Fine vita, l’(in)competenza della Regione Veneto

Oggi il Consiglio regionale si esprimerà sulla regolamentazione del suicidio assistito, anche se non potrebbe farlo. Tre domande e tre risposte tratte dal pamphlet “L’eutanasia non è la soluzione” spiegano perché

Filomena Gallo, Mina Welby e Marco Cappato (foto Ansa)

Questa mattina il Consiglio regionale del Veneto si esprimerà sulla regolamentazione del suicidio medicalmente assistito a fronte di «una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili». Una assoluta novità e un fatto inaudito. Il Consiglio regionale, infatti, soprattutto su spinta del governatore leghista Luca Zaia, che si è proclamato favorevole, ha accolto la richiesta del progetto “Liberi Subito” dell’Associazione Luca Coscioni che sul tema ha raccolto 9.000 firme.

«Il Veneto», ha detto Zaia, «è l’unica regione in Italia a trattare questo tema a fronte di una richiesta civile e legittima di migliaia di cittadini. Io sarò in aula per coerenza, nella consapevolezza che sarà un voto su un tema etico e non un pronunciamento politico».

La sua maggioranza, infatti, è divisa. Voteranno contro i consiglieri di Fratelli d’Italia e la stessa Lega è spaccata tra favorevoli e contrari. Posizione pubblica contraria è stata presa dal sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari («lo Stato non deve aiutare a morire, ma a vivere nelle migliori condizioni possibili») e dalla responsabile del Dipartimento Famiglia della Lega, Simona Baldassarre («la difesa della vita, dall’inizio alla fine, è un principio cardine del programma della Lega»). Le opposizioni, invece, voteranno a favore, anche se si registrano delle indecisioni tra i cattolici del Pd, soprattutto dopo la chiara presa di posizione della Conferenza episcopale del Triveneto e di papa Francesco in occasione della XXXII giornata mondiale del malato.

Ieri, tra l’altro, è stato pubblicato un parere del Comitato nazionale di Bioetica sulle cure palliative in cui si sollecita «la politica ad implementarle in modo compiuto e come parte integrante dei Livelli Essenziali di Assistenza».

Fine vita. Non è competenza regionale

Il network Sui tetti, che molto si è speso sulla vicenda veneta (e tra poco, medesimo voto andrà in scena in Emilia-Romagna), non ha mai smesso di sottolineare che si tratti di una iniziativa chiaramente incostituzionale (come acclarato dall’Avvocatura Generale dello Stato). A questo proposito, Sui tetti – in collaborazione con Tempi e il Centro Studi Livatino – ha redatto un pamphlet contenente 50 domande sul fine vita, intitolato L’eutanasia non è la soluzione (cliccando qui si può scaricare l’intero volume).

Dal testo, estraiamo tre domande:

48) La sanità è una delle competenze delle Regioni. Esse hanno quindi il potere di legiferare su eutanasia e suicidio assistito al posto dello Stato?

No. Le Regioni non hanno affatto il potere di legiferare in materia di eutanasia/suicidio assistito, perché l’organizzazione della sanità è sì una competenza regionale, ma i Lea, livelli essenziali di assistenza, che i cittadini hanno il diritto di ottenere dal Sistema sanitario nazionale, sono fissati da un decreto della presidenza del Consiglio dei ministri, sulla base delle decisioni di una Commissione nazionale che è un organo del ministero della Salute.

Invece, la “proposta Cappato” vuole sostanzialmente introdurre direttamente in ciascuna sede regionale un nuovo Lea.

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Tuttavia, la giurisprudenza della Corte costituzionale è granitica nell’affermare che, soprattutto in campo sanitario, vi è «la competenza statale esclusiva in materia di “livelli essenziali delle prestazioni” (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.)», perché solo «il legislatore nazionale deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle» (cfr sentenze Corte costituzionale n. 282/2002, n. 353/2003, n. 338/2003, n. 134/2006, n. 115/2012, n. 231/2017, n. 72/2020, n. 91/2020). Le Regioni, dunque, non hanno competenza.

