L’adunata di Giovanni Testori al Meeting

Il possente scrittore torna a Rimini per esortarci a una libertà e un'amicizia senza dipendenza. Grazie a uno dei tre ragazzi che nel 1978 lo cercò in via Brera. La testimonianza di Riccardo Bonacina

Un momento dell’incontro al Meeting di Rimini sui cento anni dalla nascita di Giovanni Testori (foto Flikr Meeting)

«Io vorrei dire che qui al Meeting la cosa che mi ha fatto più dolcezza è vedere quanti giovani e giovani ci lavorano, da quelli che lo costruiscono e che lo mettono in atto, a quelli che sono lì e nei vari stand aiutano, a quelli che ti portano in macchina, gratuitamente. Quando vado fuori vedo tutti questi che girano, girano, tutti come mosche senza testa, e qui invece lavorano, per un fatto, per una testimonianza», «come si fa a parlare di Cl e del Meeting se non si vedono queste cose, se non si toccano queste cose?», «A me Cl non mi ha mica preso per delle teorie di teologia, mi hanno preso quando sono venuti a trovarmi tre, quattro, per la tenerezza, l’amicizia, per qualche cosa in più di umano che oggi invece la società – e lasciatemi dire anche gran parte della società cristiana – ha buttato via per inseguire la mitologia di uno stramorto progressismo».

Fuori mosche senza testa e al Meeting giovani al lavoro per un fatto: corre il 1989, il mondo pare rimasto asciutto di carne e senso come nel 1978, quando tre ragazzi bussano alla porta dello studio di Giovanni Testori perché hanno letto il suo articolo “La realtà senza Dio” sul Corriere della sera, e di quel passaggio – a tre giorni dal rapimento di Aldo Moro e dell’uccisione della sua scorta («non ci è stato concesso d’imbatterci in una sola domanda che recasse in sé il disperato bisogno d’una possibile spiegazione totale e, dunque, religiosa del punto in cui è arrivata la vita») – hanno parlato a cena in un «lurido appartamento di universitari fuorisede a Milano, zona San Siro».

«Andavamo in via Brera»

Vogliono incontrarlo, perché c’è vita nelle sue parole, perché don Giussani li ha cresciuti con una indicazione («al mattino pregate e leggete i giornali: la preghiera perché vi mette nella giusta posizione davanti al Mistero, i giornali per non vivere con la testa in un sacco») e da quando è subentrato a Pasolini al Corriere i suoi articoli  finiscono sempre nella loro piccola rassegna stampa, nei loro Taz&Bao. «Fu un gesto semplice andare a trovare un editorialista del Corriere della Sera che ci stupiva per i suoi commenti in prima pagina, le cui parole, a differenza di tutte le altre, avevano a che fare con la vita, specificamente con la nostra vita, le sue domande, le sue attese. Giovanni Testori commentava i fatti del giorno, la cronaca, parlando anche di noi».

Lo racconta il giornalista e fondatore di Vita (appunto) Riccardo Bonacina al Meeting nel centenario della nascita dell’amico e maestro Testori, in margine al video riproposto il primo giorno della kermesse di un incontro del 1989, “Testori dieci anni dopo”. Cosa era accaduto prima lo sapete (qui un ripasso), i tre ragazzi vanno allo studio di via Brera 8, lo scrittore isolato dalle congreghe apre, il resto è amicizia operativa, ragazzi che bussano, e poi verranno su giornalisti, scrittori, artisti, la casa di Novate dello scrittore diventerà scuola e fucina, verrà su il circuito dei centri culturali, i libri, le riviste, il Teatro degli Incamminati.

Testori al Meeting, «vorrei chiamarvi nome per nome»

Verrà su quel Meeting a cui Testori dopo aver dato tutto, e poi essersi allontanato ostiato, e poi essere tornato, dice grazie a tutti, «vorrei chiamarvi nome per nome». La notte prima il Miguel Mañara di Milosz, portato in scena su e giù fino alle sei del mattino per le vie di Rimini dai “suoi” Incamminati e dal “suo” Emanuele Banterle, custode per tutta la vita di quella compagnia teatrale, aveva mostrato di che pasta fossero fatti i frutti di quell’amicizia, il carattere popolare di una compagnia che non presupponeva nessun “per” (il teatro “per” il popolo), quanto piuttosto, un “con”. Per tutto il resto, per quello che Testori ha dato al Meeting e il popolo di don Giussani ha dato a Testori citofonare a Emilia Guarnieri, cofondatrice del Meeting per l’amicizia fra i popoli, e destinataria del primo “grazie” di Testori.

Ma non è al passato che parla Bonacina bensì al presente, ai presenti in sala: ai ragazzi rivolge l’invito di Giussani, «al mattino preghiera e giornali», sprona a ripetere quel gesto, «se vi interessa qualcuno, se sentite che ciò che ha da dire ha che fare con la vostra vita cercatelo, incontratelo», e ripete le parole di Testori, «c’incoraggiava a osare la navigazione in mare aperto, proponendo una sfida per ciascuno di noi, accompagnandoci sino all’uscita dei nostri tranquilli porti delle nostre sicurezze e protezioni, invitandoci a non avere mai paura. “Di che avete paura?”, diceva, “qui intorno è tutto un brodino. Un intreccio di piccoli interessi e scambi di prebende. Siete così pieni di vita, il dono che avete ricevuto non è vostro, perciò di che vi spaventate”».

