La verità sullo spericolato accordo grillesco con la Cina sulla “Via della seta”

Rassegna ragionata dal web su: l’ambigua intesa voluta da Conte con Pechino al centro del viaggio della Meloni da Biden, le pretese degli americani, la questione sottovalutata delle mafie internazionali

Giuseppe Conte, all’epoca presidente del Consiglio, il 27 aprile 2019 a Pechino con il presidente cinese Xi Jinping (foto Ansa)

Su Dagospia si riprende da La Verità un’intervista di Federico Novella a Guido Crosetto dove si dice: «La Russia si muove attraverso la Wagner, in sostanza una società di mercenari che lavora solo per fare soldi: offre soldati e prende miniere. La Cina, invece, occupa politicamente, insedia la propria manodopera, sfrutta le ricchezze in modo sistematico, mette sotto controllo le istituzioni. Pechino si muove con una proiezione a 30-40 anni, adottando una prospettiva temporale che noi occidentali abbiamo disimparato».

Secondo molti osservatori anche le parole del ministro della Difesa Crosetto fanno intendere che domani Giorgia Meloni annuncerà a Joe Biden che l’Italia si ritira dall’accordo sulla “Nuova Via della seta”.

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Sul Sussidiario Giulio Sapelli dice: «Mentre si sbraita con la Cina dicendo: “Adesso basta con i russi”, Janet Yellen, segretario del Tesoro Usa, va a Pechino dicendo di portare “un ramoscello di pace”. Quello che gli americani vogliono è imporsi e decidere quali relazioni tenere con la Cina. La battaglia in corso non è per isolare la Cina, ma per stabilire chi decide come ci si deve comportare con i cinesi. Il messaggio della Yellen all’Europa è questo: “Con loro fate quello che vogliamo noi”. Adesso andranno dalla Meloni e riscriveranno il patto concordato in precedenza per la Via della seta».

Sapelli spiega il contesto nel quale Palazzo Chigi prenderà la sua nuova posizione sulla “Via della seta”.

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Sugli Stati generali Paolo Fusi scrive: «L’arrivo dei grillini ha segnato la svolta mediatica, diplomatica e (venne promesso) economica dell’adesione italiana, primo paese europeo a farlo, al progetto della Via della seta (Bri), ovvero al dichiarato disegno cinese di usare i proventi del proprio surplus commerciale per diventare l’epicentro del nuovo ordine mondiale. Un accordo nell’ambito del quale ci erano stati promessi oltre 20 miliardi di euro. Tradotto in fatti: i cinesi hanno iniziato a comprare porti ed aeroporti, costruire nuove strade e ferrovie, ad imporre le loro auto ed i propri veicoli di terra, acqua e aria, a comprare partecipazioni nell’eccellenza europea: farmaceutica, siderurgia, tecnologia, turismo ed agroalimentare. In cambio sono stati promessi accordi di facilitazioni fiscali alle aziende italiane che volessero estendere la propria operatività commerciale in Cina: Pechino ha creato, non volendo, una borghesia delusa e desiderosa di moda e prodotti che, in Cina, non hanno lo stesso appeal che nell’Occidente».

Il peso dell’influenza cinese sui grillini forse non era stato del tutto valutato nel 2018 sia nella sua componente affaristica sia nei legami con rilevanti settori del mondo cattolico sia nella pur improvvisata proposta (gestita clownisticamente da Luigi Di Maio e Giuseppe Conte) “multilateralista”. Riflettere sul “fattore Pechino” spiega bene anche l’operazione intrapresa da due uomini così legati ad ambienti americani come Matteo Renzi e Mario Draghi.

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Su Formiche Gabriele Carrer scrive: «A inizio aprile anche Reuters ha acceso un faro sui cartelli della droga che operano nel nostro paese utilizzando sempre più spesso reti ombra di intermediari cinesi per nascondere i pagamenti internazionali. L’agenzia ha raccontato che il governo Meloni avrebbe chiesto alla commissione antimafia di indagare per la prima volta “sull’infiltrazione cinese nella società italiana”».

La questione delle “mafie” nel mondo è diventato un problema centrale nella politica estera americana, anche perché queste “mafie” contano sempre più sull’appoggio di interi Stati, non più solo sudamericani o asiatici come quello afghano, ma anche in Russia e Cina. Leggendo Gomorra di Roberto Saviano, al di là della descrizione della camorra, ero stato colpito dal controllo che cinesi a vari livelli avevano del porto di Napoli. Un glorioso generale dei carabinieri mi aveva spiegato che a Gioia Tauro la realtà dell’infiltrazioni cinesi più o meno mafiose era anche peggiore. È stato dunque grande il rischio “giallorosso” che abbiamo corso che Pechino acquisisse il controllo di porti strategici come Taranto e Trieste.

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