I cinesi protestano contro il caotico e «disumano» lockdown di Shanghai

Il confinamento di 26 milioni di abitanti a Shanghai, e di altri 50 nel resto della Cina, ha spinto la gente a manifestare contro il regime per la mancanza di cibo, informazioni e per la pratica barbara di separare i figli (anche neonati) dai genitori

Un responsabile di un comitato di quartiere di Shanghai, in Cina, avverte i residenti casa per casa che devono obbligatoriamente effettuare un tampone per il Covid

Il caotico e «disumano» lockdown di Shanghai è forse la dimostrazione più evidente, dopo oltre due anni di pandemia, che la politica “zero Covid” applicata in Cina dal governo comunista non funziona. Migliaia di utenti si sono riversati su internet, documentando i fatti con foto e video, per protestare contro la mancanza di informazioni sulla data del confinamento, l’impossibilità di comprare da mangiare, il mancato accesso agli ospedali in caso di malattia, la barbara pratica di separare i figli (anche neonati) dai genitori senza informarli su dove verranno ricoverati.

A Shanghai 26 milioni in lockdown

I 26 milioni di abitanti di Shanghai, il cuore economico e finanziario della Cina, sono ufficialmente in lockdown dalla scorsa settimana ma i residenti di molti quartieri non possono uscire di casa da oltre un mese. A marzo, infatti, i casi accertati di Covid-19 sono iniziati a crescere vertiginosamente, come avvenuto nei mesi scorsi in tutto il mondo a causa della variante Omicron.

Il problema, come si è visto anche a Hong Kong, è che la politica “zero Covid” attuata in Cina prevede che chiunque risulti positivo al virus, anche se asintomatico, debba essere ricoverato in ospedale o in un centro per la quarantena portando i nosocomi al collasso. Domenica a Shanghai sono stati registrati 8.226 nuovi casi, dei quali soltanto 438 sintomatici.

Tutti i residenti di Shanghai, senza eccezioni, sono stati obbligati a più riprese a effettuare tamponi

Il confinamento non ha una data di scadenza

Nel tentativo di fermare il contagio le autorità comuniste, dopo aver lanciato numerosi test di massa, hanno inizialmente chiuso “selettivamente” alcuni quartieri per 48 ore (in teoria) assicurando che Shanghai non sarebbe divenuta la nuova Wuhan. L’approccio morbido al nuovo focolaio di Covid non è servito e molti dei suddetti quartieri non sono mai stati riaperti, mentre il governo ha scelto di dividere la città in due lungo il fiume Huangpu: i distretti a est dovevano restare sigillati dal 28 marzo all’1 aprile. Quelli a ovest sarebbero dovuti rimanere in lockdown dall’1 aprile al 5 aprile. Nel frattempo è stata decretata la chiusura di ogni attività non essenziale e il trasporto pubblico bloccato.

La parte orientale della città, conosciuta come Pudong, dove si trovano l’aeroporto internazionale e il distretto finanziario, doveva uscire dal lockdown l’1 aprile, ma le autorità hanno comunicato il 31 marzo che il confinamento sarebbe proseguito, senza specificare quanto. I residenti, che avevano avuto solo poche ore per fare rifornimento di provviste (decine di video hanno ripreso scene da panico nei supermercati), sono stati colti di sorpresa, avendo perlopiù terminato le scorte.

Anche il lockdown della parte occidentale della città, Puxi, dove si snoda il Bund, il lungofiume rinomato perché fiancheggiato da numerosi edifici coloniali di stile tipicamente europeo, doveva terminare oggi ma è stato allungato. Fino a quando? Nessuno lo sa.

Un guardiano controlla che nessuno entri o esca da un quartiere di Shanghai, in Cina

«Vogliamo mangiare, vogliamo lavorare»

Anche se al momento il lockdown è generalizzato, le regole prevedono diversamente: se in un complesso abitativo, dove possono abitare migliaia di persone, viene scoperto un caso, tutti i residenti devono restare in casa per una settimana, quelli che abitano nello stesso palazzo del caso positivo, due settimane. Chi abita vicino a un complesso residenziale in lockdown, deve rimanere confinato nel proprio quartiere per una settimana e una sola persona per famiglie può uscire una volta al giorno a comprare da mangiare. Poiché anche a partire dal 2 aprile tutti i 9 milioni di abitanti di Pudong erano sottoposti a una qualche restrizione, di fatto tutti i 26 milioni di abitanti di Shanghai sono in lockdown, come dimostrano le riprese effettuate da droni nelle vie principali della città e pubblicate online in Cina.

La mancanza di chiarezza sulla durata del confinamento, e la difficoltà sperimentata da molte famiglie nell’acquisto di cibo, hanno portato gli abitanti a inscenare proteste pubbliche senza precedenti. Una delle principali è sicuramente quella dei residenti del palazzo Jiangnan Xinyuan nel distretto di Minhang, che sono scesi in piazza per gridare: «Vogliamo mangiare, vogliamo lavorare, vogliamo avere il diritto di sapere, vogliamo che il comitato venga a risolvere i nostri problemi, vogliamo la libertà». Il video della protesta è stato subito cancellato dai social media cinesi, come altri dove alcune persone gridano: «Basta con i lockdown. Non potete farci questo! Dobbiamo lavorare per mangiare e pagare l’affitto».

Oltre 75 milioni di persone “prigioniere” in Cina

Proteste simili si sono verificate a Shenzhen e a Jilin, dove si trovano in lockdown oltre 27 milioni di persone. Gli abitanti di Shenzhen hanno diffuso diversi video che mostrano centinaia di persone sfondare le transenne che isolano i quartieri per uscire. A Jilin alcuni filmati mostrano invece la polizia girare per le strade con i megafoni ricordando agli abitanti che è vietato criticare la gestione della pandemia. In totale, ad oggi in Cina più di 75 milioni di persone sono confinate in casa.

Drammatiche anche le notizie sui genitori separati dai figli piccoli a Shanghai. Una donna, Lucy Zhu, 39 anni, parlando al telefono con il New York Times, ha dichiarato che dopo essere risultata positiva al Covid e trattenuta all’ospedale Tongren per la quarantena, la figlia di due anni è stata rinchiusa in «condizioni disumane» nel centro clinico Jinshan. Per una settimana la madre non ha avuto sue notizie, fino a quando non le è stato inviato un breve video della figlia, in una stanza insieme ad altri 10 bambini con una sola infermiera a occuparsi di loro. La stessa cosa è successa ad altri genitori, che da quando sono stati portati via per l’isolamento non hanno avuto più notizia dei figli, trasferiti in chissà quale centro per la quarantena.

Per limitare l’impatto economico delle chiusure sull’economia cinese, come il presidente Xi Jinping ha garantito, molte aziende del distretto finanziario di Shanghai hanno richiesto ai propri dipendenti di vivere in ufficio durante tutto il confinamento per non interrompere il lavoro. La stessa soluzione è stata adottata a Shenzhen nel distretto tecnologico. Tutto può fermarsi a Shanghai, nel nome della folle politica “zero Covid”, tranne la ruota che fa girare l’economia e fornisce al Partito comunista la scusa – leggi: prosperità – per continuare a governare.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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