (situazione ampiamente confermata dalla mancanza di respiro nella revisione del Patto di stabilità, al di là del contrasto alle spinte più radicali verso una mortifera nuova “austerità”) resta indispensabile per affrontare i giganteschi problemi di fronte a noi italiani ed europei. Insomma come dicono a Milano: piutost’ che nient’ l’è mej piutost’. Però ogni “piutost’” va gestito sempre con occhi ben aperti.

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