In Italia ogni 100 giovani ci sono 168,7 anziani. Per la prima volta dal 1861 la percentuale di coloro che ha oltre sessant’anni è più alta di quella di chi ha meno di trent’anni. «Ecco perché la politica (e la Legge di bilancio) si occupa più dei primi che dei secondi», è il testo del tweet con cui l’Istituto di studi e ricerca Carlo Cattaneo ha lanciato una sua indagine di prossima pubblicazione (ne ha parlato ieri anche Repubblica di cui vedete, più sotto, in pagina il grafico).
https://twitter.com/Ist_Cattaneo/status/1053647849970384896
Che il problema demografico sia uno dei più importanti (e sottovalutati) del nostro paese è, purtroppo, cosa nota. Un problema culturale che ha però anche importanti risvolti economici (Rassegniamoci: o facciamo più figli o dovremo lavorare di più). La ricerca dell’Istituto Cattaneo – che ha rielaborato dati Istat – conferma quel che tutti sanno, ma su cui si fatica, con poca lungimiranza, a intervenire. Ovviamente, il fatto che si viva di più non è, di per sé, una cattiva notizia, anzi. È segno di un paese dove le cure e l’assistenza, con tutte le loro pecche, funzionano.
Secondo i dati esposti nella ricerca abbiamo dunque battuto un nuovo record negativo. Scriveva ieri Repubblica: «Il blocco generazionale che va da zero a quattordici anni — fino al 1971 il più numeroso dei sei presi in considerazione — oggi è il penultimo con il 13,3 per cento del totale. Insidiato da vicino dagli over 75. Di più, dal 1991 ad oggi, parliamo quindi degli ultimi 27 anni, i “giovani” sono diminuiti di 11,2 punti mentre gli “anziani” sono cresciuti del 7,6 per cento».
Ciò su cui ci si tappa gli occhi è l’inverno demografico. Siamo un paese che non fa figli, che non fa nulla per le famiglie, che “rimanda il problema” più in là. Come ha spiegato ieri a Repubblica il demografo Alessandro Rosina, «l’Italia considera i giovani un costo a carico delle famiglie, non un investimento della collettività. Questo punto di vista è pienamente abbracciato dalla politica, che sempre più sposta risorse sugli anziani».
Sono il 22,7 per cento le famiglie in cui il reddito principale è di un over 65. Ha detto ancora Rosina: «Se mi sento abbandonato a me stesso su temi come l’istruzione e la cultura della famiglia rinvio le scelte, quindi rinuncio e accetto la mia condizione di single poco formato. Convincendomi, a posteriori, che è una condizione positiva. Ci stiamo adattando a un basso sviluppo e rinunciamo al futuro per difendere condizioni di benessere o quasi benessere. Oggi la povertà di una famiglia con un under 35 nel nucleo è aumentata, la povertà con un over 65 è diminuita».
Foto Ansa