«È vietata la parola che non c’entra con la vita dell’uomo»

E non c’è mai un “fate come noi” ma un “fatelo anche voi” perché l’amicizia non è ancora finita. «Due grazie, tra gli infiniti grazie che dovrei dire a Testori. Il primo: è vietata la parola che non c’entra con la vita dell’uomo. Perché proprio lì, solo lì, nella realtà, nella vita dell’uomo è rintracciabile il segno creaturale, cioè il senso del nostro essere al mondo. Il racconto di Testori a me è parso sempre racchiuso tra un episodio e una frase che mi capitò di raccogliere nella stanzetta del San Raffaele prima che morisse per un’intervista per Raidue. Testori, per spiegare da dove gli nacque la passione per la parola, di una parola così impastata di vita, raccontava sempre un episodio capitatogli da bambino. Una sera, a Lasnigo, andando con la mamma a fare la spesa, vide un uomo legato con una catena tra due carabinieri. Incrociando il suo sguardo l’uomo disse qualcosa. E quand’era più lontano, siccome continuava a guardarlo, si voltò e ancora disse qualcosa aprendo la bocca. “Ecco”, diceva, “Io ricordo quella sua bocca ogni giorno e penso, cosa m’avrà detto? Che cosa posso fare io perché questa bocca che si è aperta sulla faccia di un uomo che veniva portato in prigione non morisse, non venisse diminuita? Qual era la parola? E io cosa potevo fargli dire?”».

Qualcosa di simile gli disse al San Raffaele commentando le immagini di bambini denutriti e in fin di vita che giornali e tv usavano per raccontare la terribile carestia nel Corno d’Africa: «“Quelle immagini terribili di bambini ci giudicano”, mi disse. “Io mi immagino di reincontrare in cielo quei volti scavati e ci chiederanno ragione della nostra spensieratezza, della menzogna delle nostre parole e della nostra vita. Quei bambini solo apparentemente non parlano, le loro parole le sentiremo tutte il giorno del giudizio”. E ancora, “fuggite le astrazioni”, ci ammoniva Testori. La verità non ha altro luogo, altra casa che non sia la realtà, la vita dell’uomo. Fate parlare la realtà, la vita, cercatela lì la parola, fatela scaturire da lì».

Un’amicizia senza dipendenza

Il secondo grazie è per «la libertà. Con lui imparammo la libertà che deriva da un unico e più grande e umile sì all’unica e sola necessaria dipendenza. “Libero sempre non è il pensier liberamente espresso”; Testori, vero indipendente, ribelle, contestatore di ogni congrega, disdegnatore di qualsiasi incarico, irregolare, amava citare questo verso dell’Alfieri per specificare cosa fosse la libertà, da dove scaturisse la libertà nel lavoro, nella vita. “Non svendetevi, non svendete la vita, la vostra e quella di chi incontrate, non svendete il pensiero e le parole, prendetevi tutte le libertà che solo il sì all’unico grande mistero vi permette di prendervi”».

Non svendete la vita, il pensiero, le parole, prendetevi tutte le libertà che solo il “sì” all’unico Mistero vi permette di prendervi. «Il rapporto con Testori è stata un’amicizia senza dipendenza, un uomo che si è fatto padre di noi e figlio del nostro incontro», ha ricordato Davide Dall’Ombra, direttore dell’Associazione culturale Casa Testori, concludendo il primo dei tre convegni che quest’anno riportano Testori a casa, al Meeting (qui potete seguire l’incontro inaugurale e ascoltare gli interventi di Emilia Guarnieri, testimone delle presenze di Testori al Rimini con Del Noce, In exitu, la Via crucis di Vertova e di Angela Demattè, drammaturga e attrice) sul compito dell’amicizia, l’affinità esistenziale con Gaber e Jannacci (qui la serata con Giuseppe Frangi, Paolo Jannacci e Massiimo Bernardini), il teatro (qui l’incontro con Valter Malosti, regista e interprete di Maddalene in scena al Teatro Galli, Andrée Ruth Shammah e Andrea Soffiantini).

Bonacina ripensa sempre all’esagerazione che derivò da un gesto semplice e ingenuo di un piccolo gruppo d’universitari che una sera in un lurido appartamento di fuorisede ragionavano «quante volte ci siamo detti se avessimo potuto incontrare Giacomo Leopardi, ragionare con lui, ringraziarlo… Ecco, Testori sta in via Brera, andiamo a incontrarlo». Ed è impossibile non incontrarlo anche quest’anno, ringraziare come Testori nell’89 «per questi dieci anni che mi avete dato, in cui mi avete sopportato, portato, aiutato, in cui mi avete abbracciato senza chiedermi niente di tutti i miei errori, di tutte le mie colpe, di tutte le mie stramberie, di tutta la mia disperazione» ma soprattutto ringraziare per Testori e la sua inesauribile amicizia.

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