«Italia prima a mettere una bandiera in Libia. L’intervento è umanitario, politico e militare»

Intervista all'inviato di guerra Fausto Biloslavo su "operazione Ippocrate". «Con l'Isis siamo alle battute finali. Poi potrebbe toccare al generale Haftar»

Quasi quattro soldati per ogni medico. Sono queste le proporzioni dell'”operazione Ippocrate”, la missione italiana che entrerà in Libia tra circa tre settimane per rendere operativo un ospedale da campo. I 65 medici e infermieri, protetti da 235 parà Folgore, cureranno a Misurata i feriti della guerra che si combatte a 200 chilometri di distanza, nella Sirte occupata dallo Stato islamico. Qui le katibe, le brigate combattenti di Misurata, alleate del governo appoggiato dall’Onu di Fayez Serraj, hanno quasi liberato la città dall’Isis. Ma per una guerra che finisce, ne sta per cominciare una nuova: «A Sirte siamo alle battute finali, poi potrebbe cominciare la guerra contro il generale Khalifa Haftar, che si è impossessato dei quattro principali porti petroliferi del paese», analizza la situazione per tempi.it Fausto Biloslavo, inviato di guerra del Giornale e ultimo giornalista italiano ad avere intervistato Muammar Gheddafi.

Il premier Matteo Renzi è stato accusato di mascherare un intervento militare da “operazione umanitaria”. È così?
Siamo sempre alle solite. È chiaro che portiamo a Misurata un ospedale, però non ci mandiamo le crocerossine ma i militari. Di fatto, siamo la prima nazione europea a sbarcare in Libia ufficialmente. L’aspetto umanitario c’è, ma si va in una zona di guerra.

Il nostro governo ha un intento politico?
È chiaro che piantiamo una bandierina. Abbiamo tanti rapporti in Libia e a Misurata. Diamo un segnale politico. La bandiera italiana, anche se su un ospedale, è la prima che sventola in Libia.

Perché a Misurata?
Sono i misuratini che stanno davvero combattendo la guerra per cacciare lo Stato islamico da Sirte. Assediano la città da quattro mesi, non da quattro giorni, e hanno subìto ingenti perdite. Parliamo di 480 uomini e 2.500 feriti. L’Italia finora ne ha evacuati al massimo 50, una goccia nell’oceano, i feriti più gravi sono stati portati in Tunisia o in Turchia. Il nostro intervento è bene accetto ma è chiaro che sia gli alti ufficiali sia i combattenti stanno dicendo: “Grazie, ma potevate anche arrivare prima”. Ormai siamo alle battute finali della guerra.

E una volta sconfitto l’Isis?
Prepariamoci alla prossima guerra.

Contro il generale Khalifa Haftar (foto sopra)?
È possibile.

Il generale, che controlla di fatto il Parlamento di Tobruk, è l’altro protagonista del conflitto. A partire da domenica, ha conquistato a sorpresa i quattro più importanti terminal petroliferi del paese. Che cosa ha in mente?
Haftar è stato molto scaltro, perché ha attaccato durante la festa islamica dell’Eid, quando perfino a Sirte la guerra si è fermata. Lui ha sfruttato il momento giusto, ma è evidente che la ragione del suo successo non può essere solo l’effetto sorpresa.

Che cosa intende?
Si dice che il porto di Brega l’abbia conquistato senza sparare un colpo: evidentemente ha qualche accordo sottobanco ancora poco chiaro con Ibrahim Jathran e la sua milizia, che doveva essere a difesa dei pozzi.

Ma Jathran non era alleato del governo Onu, contrapposto a quello di Tobruk?
Diciamo che in Libia le alleanze si fanno e si disfano dalla mattina al tramonto. Jathran aveva quasi ricattato l’Onu e si era fatto pagare un sacco di soldi per passare dalla sua parte di Tripoli, o meglio, per autorizzare la compagnia petrolifera nazionale a mettere il cappello sulle esportazioni di greggio. Queste, pur essendo crollate rispetto al periodo di Gheddafi, sono pur sempre l’unica risorsa della Libia. Questa sorta di non combattimento con Haftar mi fa sospettare che sia tutta una messinscena per attuare una truffa petrolifera.

Tutti i paesi europei hanno condannato la mossa di Haftar.
Sì, anche se non dobbiamo dimenticare che fino a poco tempo fa Haftar era il nostro più grande alleato in Libia e il Parlamento di Tobruk era quello appoggiato dall’Occidente e internazionalmente riconosciuto come legittimo. Poi siamo passati dalla parte del governo Onu.

Qual è l’obiettivo di Haftar?
Tobruk non ha ancora voluto riconoscere il governo dell’Onu. Penso che la conquista dei pozzi petroliferi sia un’arma in più nelle sue mani che potrà giocarsi quando ci si siederà al tavolo delle trattative per trovare un accordo tra le parti. La tribù di Misurata detesta Haftar ma io spero che il prossimo passo sia la ricerca di un’intesa e non una nuova guerra. I colloqui dovrebbero avvenire a breve, sponsorizzati da Italia e Stati Uniti.

@LeoneGrotti

Foto Ansa e Ansa/Ap

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