Ha un nome e un volto il “Bridge Man”, l’uomo che giovedì 13 ottobre, alla vigilia dell’apertura in Cina del XX Congresso del Partito comunista, è salito sul “sitong qiao” a Pechino, ponte situato in una zona centrale e trafficatissima della capitale, per inscenare un’inedita protesta contro Xi Jinping.
Peng Lifa, conosciuto online come Peng Zaizhou, nei pochi minuti a disposizione prima di essere portato via dalla polizia, ha appeso due grandi striscioni al ponte, sul lato che si affaccia sulla prestigiosa Università del popolo cinese, e invocato la rimozione del «dittatore e traditore Xi Jinping».
Per richiamare l’attenzione, ha bruciato qualcosa e prodotto così una colonna di fumo mentre il messaggio è stato veicolato anche attraverso altoparlanti, davanti a centinaia di cinesi stupefatti.
Foto e video del sit-in, insieme al messaggio veicolato da Peng, sono stati condivisi decine di migliaia di volte online in Cina, con la censura del regime che ha immediatamente cancellato tutti i post.
In un tweet Xiao Han, ex docente di giurisprudenza presso l’Università cinese di scienze politiche e legge, sospeso nel 2009 per aver partecipato a un dibattito pubblico sulla democrazia costituzionale, ha scritto interpretando sicuramente il pensiero di molti in Cina: «Da codardo, ammiro il signor Peng Lifa. Gli sono grato e mi vergogno anche. In questi tempi pericolosi, prego per la sua sicurezza e lo ringrazio per aver rafforzato le mie convinzioni».
La protesta di Peng non è stata “un colpo di testa” o un gesto irruento. La mattina stessa del sit-in, infatti, un documento di 23 pagine intitolato “Prontuario per lo sciopero degli studenti, per lo sciopero del mondo dell’economia e per la rimozione di Xi Jinping” è stato inviato a diversi siti di informazioni stranieri in lingua cinese.
«Questo è un volantino contro lo Stato traditore», si legge all’inizio del documento, «un prontuario di protesta, una piattaforma elettorale e un piano politico con lo scopo di contrastare il dispotismo e salvare la Cina. Coloro che violano i diritti umani devono essere cacciati, a prescindere da quanto siano potenti».
Nelle 21 unità di cui si compone il prontuario Peng invita a inscenare scioperi per impedire a Xi Jinping di prendere il potere a vita e a seguire la strada della protesta non violenta per portare la Cina «sulla strada della libertà, della democrazia e della prosperità».
Interessanti in particolare le unità centrali, dove Peng invita i cinesi e i membri del Partito comunista a eleggere i propri rappresentanti, proponendo una piattaforma per farlo e per comporre un governo transitorio incaricato di emendare la Costituzione da approvare tramite referendum. Tanti i rimandi espliciti a Charta 08, il manifesto per la democratizzazione della Cina promosso nel 2008 dal premio Nobel per la pace Liu Xiaobo, morto in carcere, e firmato da 303 intellettuali e attivisti per i diritti umani.
Negli ultimi 30 anni sono stati pubblicati soltanto altri tre manifesti che invitavano alla democratizzazione della Cina, come ricorda China Change. Il primo è opera di Peng Ming, dirigente cristiano di due famose aziende statali a Pechino negli anni ’90, perseguitato dal regime dopo aver pubblicato Progetto per la democrazia. Condannato all’ergastolo nel 2005, è morto in carcere nel 2016 a 58 anni.
Il secondo, Charta 08, è stato realizzato da Liu Xiaobo, arrestato nel 2008 e condannato a 11 anni di carcere. Il regime gli ha sempre negato le cure necessarie per curare un cancro al fegato, malattia di cui è morto nel 2017 a 61 anni.
Il terzo tentativo è stato fatto da Xu Zhiyong, leader del Movimento dei nuovi cittadini, che in una serie di saggi tra il 2012 e il 2013 disegnò un piano per la democratizzazione del paese. Xu, 49 anni, è stato in carcere dal 2013 al 2017. Arrestato nuovamente nel 2020, è stato processato a giugno ma il verdetto è ancora sconosciuto.
Peng Lifa, i cui testi si richiamano esplicitamente a quelli di Liu e Xu, potrebbe andare incontro allo stesso destino.