Il Partito comunista cinese incorona il compagno Xi Jinping, «presidente di tutto»

Menzogne e autoesaltazione nel comunicato finale del plenum del Comitato centrale del Politburo di Pechino: «Sconfitta la povertà e popolo al centro». Il presidente è un nuovo Mao

Annegato in un diluvio di burocratese, ridondante e vuoto, tipico del Partito comunista cinese, alla fine tra le oltre cinquemila parole del comunicato finale emerge il significato del sesto plenum del Comitato centrale del Politburo: «Il compagno Xi Jinping ha forgiato una serie di nuove e originali idee, pensiero e strategie di governance sui problemi principali del nostro tempo. È lui il principale fondatore del pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era. Questo è il marxismo della Cina contemporanea e del XXI secolo».

Al centro c’è il “presidente di tutto”

Detto ancora più chiaramente: «Il Partito comunista cinese ha stabilito la posizione nevralgica del compagno Xi Jinping nel Comitato centrale e nel Partito nella sua interezza». Se non si tratta di una incoronazione, poco ci manca.

Come previsto alla vigilia del plenum, che si è chiuso ieri, la simbologia della dichiarazione storica fatta dal Partito comunista è forte e al centro c’è il “presidente di tutto” Xi Jinping. Che, pur tenendo conto dell’imprevedibilità dei meccanismi interni al regime, si candida fortemente a essere rieletto al Congresso dell’anno prossimo alla guida del Partito e della Cina.

Se ciò avvenisse, rappresenterebbe una rottura con i 40 anni precedenti, durante i quali è valso il principio della leadership collettiva, in opposizione al culto della personalità riservato a Mao Zedong che tanti disastri ha fatto abbattere sul popolo cinese. Nessuno infatti ha mai guidato il Partito e il paese più di dieci anni dalla morte del Grande timoniere. Xi potrebbe farcela, perché è più potente dei precedenti papaveri del regime, perché ha già fatto fuori tutti i suoi avversari con le campagne anticorruzione e perché ha dalla sua parte, oltre alla modifica della Costituzione e dello Statuto del Partito effettuati nel 2017 e 2018, anche una dichiarazione storica che lo eleva a novello Mao.

Grottesca autoesaltazione e menzogne

Sottolineata la notizia contenuta nel comunicato finale del Pcc, il resto (quindici pagine fitte fitte) è un profluvio di grottesca autoesaltazione e un coacervo di menzogne. Il Partito si celebra per aver riportato una «vittoria completa nella lotta contro la povertà, come previsto» (ma non è così, come abbiamo già scritto, con buona pace dei vaneggiamenti di Massimo D’Alema). In un paese di 1,3 miliardi di persone governate da appena sette mandarini (i membri del Comitato permanente), Xi e compagni si incensano per aver «strappato il popolo cinese al feudalesimo, garantendogli il privilegio di guidare il paese».

Di più, il Partito che in 72 anni di Repubblica popolare ha causato con politiche scellerate – il Grande balzo in avanti e la Rivoluzione culturale su tutte – circa 100 milioni di morti ha la spudoratezza di affermare ora che «in Cina il marxismo ha pienamente dimostrato di essere una verità scientifica e di mettere il popolo al centro». Al centro, certo, ma nel senso che intendeva Mao, secondo il quale «il popolo deve soffrire» per non imborghesirsi.

La lunga marcia dal paradiso all’inferno

E in cento anni di storia, festeggiati a luglio, nessuno ha fatto soffrire un popolo come il Partito comunista cinese. Eppure, Xi ha ancora il coraggio di sbandierare il «sogno cinese del ringiovanimento nazionale» e di «una nazione prospera» (non più moderatamente prospera come in passato). Peccato che i circa 10 mila giovani cinesi stritolati sotto i carri armati a Piazza Tienanmen nel 1989 non fossero ritenuti degni di far parte di questo sogno.

Al termine del comunicato, il Pcc si dice certo che «costruiremo con il popolo sulle grandi glorie e vittorie degli ultimi cento anni, altre glorie e vittorie ancora più grandi nel nuovo cammino che si distende davanti a noi nella nuova era». Neanche 15 pagine di comunicato e una dichiarazione infarcita di «nichilismo storico», per usare con il Pcc le stesse parole che Xi riserva agli oppositori politici, possono cancellare la verità sui 100 anni di Mao e del suo più potente successore, Xi Jinping. Come dichiarato a Tempi in un’intervista dal dissidente Liao Yiwu: «I 100 anni del Partito comunista sono stati una lunga marcia dal paradiso all’inferno. Praticamente una “dannazione eterna” per il popolo cinese».

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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