In questi tempi strani capita perfino di ritrovarsi d’accordo con Calenda

Il segretario di Azione Carlo Calenda (foto Ansa)

Su Fanpage Tommaso Coluzzi scrive: «“Io penso che una persona che ha avvelenato il dibattito politico, che ha chiesto l’uscita dall’Euro, che voleva mettere in galera tutti, che ha distrutto l’Ilva, che ha annientato il gasdotto con Israele, sentirlo fare i discorsi che gli ho sentito fare l’altra sera, in un paese serio verrebbe preso a pernacchie”, attacca Calenda, ospite di Omnibus su La7. “Io non do nessun credito a nessuna cosa dica Di Maio”».

Stiamo vivendo in tempi strani nei quali ti capita di essere persino d’accordo con quel botolo ringhioso di Carlo Calenda.

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Sulla Nuova Bussola quotidiana Ruben Razzante scrive: «La retorica anti-casta dei grillini ha prodotto, in questa legislatura, la riduzione del numero dei parlamentari, che diventerà operativa a partire dalla prossima. Per coerenza, le Camere si sarebbero dovute sciogliere immediatamente dopo quella riforma. In realtà il Parlamento è rimasto in carica per altri anni, anche se delegittimato, oltre che sistematicamente scavalcato dalla decretazione d’urgenza e dai poteri soverchianti dei tre esecutivi che si sono succeduti dal 2018 a oggi. Pare, però, che al danno possa affiancarsi la beffa. Non solo un Parlamento delegittimato da una riforma epocale sul numero dei parlamentari ha continuato a esercitare le sue funzioni, ma ora rischia di rimanere in carica più del dovuto. Anzitutto, se prima della scissione di Di Maio c’era una possibilità che il Movimento 5 stelle potesse staccare la spina al governo Draghi in nome del rifiuto di continuare a inviare armi all’Ucraina, ora questa ipotesi è alquanto remota. I pentastellati non sono più indispensabili a tenere in piedi l’esecutivo, perché bastano i deputati e i senatori vicini al ministro degli Esteri. Peraltro il leader grillino, Giuseppe Conte, ha assicurato che non è intenzione del suo Movimento far venir meno l’appoggio al governo».

Ci sono i topini nel formaggio cinquestellati, ex cinquestellati, centrinisti di vario tipo che vogliono l’indennità parlamentare fino a quando sarà possibile e Francesco Giavazzi che vuole fare le nomine negli enti controllati dallo Stato: si arriverà a votare nel giugno del 2023?

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Su Dagospia si riprende un articolo di Giovanni Orsina sulla Stampa: «L’ondata populista montata nel 2011, culminata nel 2018 e adesso in via d’esaurimento è stata soltanto un epifenomeno, la contingente manifestazione politica di una profonda e radicale insoddisfazione di settori assai consistenti dell’opinione pubblica, convinti di vivere in un mondo di cui hanno perso il controllo, che non dà più loro garanzie sul futuro, dal quale si sentono emarginati e ignorati. Un’insoddisfazione diffusa in tutte le democrazie avanzate, le cui manifestazioni politiche vanno e vengono, ma che sembra avere una considerevole forza strutturale e resistere a tutti i tentativi di riassorbirla o soffocarla. La recente stagione elettorale in Francia ha dato una dimostrazione evidente di questa forza. I segnali che provengono dagli Stati Uniti non paiono molto differenti. Non per caso, i voti che ha perduto Matteo Salvini si sono in larga misura trasferiti in un altro partito che si oppone all’ordine attuale delle cose, Fratelli d’Italia. Mentre quelli del Movimento 5 stelle si sono dispersi in vari rivoli, ma non sembrano affatto esser rifluiti verso le forze politiche moderate e “di establishment”. Nel frattempo l’astensionismo monta di voto in voto. E la sfera pubblica si balcanizza sempre di più. La fine dell’ondata populista, insomma, non ci riporta affatto verso un sistema politico solido, ordinato, fornito di una legittimazione robusta».

I panglossisti che ci dicono che viviamo nel migliore dei mondi possibili e che basta mettere a posto questo o quel disturbatore tipo Beppe Grillo, Marine Le Pen o Vladimir Putin per raggiungere vette di progresso infinito, ci preparano un destino di guai crescenti. Per affrontare la crisi della democrazia e dell’ordine mondiale oggi in corso, c’è bisogno della consapevolezza dei contradditori problemi che ci troviamo di fronte, non di un cieco ottimismo incapace di fare i conti con la realtà.

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Sulla Zuppa di Porro Nicola Porro scrive: «I cinque paesi Brics rappresentano un quinto della ricchezza globale e più o meno la stessa quota di commercio internazionale. Sono dunque un club più ricco di quello dell’euro, nonostante quest’ultimo sia fatto da ventisette nazioni. Hanno, soprattutto in campo agricolo e nelle materie prime, una posizione di leadership oligopolista nel mondo. Non hanno una grande storia comune, ma sotto alle loro stelle vivono tre miliardi di esseri umani: poco meno della metà della popolazione mondiale. Mentre il vecchio continente si sta spopolando. È difficile che si mettano d’accordo. La Cina è il dominus incontrastato: il suo prodotto interno lordo è quaranta volte più alto di quello sudafricano. L’India ha una quota di ricchezza quattro volte inferiore a quella di Pechino, ma presto la supererà in popolazione. Difficile pensare che Mosca si assoggetti volontariamente alla prepotente forza economica di Pechino. Insomma se i Brics, più che sulla moneta unica, si mettessero davvero d’accordo coordinando in qualche modo le loro economie e commerci, rappresenterebbero un blocco di giganti rispetto ai nani europei. È questo il messaggio che sottintende Putin quando parla di moneta unica».

Porro giustamente spiega come certe proposte putiniane siano molto complicate da mettere in pratica, però non sbaglia nel sottolinearne alcune rilevanti implicazioni che deriverebbero ai destini del mondo se Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica decidessero di coordinarsi sempre di più. Chi non si accorge della prepotenza e arroganza dei propri atti, chi pretende di imporre un ordine mondiale invece di costruirlo in modo condiviso, potrebbe riuscire a fare diventare realtà quello che oggi appare molto improbabile.

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