Onore al compagno Macaluso, un uomo libero tra funzionari del potere

Comunista "eretico" estraneo al sentimentalismo dominante, è stato testimone in vita e in morte che senza Ideale, Giudizio, Tradizione, l'uomo semplicemente non esiste

Cronache di mezzo lockdown / 31

La vita impegnativa e impegnata di Emanuele Macaluso tratteggiata in un mirabile articolo da Concetto Vecchio, è lì a dire almeno tre cose. La prima è che Dio ha bisogno di tutti gli uomini, degli uomini buoni e cattivi, fino al punto di lasciarli morire in tarda vecchiaia – Macaluso si è spento a 96 anni – e come preferiscono loro («vorrei andarmene nel sonno», e così è stato).

Secondo, la vita di Macaluso dice che la vita è bella non perché è bella secondo il sentimentalismo inventato dal secolo dei lupi (vedi Casadei di ieri) e proseguito – dopo germi di ricostruzione materiale che non sono mai diventati ricostruzione di ragioni spirituali – fino a ri-comandare di nuovo quasi nell’aria che si respira. Dal sentimentalismo colpevole del celebre filmetto di Roberto Benigni all’informazione dispotica odierna. Che sfrutta la propria autorevolezza e posizione dominante (il Washington Post di Jeff Bezos, il più ricco dei ricchi padrone di Amazon, raccontato ieri da Piccinini) senza neppure lontanamente rendersi conto (o forse sì) dell’effrazione compiuta della libertà di parola, di pensiero e, quel che più conta, della vita della gente comune. «E bisognerebbe staccare la spina ai telegiornali, tutti – mi scrive un amico – fonti di inquinamento emotivo da propaganda».

Macaluso era uno degli ultimi uomini rimasti estranei al sentimentalismo dominante. Ha combattuto la mafia: non con le chiacchiere della “scuola del sospetto” dei gesuiti di Palermo Sorge-Pintacuda e andando contro la mafia dell’antimafia. Soprattutto: non ha potuto iniziare un mattino in vita sua senza mettere mano e scrivere un pensiero, un giudizio, una riflessione al servizio della dignità del proprio vivere e della dignità dei propri compagni uomini. Quali che fossero.

Punto tre. Macaluso è stato fino all’ultimo un comunista dell’Ideale (secondo Carducci e Giussani: «Tu sol – pensando – o Ideal sei vero»). E niente affatto il funzionario di un ordine e mentalità costituiti. Tant’è che lo hanno definito eretico – similmente a Pier Paolo Pasolini – perché nonostante gli si riconoscesse altezza e serietà di pensiero, Macaluso era uomo libero in mezzo a una torma di funzionari del potere. Tanto è vero che – almeno qui in Italia – dal tempo post sessantottino in cui il Potere è stato espressione dell’alleanza di cristiani senza fede e di comunisti senza fede, essendo da cemento di potere la mancanza di fede e il cinismo condiviso, è facile capire perché un Prodi – a lungo consulente e prof in Cina – è arrivato fino all’intervista di ieri ad Avvenire per puntellare il filocinese Conte, con una faccia e un’espressione troppo sofferta per essere quella di un uomo che ha avuto tutto il potere che potesse immaginare di avere in vita sua. Senza mai avere – e noi siamo qui ad augurargli di trovarlo nell’ultimo scorcio del comune cammino – il senso impegnato e impegnativo per l’Ideale.

Ideale rimasto invece impresso fino alla morte presa nel sonno, sulla faccia e nell’espressione – severa ma non disperata – di Emanuele Macaluso. E onore al compagno Macaluso. Testimone in vita e in morte che senza Ideale, senza Giudizio, senza Tradizione (senso della storia e memoria), l’uomo semplicemente non esiste, se non come foglia in balìa dell’ultimo telegiornale.

Foto Ansa

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