Il “dibbbattito” sulla scuola no, per favore

Un appello sul Corriere per mettere la scuola tra le priorità del Paese. D'accordo, cioè? Almeno la Cdo fa qualche proposta, ragioniamo su quelle

Ieri sul Corriere della Sera è stata pubblicato un appello per riportare «la scuola al centro della società». A firmarlo sono volti noti della galassia intellettuale di sinistra (Stefano Benni, Massimo Cacciari, Goffredo Fofi,
Serena Dandini, Adriano Prosperi, Michele Serra e tanti altri) che, rivolgendosi alle più alte cariche del nostro Stato, chiedono di aprire
«un grande dibattito a cui seguano coraggiose e lungimiranti azioni».

L’intento del testo è apprezzabile, ma per il resto si paga una certa genericità. Si chiede che la scuola sia messa al «primo posto», si parla di
«diritto all’istruzione e a un’infanzia serena» (il diritto alla serenità ci mancava), di «cittadinanza», di «disuguaglianze sociali», di «disparità di genere», di «comunità coesa e libera» e tanti altri bei proponimenti. Al netto di una certa retorica, non si capisce bene su “cosa” effettivamente occorra fare un dibattito (anzi un “dibbbattito” con tre b, totem di ogni ragionamento de sinistra). Quel che si intuisce è che per i firmatari il problema più grave da affrontare a settembre è che alcune materie «meno performanti» saranno insegnate a distanza. Un “dibbbattito” entusiasmante.

L’appello termina con queste parole: «Il momento che stiamo vivendo dovrebbe perciò essere inteso come la grande opportunità per rimettere la scuola al centro della società, priorità del Paese». Come non essere d’accordo? Il problema è, appunto, che c’è stato il Covid e, forse, speriamo di no, ci sarà anche a settembre. Quindi, anziché fare il dibattito o gli stati generali modello villa Pamphili, perché non iniziamo a guardare cosa è successo durante i mesi del confinamento e cosa quell’esperienza può suggerirci?

Basta tavole rotonde, per favore, non ce ne è nemmeno il tempo. Soprattutto basta dibattiti su cosa “non si può fare”. Da questo punto di vista, un documento controcorrente, positivo e propositivo, è quello uscito in questi giorni per mano di Cdo Opere educative. Si chiama “Liberare le scuole” e propone alcune considerazioni e idee che avete trovato anche in questi mesi su Tempi, in particolare in un intervento che pubblicammo ad aprile a firma di Luca De Simoni – Liberate la scuola (che si è già liberata da sola) – e in un altro più di recente (La scuola è stata eroica. Ora lasciatela libera).

Il succo è questo: quattro mesi di lockdown non sono stati solo una sciagura, ma ci hanno mostrato che le scuole, per necessità costrette ad arrangiarsi, hanno saputo anche essere molto creative. Questa “creatività”, nata in un momento eccezionale, nata da una costrizione, non va persa. È il patrimonio più prezioso, figlio della necessità e di una libertà finalmente espressa. Ma perché possa esprimersi di nuovo, è necessario che essa sia compresa, coltivata e favorita (a meno che qualcuno non voglia augurarsi un virus ogni anno). Come? Qui arrivano le proposte di Cdo: il mondo della scuola ha bisogno di essere liberato da alcuni lacci inutili che ne impediscono l’espressione più compiuta. Quindi, scrivono quelli di Cdo, si abolisca il vincolo del possesso dell’abilitazione come titolo per l’insegnamento, si lasci alle scuole autonomia organizzativa, si permetta la libertà di scelta, si consenta alle comunità locali di offrire il proprio contributo.

Proviamo a farlo su queste idee un bel dibattito, altrimenti è la solita gnagnera sui precari, gli istituti fatiscenti e le “materie performanti”. La consueta fuffa che si concluderà con l’ennesima infornata di assunzioni (perché poi, gira gira, sempre lì si va a parare). Ma se c’è una cosa che abbiamo imparato da questi quattro mesi di lockdown è che la scuola funziona anche senza ministero e sindacati ci mettano sempre lo zampino. Oddio, e adesso? Adesso la vera domanda da farsi è: e se così funzionasse meglio?

Foto Ansa

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