Perché il fresco silenzio delle Sentinelle in piedi dà fastidio a un potere ammuffito

A Roma, in piazza San Silvestro, erano 500. Nel momento in cui il Palazzo è ripiegato su una sorta di gerontocrazia ideologica, la piazza sta diventando il luogo per proclamare le ragioni della vita e della famiglia

Venerdì sera, Roma. In tanti con le gambe, e ancora di più con la testa, già immersi nel secondo fine settimana d’estate. Piazza San Silvestro, benché centrale, è fuori dalla movida, circondata da uffici e da negozi che chiudono alle 19. L’appuntamento non è annunciato da manifesti, da spot, o da lanci mediatici. Eppure ci sono più di 500 persone, per lo più giovani.

Come in tutte le “veglie” che si sono svolte e continueranno a svolgersi in Italia, non ci sono slogan o discorsi: ci sono donne e uomini dalla schiena dritta, il cui silenzio pesa più di mille comizi, ciascuno con un libro che invita alla riflessione. Alla loro prima iniziativa, meno di un anno fa, erano in 7; oggi ogni “veglia” fa contare centinaia di partecipanti.

Per chi immaginava di far passare senza opposizione il ddl Scalfarotto sull’omofobia, il paramatrimonio fra persone dello stesso sesso e il divieto penale di parlare di famiglia, per i partner istituzionali del variegato mondo Lgbt e per le lobby, anche mediatiche, di riferimento, le Sentinelle in piedi sono diventate più di un fastidio: non sono confessionali, quindi non le si può accusare di clericalismo; non sono partitiche, quindi non vi è nessuna strumentalizzazione da evocare; sono tranquille (ciò che spiace di più agli attivisti Lgbt); non reagiscono alle provocazioni, neanche alle più volgari, quindi non le si può etichettare di estremismo. Soprattutto non demordono: le piazze si moltiplicano, la quantità e la qualità dei partecipanti cresce.

A San Silvestro il numero di 500 è vero, frutto di un conteggio preciso, non è gonfiato sul triplo dell’effettivo come per i Gay Pride che si sono svolti nelle medesime ore con tanto di patrocini istituzionali e di endorsement di varia provenienza politica. Il che vuol dire tante cose. Fra esse, che in Italia non si è estinta la specie di chi è convinto che non si può fare a meno della famiglia; che la categoria famiglia non esiste più se è sostituita da plurime categorie di famiglie; che è senza logica mettere sullo stesso piano realtà diverse, privilegiando convivenze nelle quali la rivendicazione dei diritti va di pari passo con l’abbandono dei doveri; che, per riprendere un punto su cui papa Francesco torna di frequente, il «degrado culturale» consiste nel preferire a un figlio il «più facile e maggiormente programmabile (…) rapporto affettivo con gli animali»: perché, come ha ricordato nella sua più recente intervista, «un animale non è libero, mentre avere un figlio è una cosa complessa» (chissà se dalle parti di Elton John si legge pure questo, prima di rivolgere impropri osanna al Pontefice).

Non solo questa specie non è estinta, ma è pronta, se chiamata a raccolta, a dare ragione pubblicamente della propria speranza. È pronta, raccogliendo la provocazione del Papa argentino, a dire con i fatti, con le parole e con i silenzi, che vi è una parte di Europa che non si è stancata di fare la mamma e che non preferisce fare la nonna. È vero, sono ancora tanti i sessantottini, vecchi d’età o di mentalità, la cui prospettiva di vita è portare a spasso il barboncino discettando di quanto è bella l’eterologa e di quanto è pedagogico che un bimbo – se sopravvive all’aborto – abbia due papà. Ma ci sono sempre più giovani che non pensano all’Europa come a una vecchia sterile e decrepita, ma costruiscono il futuro dando la vita. Nel momento in cui il Palazzo, al di là dell’età media di chi ci sta dentro, è ripiegato su una sorta di gerontocrazia ideologica, la piazza è sempre più il luogo per proclamare le ragioni della vita e della famiglia. Ce ne vogliamo convincere una buona volta?

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