«Fermiamo la spaventosa ideologia che sta distruggendo le università»

La lettera di dimissioni dalla University of Toronto del prof. Jordan Peterson, psicologo: «I miei allievi migliori non possono fare carriera se sono bianchi ed eterosessuali»

Lo psicologo canadese Jordan Peterson ospite del Brain Bar Future Festival di Budapest nel 2019 (foto Ansa)

«Recentemente ho rassegnato le dimissioni dalla mia posizione di professore ordinario presso l’Università di Toronto. Ora sono professore emerito, e non ho ancora compiuto sessant’anni». Inizia così il suo articolo sul quotidiano canadese National Post Jordan Peterson, psicologo e professore che ha voluto spiegare pubblicamente qualche giorno fa le ragioni della sua scelta. 

L’ideologia in tre parole: diversità, inclusività, equità

«Avevo immaginato di insegnare e fare ricerca alla University of Toronto a tempo pieno, fino a quando non avrebbero dovuto trascinare il mio scheletro fuori dal mio ufficio. Amavo il mio lavoro. E i miei studenti, laureandi e laureati, erano sempre ben disposti nei miei confronti». Perché allora lasciarlo? C’erano molte ragioni, spiega Peterson, «incluso il fatto che ora posso insegnare a molte più persone e con meno interferenze online».

Ma non solo, anzi: «In primo luogo, i miei studenti laureati maschi bianchi eterosessuali qualificati e altamente qualificati hanno poche possibilità di ottenere posti da ricercatori universitari, nonostante i loro curriculum scientifici stellari. Questo è in parte dovuto agli “obblighi” di diversità, inclusività ed equità (il mio acronimo preferito: DIE). Questi sono stati imposti universalmente nel mondo accademico, anche se chi si occupava di assumere nelle università avesse già fatto tutto il possibile per tutti gli anni passati per garantire che nessun candidato qualificato di “minoranza” venisse mai trascurato».

Si aggiunga il fatto che le posizioni filosodiche di Peterson sono osteggiate, e che quindi i suoi allievi siano guardati con meno favore di altri, ed ecco che  «questi fatti rendevano il mio lavoro moralmente insostenibile. Come posso accettare potenziali ricercatori e formarli in buona coscienza sapendo che le loro prospettive di lavoro sono minime?».

Una generazione di ricercatori non qualificati

Il politicamente corretto portato alle sue conseguenze più grottesche, con le quote riservate alle minoranze in quanto tali, e non secondo i meriti, è una «spaventosa ideologia che oggi sta demolendo le università e, a valle, la cultura generale». Banalmente, fa notare il professore canadese, non ci sono abbastanza persone qualificate BIPOC (neri, indigeni e persone di colore, «per i non avvezzi al woke») per raggiungere gli obiettivi di diversità abbastanza in fretta. E questo, dice Peterson, lo sa qualunque accademico minimamente onesto che abbia lavorato in una commissione di assunzione in università negli ultimi tre decenni.

«Ciò significa che vogliamo crescere una generazione di ricercatori assolutamente non qualificati per il lavoro». Parla di «università compromesse» a causa di queste regole e della «morte dei test oggettivi», e «ciò che succede nelle università alla fine arriva dappertutto». È un circolo vizioso inarrestabile, per cui «tutti i miei colleghi devono fare dichiarazioni DIE per ottenere una borsa di studio, e tutti mentono e insegnano ai loro studenti a fare lo stesso. E lo fanno costantemente, dandosi giustificazioni, corrompendo ulteriormente quella che è già un’impresa straordinariamente corrotta».

C’è poi il fenomeno della formazione anti-pregiudizi, corsi «tenuti da personale delle Risorse umane non qualificati che fanno lezioni sugli atteggiamenti razzisti/sessisti/eterosessisti teoricamente pervasivi. E questa formazione è spesso una precondizione necessaria per occupare un posto in una commissione di assunzione».

Un principio nemico di competenza e giustizia

È un quadro tremendo quello dipinto da Peterson sull’università canadese, purtroppo simile al mondo accademico americano e inglese, dove woke e cancel culture dettano legge grazie alla diffusione di un nuovo pensiero progressista illiberale, denunciato finalmente anche da tanti liberal. Anche se è ancora la paura di non essere “allineati” a farla da padrona: «Fino a che non ci si renderà conto che ci sono anche psicologi, avvocati e altri professionisti terrorizzati dall’ideologia woke che governa i college, non capiremo davvero fino a che punto siamo arrivati».

La conseguenza di queste regole assurde, poi, è paradossale e opposta alle intenzioni di chi, pensando fosse giusto riservare quote per la disabilità, l’equità e l’inclusione, credeva così di dare più possibilità a tutti. «Esattamente», si chiede Peterson, «che cosa dovrei fare quando incontro uno studente laureato o un giovane professore assunto per motivi DIE? Manifestare istantaneo scetticismo riguardo alle sue capacità professionali? Che schiaffo in faccia sarebbe a un giovane outsider che fosse veramente meritorio! E forse è questo il punto. L’ideologia DIE non è amica della pace e della tolleranza. È assolutamente e completamente nemica della competenza e della giustizia».

