Ministro Valditara, non devono esistere famiglie di serie A e di serie B

Tutti devono potersi iscrivere alla scuola paritaria, anche i poveri, altrimenti non ci sarà mai in Italia vera applicazione della legge Berlinguer

Caro direttore,
sono contento che Tempi abbia rilanciato quanto detto dal ministro Valditara al Meeting di Rimini. In effetti, egli ha detto e annunciato tutte cose ottime, che da tempo non si sentivano. Ha finalmente assicurato che verrà data piena attuazione alla parità scolastica, cosa che la riforma Berlinguer aveva già previsto anni fa, ma che poi non ha avuto incredibilmente seguito, dato che tutti i ministri che si sono succeduti erano impregnati di una mentalità e da una cultura desolatamente “statalista” (lo statalismo è l’eredità nociva che ci ha lasciato la presenza comunista). Ha finalmente e convintamente detto che sarà superata la diseducativa prassi sessantottina del “sei politico”. Ha coraggiosamente ribadito che occorre dare definitivo impulso alla valorizzazione della funzione dei docenti, aspetto fondamentale per sottolineare il compito educativo della scuola (ma non si dimentichi il compito educativo della famiglia, anche nell’ambito scolastico).

In questo contesto, Valditara ha sottolineato le misure assunte recentemente a favore dei docenti delle scuole paritarie, misure a cui si è arrivati grazie al convegno organizzato dalla rete associativa “Ditelo sui tetti” il 5 giugno 2023 nella sede della Regione Lombardia. Ha avuto, poi, il coraggio di indicare un esempio positivo di scuola professionale e cioè l’In-Presa, all’interno di un discorso, molto opportuno e positivo, di valorizzazione dell’istruzione tecnico-professionale, usando un’espressione molto efficace, secondo cui non vi possono più essere scuole con diverse dignità: non vi possono essere scuole di serie A (licei, etc.) e scuole di serie B (tecniche-professionali). Giustissimo e ancora una volta diciamo “finalmente”.

Ma a proposito dell’espressione usata opportunamente dal ministro, vorrei ricordare a tutti, compreso il ministro, ma anche a tutte le vecchie realtà che hanno sollecitato il ministro con le loro domande, che esiste un’altra clamorosa distinzione tra serie A e serie B nel campo ampio dell’educazione. Vi sono, infatti, famiglie di serie A (le benestanti) che possono scegliere liberamente la scuola a cui iscrivere il propri figli, perché sono in grado di pagare rette talora anche molto alte. Ma vi sono famiglie di serie B (e sono le povere e anche le più numerose) che non possono operare tale scelta, perché il loro reddito non lo permette. Questa permanente separazione tra famiglie di serie A e famiglie di serie B costituisce una palese e clamorosa violazione dell’articolo 30 della Costituzione (che pare sia la più bella del mondo), il quale riconosce ai genitori il diritto di educare e istruire i figli.

Tale diritto è riconosciuto solo ai genitori (cioè alla famiglia). Essendo il nostro un ordinamento democratico, tale diritto non è riconosciuto a nessun altro, neppure allo Stato (solo gli Stati totalitari si attribuiscono il diritto all’educazione e all’istruzione). Ma le nostre istituzioni, sulla base di un pregiudizio ideologico storico e irrazionale, non si preoccupano che nel nostro paese vi sia questa scandalosa distinzione tra famiglie di serie A e di serie B. Senza l’abbattimento di tale distinzione, in Italia non vi sarà mai vera libertà di educazione; cioè non ci sarà mai la libertà più importante, quella farisaicamente riconosciuta da tutti gli ambiti internazionali.

