La Cina trasforma tre atolli in basi missilistiche e minaccia gli Usa

Un aereo della marina militare americana in ricognizione sulle isole contese ha constatato la presenza di navi da guerra e sistemi radar in grado di «destabilizzare la regione» da cui passa oltre il 60% del commercio marittimo mondiale

Mentre gli Stati Uniti sono concentrati insieme al resto della Nato nel sostenere l’Ucraina ed evitare che il conflitto scatenato dalla Russia sfoci in uno scontro su vasta scala, la Cina si rafforza militarmente e si prepara a quello che potrebbe essere il futuro: un potenziale conflitto con gli Usa per il controllo del Pacifico e del Mar cinese meridionale. Proprio in questo braccio di mare stretto tra le coste cinesi, vietnamite, malesi e filippine transitano ogni anno merci per un valore stimato di cinquemila miliardi di dollari.

Navi da guerra e missili

È notizia di ieri che Pechino avrebbe completamente militarizzato almeno tre delle isole artificiali realizzate ex novo in questi anni nell’arcipelago della Spratly reclamato da Malesia, Taiwan, Filippine e Vietnam. Secondo quanto riferito dall’Associated Press, che ha inviato due giornalisti a bordo di un ricognitore P-8A Poseidon della Marina militare statunitense, Pechino ha stanziato nell’area hangar, magazzini, porti marittime, piste e radar con almeno 40 navi ancorate nei pressi dell’isolotto di Fiery Cross. Durante il sorvolo dell’arcipelago, al Poseidon è stato più volte intimato di allontanarsi, con la stazione radio cinese a terra che accusava il velivolo di essere entrato illegalmente nello spazio aereo della Cina.

«La Cina ha la sovranità sulle isole Spratly e sulle aree marittime circostanti. Allontanatevi per evitare mosse sbagliate», afferma uno dei messaggi cinesi. Nonostante le ripetute minacce, il Poseidon ha proseguito la sua rotta, rivendicando la libertà dei cieli in quella zona. Durante il sorvolo, il velivolo Usa sarebbe stato approcciato da un jet cinese, che ha manovrato in modo pericoloso vicino al Poseidon, nel tentativo di dissuaderlo dal proseguire la rotta.

La minaccia della Cina

La presenza di infrastrutture militari sta preoccupando fortemente gli Stati Uniti, impegnati ormai da anni nel contenere le mire espansionistiche di Pechino nel Mar cinese meridionale. Parlando all’Ap a bordo del velivolo Poseidon, il comandante delle forze navali Usa nell’indo-pacifico, John C. Aquilino, ha dichiarato che le azioni ostili di cui è stato testimone il ricognitore sono in netto contrasto con le rassicurazioni fatte dal presidente cinese, Xi Jinping, che in più di un’occasione ha dichiarato che non avrebbe trasformato le isole artificiali in basi militari. «Negli ultimi 20 anni abbiamo assistito alla più grande crescita militare dalla seconda guerra mondiale da parte della Repubblica popolare cinese», ha dichiarato Aquilino, secondo cui la dislocazione di armamenti sulle isole artificiali rappresenta un fattore «destabilizzante per la regione».

Aquilino ha confermato che la costruzione di arsenali missilistici, hangar per aerei, sistemi radar e altre strutture militari sugli isolotti artificiali di Mischief Reef, Subi Reef e Fiery Cross sembra ormai completata, in base alle ricostruzioni aeree, osservando che la dislocazione di sistemi ad alta capacità offensiva rappresenta la volontà di Pechino di espandere il suo raggio d’azione oltre le sue coste continentali. Come dimostrato dal sorvolo del Poseidon, ora qualsiasi aereo militare e civile che incrocia lo spazio aereo sopra le Spratly entrerebbe nel raggio d’azione dei sistemi missilistici cinesi.

La contesa con gli Stati Uniti

La Cina ha risposto alle dichiarazioni di Aquilino con lungo articolo apparso sul Global Times, il tabloid pubblicato dal quotidiano ufficiale del Partito comunista cinese. «Un alto comandante militare statunitense domenica ha nuovamente parlato della cosiddetta militarizzazione da parte della Cina nel Mar cinese meridionale partecipando personalmente a una ricognizione aerea ravvicinata sulle isole cinesi e sulle scogliere della regione insieme ai giornalisti, una mossa che secondo gli analisti cinesi rappresenta una farsa politica che tenta di copiare la crisi ucraina nell’Asia-Pacifico, radunando alleati, partner e altri paesi della regione per affrontare la Cina», si legge nell’articolo.

«Pur affermando che l’obiettivo principale degli Stati Uniti nella regione è “prevenire la guerra” attraverso la deterrenza e promuovere la pace e la stabilità, Aquilino ha affermato che gli Stati Uniti sono pronti a combattere e vincere “se la deterrenza fallisce”», afferma l’analisi del Global Times. «Le isole Nansha (il nome che i cinesi attribuiscono alle Spratly, ndr) e le acque adiacenti sono territori cinesi e la Cina ha la sovranità su di esse. È diritto della Cina costruire le strutture necessarie sul proprio territorio per salvaguardare la sovranità e l’integrità territoriale, proprio come fa qualsiasi altro paese», afferma il tabloid cinese citando il vicedirettore del centro di ricerca per la legge e la politica sugli oceani dell’Istituto nazionale cinese per gli studi sul Mar cinese meridionale, Ding Duo. «Non è ragionevole che gli Stati Uniti impediscano alla Cina di schierare strutture militari difensive sul proprio territorio, mentre allo stesso tempo gli Stati Uniti inviano quotidianamente navi da guerra e aerei da guerra alle porte della Cina nel Mar cinese meridionale», ha affermato Ding.

L’importanza del Mar cinese meridionale

La Cina ha cercato di sostenere le sue vaste rivendicazioni territoriali praticamente sull’intero Mar cinese meridionale costruendo basi insulari su atolli corallini a partire dal 2010. Gli Stati Uniti hanno risposto inviando le loro navi da guerra attraverso la regione in quelle che chiamano «missioni di libertà operativa». Washington non vanta alcuna pretesa territoriale, ma rivendica il ruolo di promotore della libera navigazione nel Mar cinese meridionale. Per contenere le mire espansionistiche cinesi da diversi anni nella zona incrociano navi e aerei della Marina militare.

Gli sviluppi nel Mar cinese meridionale giungono dopo la lunga telefonata (oltre due ore) intercorsa il 18 marzo tra il presidente Usa, Joe Biden, e il leader cinese Xi Jinping. Nel colloquio Biden ha avvertito la controparte sulle conseguenze di un aiuto di Pechino alla Russia, rassicurando però che Washington non desidera una guerra fredda con la Cina. Nei comunicati diramati al termine del colloquio, Usa e Cina hanno fornito versioni differenti dei contenuti della conversazione. Secondo la Casa Bianca, Biden ha ribadito a Xi che Washington non intende modificare la politica nei confronti di Taiwan e che «gli Stati Uniti continuano a opporsi a qualsiasi modifica unilaterale dello status quo». Per il ministero degli Esteri cinese, invece, Biden avrebbe assicurato di non sostenere l’indipendenza di Taiwan.

Foto Ansa

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