Il caso Hollywood

Ma poiché va di moda dire che la cancel culture non esiste e il woke è un’invenzione dei conservatori reazionari, Peterson porta altri esempi per «quelli di voi che pensano che io stia sopravvalutando il caso, o che questo sia qualcosa di limitato alle università, consideriamo». Hollywood, «focolaio del sentimento liberal», è la dimostrazione che questa mentalità ha fatto diversi proseliti: «Nel 2020, l’Academy ha intrapreso un piano quinquennale (suona qualche campanello storico?) “per diversificare la nostra organizzazione ed espandere la nostra definizione del meglio”, lo hanno fatto in un tentativo che includeva lo sviluppo di “nuovi standard di rappresentazione e inclusione per gli Oscar”, per, ipoteticamente, “riflettere meglio la diversità del pubblico che va al cinema”. Quali frutti ha portato questa iniziativa, figlia dell’ideologia DIE?».

Secondo un recente articolo scritto da Peter Kiefer e Peter Savodnik e pubblicato su Common Sense di Bari Weiss (e di cui Tempi ha parlato qui), oltre venticinque scrittori, registi e produttori intervistati, e liberal, «hanno descritto una pervasiva paura di entrare in conflitto con il nuovo dogma», spiegando che il modo per sopravvivere alla rivoluzione è diventarne i sui più ferventi sostenitori.

«E questo è ovunque»: la CBS, ad esempio, ha imposto che ogni stanza degli scrittori ci sia almeno il 40 per cento di BIPOC nel 2021 (il 50 nel 2022). «Siamo ora al punto in cui la razza, l’etnia, il “genere” o la preferenza sessuale sono considerate la caratteristica fondamentale che definisce ogni persona (proprio come sperava la sinistra radicale) e, in secondo luogo, sono trattate come la qualifica più importante per studio, ricerca e lavoro».

I punti ambientali per misurare la moralità delle aziende

Come detto, a fare notare quanto questo sia “folle” non sono soltanto i conservatori: «Anche l’ottuso New York Times ha i suoi dubbi. Ecco un titolo dell’11 agosto 2021: “I programmi per la diversità sul posto di lavoro fanno più male che bene?”. In una parola, sì. Ma se pensiamo che i DIE siano negativi, scrive Peterson, non avete ancora visto i punteggi ESG (Environmental, Social and Governance).«Con la pretesa di valutare la responsabilità morale delle imprese, questi punteggi, che possono influenzare drammaticamente la redditività finanziaria di un’impresa, non sono altro che l’equivalente del dannato sistema di credito sociale cinese, applicato al mondo imprenditoriale e finanziario».

Peterson si appella ai CEO: «Cosa c’è che non va in voi? Non vedete che gli ideologi che promuovono tali sciocchezze spaventose sono guidati da un’agenda che non è solo assolutamente antitetica alla vostra impresa del libero mercato, in quanto tale, ma va contro precisamente alle libertà che hanno reso possibile il tuo successo? Non vedete che andando avanti, come una pecora (proprio come fanno i professori; proprio come fanno gli artisti e gli scrittori) state crescendo una vera e propria quinta colonna all’interno delle vostre attività? Siete davvero così ciechi, intimiditi e codardi?». Università, scuole, cultura, cinema e tv, anziende. «La diversità, l’inclusione e l’equità – la Trinità della sinistra radicale – ci stanno distruggendo».

Persino Putin fa la morale all’occidente illiberale

Persino Vladimir Putin, presidente autoritario della Russia post-sovietica, ironizza amaro Peterson, si è reso conto di quello che sta accadendo, e ne trae vantaggio: in un suo recente discorso ha detto che «i fautori del cosiddetto “progresso sociale” credono di introdurre l’umanità a una sorta di nuova e migliore coscienza. L’unica cosa che voglio dire ora è che le loro prescrizioni non sono affatto nuove. Potrebbe essere una sorpresa per alcune persone, ma la Russia ci è già passata. […] La distruzione dei valori secolari, della religione e delle relazioni tra le persone, fino al totale rifiuto della famiglia, l’incoraggiamento alla delazione sui propri cari: tutto questo era proclamato progresso e, tra l’altro, all’epoca era ampiamente supportato in tutto il mondo ed era piuttosto alla moda, come oggi».

«La lotta per l’uguaglianza e contro la discriminazione si trasforma in un dogmatismo aggressivo al limite dell’assurdo, quando le opere dei grandi autori del passato – come Shakespeare – non vengono più insegnate nelle scuole o nelle università, perché si crede che le loro idee siano arretrate. I classici sono dichiarati arretrati e non consapevoli dell’importanza del genere o della razza. A Hollywood vengono distribuiti promemoria sulla corretta narrazione e su quanti personaggi di che colore o genere dovrebbero essere in un film. Questo è anche peggio del dipartimento agitprop del Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica». Incredibile, no?

Per questo Peterson termina con un appello a una sorta di contro-risveglio a professori, imprenditori, musicisti, artisti, scrittori: «Smettetela di censurare il vostro pensiero». Chi semina vento, conclude, raccoglierà tempesta. «E il vento si sta alzando».

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