Dovremmo, invece, impegnarci tutti affinché a questa libertà venga data piena attuazione. Dico tutti, anche le “scuole dei ricchi”, le quali dovrebbero vergognarsi di accettare solo studenti che siano figli di famiglie ricche. Soprattutto le scuole cattoliche dovrebbero vergognarsi di questa situazione e dovrebbero impegnarsi in questa battaglia di libertà. Mi sembra, invece, che vi sia molta rassegnazione in proposito e che la piccole battaglie da loro alimentate siano tutte tese a ottenere qualche elemosina dalle istituzioni, lasciando che continui la distinzione tra famiglie di serie A e famiglie di serie B. Soprattutto il mondo cattolico, che fa riferimento quasi esclusivamente ai “poveri”, lascia poi, con grande incoerenza, che solo le famiglie ricche possano accedere alle sue scuole. Un mio caro amico dice spesso che oggi la famiglia di don Bosco (povera) non potrebbe iscrivere il suo Giovanni a una scuola salesiana! Purtroppo è vero. Quando sarà superato questo vero e proprio scandalo?
Peppino Zola

Buongiorno direttore,
da scarso musicista quale sono, apprezzo sempre chiunque si cimenti nel suonare uno strumento a prescindere dai risultati ottenuti e dalla qualità erogata. I musicisti non professionali dimostrano sempre una passione sincera ed avendo altro da fare nella vita gli si possono perdonare diversi strafalcioni. Poi ci sono delle eccezioni, mi vengono in mente John Mc Enroe e Yannick Noah, due tennisti ma anche buoni performer sul palco, ma anche Johnny Depp o Woody Allen, loro addirittura sono attualmente in tour in giro per il mondo. Esiste una categoria di musicanti per diletto che però mi fa sempre sorridere, e sono i politici.

So di peccare di incoerenza, ma apprezzare operai, attori, ragionieri, sportivi, medici che si danno alla musica mi riesce semplice, nei politici nasce in me l’eterno dubbio di dove sia la barriera tra la passione e la sovraesposizione mediatica. Ammetto che questa riflessione mi è nata in questi giorni guardando in televisione la segretaria Schlein alla festa dell’Unità con tanto di chitarra elettrica suonare, tra una salamella e un comizio, brani di Eric Clapton e dei Cranberries. L’inadeguatezza della ragazza crea anche in me che assisto a questa scena la stessa domanda che sembra si stia facendo lei, ovvero: ma perché?

Più che spinta dalla passione sembra spinta sul palco da qualche segretario di sezione o peggio ancora da qualche addetto stampa. Ma è solo l’ultima di tanti. Ricordo in passato un imbarazzante Bill Clinton in campagna elettorale con il suo sax e invece recentemente il sindaco di Roma suonare sempre la stessa canzone brasilera a favor di telecamera con la chitarra classica o il sindaco di Firenze improvvisare qualsiasi motivetto col suo violino.
Per fortuna esistono anche delle eccezioni, politici che avrebbero potuto far diventare la musica la loro professione.

Uno era sicuramente il buon Silvio. Sarebbe stata una carriera da piano bar nelle crociere, senza mire da star, ma il lunario l’avrebbe sbarcato. Quello che secondo il mio modesto parere sarebbe potuto diventare uno straordinario performer era Roberto Maroni. Qui nella provincia di Varese molti ricordano una big band chiamata Distretto 51, erano una dozzina di musicisti e si cimentavano con la musica Soul. Bobo Maroni era un eccellente tastierista e con il suo organo Hammond suonava in maniera disinvolta brani di Aretha Franklin, Ray Charles, James Brown etc.

Perdonami una punta di moralismo da strada, ma è innegabile che la professione del politico dovrebbe richiamare a un interesse sui temi proposti, ed è innegabile che trasportare pezzi di vita privata anche se innocui come lo strimpellare uno strumento, possa distogliere chi li segue dalla loro professione. E allora preferisco rimanere nel passato, dove ogni tassello stava al proprio posto, e se uno tra Berlinguer, Craxi o Andreotti fosse stato per diletto batterista o bassista certo non l’avrebbe raccontato a noi.
Antonio Azzarito

Foto Ansa

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