La lunga marcia di Xi Jinping per diventare imperatore della Cina

Dopo una lunga scalata al potere fatta di purghe violente e revisioni storiche, Xi è stato rieletto "presidente di tutto" per la terza volta superando Mao Zedong

Xi Jinping è finalmente riuscito a completare la sua personale impresa e a diventare imperatore della Cina. Dopo essere stato nominato per la terza volta alla guida del Partito comunista cinese (il titolo che conta più di ogni altro), ieri è stato eletto di conseguenza ancora una volta presidente della Repubblica popolare, una carica che potrebbe ormai mantenere a vita. Neanche Mao Zedong ebbe tanto potere per così tanto tempo.

Il leader incoronato imperatore della Cina

Il Congresso nazionale del popolo, con 2.952 voti a favore e nessuno contrario, ha coronato il sogno di Xi: diventare dittatore unico e assoluto della Cina, pensionando la stagione della leadership collettiva e del limite dei due mandati per ogni leader, che aveva caratterizzato il Partito comunista dalla morte di Mao in poi.

Xi non è solo segretario del Partito e presidente della Cina. È anche capo della Commissione militare centrale, alla quale obbediscono i 2 milioni di effettivi dell’esercito popolare di liberazione, e soprattutto gode della fedeltà assoluta degli altri membri del Comitato permanente del Politburo, ai quali sono stati affidati tutti gli incarichi più importanti. Negli ultimi decenni, i posti chiave dello Stato e del partito venivano distribuiti tra i membri delle diverse fazioni. Oggi queste fazioni non esistono più: ne è rimasta solo una, quella riconducibile allo stesso Xi.

La lunga marcia fatta di purghe e revisionismo

Xi ha dovuto lottare per conquistare il potere assoluto. Nel 2012, quando prese per la prima volta il potere all’interno del Partito, riuscì a superare la concorrenza dell’astro nascente maoista Bo Xilai, che fece poi condannare all’ergastolo. Il suo primo periodo da segretario del Partito fu caratterizzato da una violentissima campagna anti-corruzione che smembrò le fazioni a lui opposte e portò all’arresto di migliaia di quadri del Partito.

Nel 2016 si fece attribuire il titolo di «cuore e leader del Partito», privilegio riservato a pochi. Nel 2017 inserì nello statuto del Partito il “pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era”, il cui studio è obbligatorio nelle scuole di ogni ordine e grado.

Nel 2018 lo fece incidere anche nella Costituzione, eliminando allo stesso tempo il limite dei due mandati per la presidenza. A novembre, infine, rilasciò una risoluzione ufficiale sulla storia del Partito comunista, come solo Mao e Deng Xiaoping (nel 1945 e nel 1981) erano riusciti a fare prima di lui, elevandosi di conseguenza al loro rango.

Dopo Xi Jinping, solo Xi Jinping

Xi è stato il primo a controllare allo stesso tempo il fucile, il coltello e la penna: ovvero l’esercito, la polizia e la propaganda. Se una volta per scalare i vertici del potere era necessario dimostrare di avere abilità, oltre che scaltrezza e un degno pedigree rivoluzionario, ormai l’unica qualità richiesta è la fedeltà assoluta all’imperatore. Per questo è stato eletto come premier Li Qiang, già capo del Partito di Shanghai. Nonostante Li sia l’autore del disastroso lockdown di Shanghai, che ha esasperato la popolazione e devastato l’economia, è stato premiato per la sua cieca lealtà al leader.

Ora non esiste più nessuno nel Partito comunista in grado di contrastare l’imperatore e nessun membro della nuova generazione è stato nominato nel Comitato permanente del Politburo, com’era usanza. È comprensibile: dopo Xi Jinping ci sarà ancora Xi Jinping.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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