49) Ma se il legislatore nazionale non intervenisse, non dovrebbe poterlo fare quello regionale?

All’art. 1, comma 2, della “legge Cappato” c’è un richiamo al cosiddetto principio di “cedevolezza” della competenza statale in caso di inerzia del legislatore centrale, il che significa che, nelle more di un intervento nazionale, potrebbe intervenire il legislatore regionale. Ma l’ambito di applicazione di una siffatta eventuale “clausola di cedevolezza” attiene alle materie di competenza esclusiva regionale e a quelle di competenza concorrente, «senza però che la previsione della clausola consenta alle Regioni di intervenire in ordine a profili che attengano alla competenza esclusiva del legislatore statale» (Corte costituzionale, sentenza n. 1/2019).

La fissazione e la descrizione di prestazioni sanitarie definite come Lea sono competenze di esclusiva pertinenza dello Stato, cosicché in nessun caso può ammettersi una sovrapposizione in materia di fissazione di una nuova prestazione sanitaria da parte del legislatore di una Regione italiana. Si creerebbe una “babele” sanitaria – in questo caso persino con conseguenze incidenti sull’ordinamento civile e penale, oltre che sulla vita stessa – che non è mai stata tollerata dalla giurisprudenza costituzionale italiana.

50) Chi coprirebbe i costi delle prestazioni previste dalla “legge Cappato”?

La “proposta Cappato” prevede, all’art. 4, la «gratuità delle prestazioni», disponendo che «le prestazioni quali la verifica e l’assistenza ai trattamenti previsti dalla presente legge [siano] assicurate gratuitamente, nell’ambito del percorso terapeutico-assistenziale erogato in favore di coloro che ne abbiano fatto richiesta». Tuttavia, all’art. 5, rubricato come “Clausola di invarianza finanziaria”, si afferma che «la presente proposta di legge non comporta variazione in aumento o in diminuzione a carico del bilancio regionale perché ai relativi costi si provvede nell’ambito della dotazione per le prestazioni e servizi garantiti con fondo sanitario regionale».

Il combinato disposto è un esempio di contraddizione in termini: se una disposizione di legge regionale prevede che una (peraltro complessa) prestazione sanitaria e farmacologica debba essere gratuita, questa grava necessariamente sul bilancio dell’ente onerato di eseguirla, ma se i relativi costi non sono stimati e adeguatamente coperti, si è di fronte a una evidente mancata copertura finanziaria di una legge regionale. Se, poi, tale costo venisse – seppur indistintamente (il che è comunque vietato) – fatto gravare sui fondi consueti per la sanità o per la spesa farmaceutica, ciò si tradurrebbe necessariamente in una riduzione delle altre prestazioni sanitarie essenziali ovvero in una violazione del regime di prestazione dei farmaci, anch’esso di esclusiva competenza statale.

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In materia, vige il noto precetto di cui all’art. 81, terzo comma, della Costituzione che impone che «ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provved[a] ai mezzi per farvi fronte». E la Corte costituzionale ha sempre ritenuto che l’articolo 81 della Costituzione sia direttamente applicabile non solo allo Stato, ma anche alle Regioni (cfr sentenze n. 359/2007 e successivamente n. 227/2019).

Inoltre, un’altra pronuncia della Consulta del 19 maggio 2022, n. 124 ha persino specificato che «la previsione, da parte di una legge regionale, della clausola di neutralità finanziaria», come si legge nella “proposta Cappato”, «non esclude ex se la violazione del parametro costituzionale evocato. Il legislatore regionale è tenuto, ai sensi dell’art. 17 della legge n. 196 del 2009, a redigere una relazione tecnica in ordine agli oneri recati da ciascuna disposizione e alle relative coperture». Dunque, non può essere ammessa nell’ordinamento una legge regionale non solo priva di copertura, in contrasto con l’art. 81, comma 3, della Costituzione, ma anche e persino priva della prescritta Relazione tecnica finanziaria (Rtf), che per la “proposta Cappato” proprio non esiste.

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