«Finché il martirio non ci separi». Il matrimonio, l’amore e il ruolo della donna nel Califfato

Il Washington Post racconta la propaganda dell'Isis e la realtà della violenza sulle donne a Raqqa e dintorni

Una deliziosa cheesecake e una bomba a mano, casa e jihad, che cosa ci può essere di più bello? È il messaggio che una ragazza olandese arrivata in Siria per sostenere lo Stato islamico ha diffuso su Twitter, con lo scopo di convincere altre donne a raggiungerla. Ma la realtà è ben diversa dalla propaganda, come un lungo articolo del Washington Post racconta.

USATE COME MOGLI. Rudeina, siriana di 17 anni, ha vissuto sotto l’Isis. Casa sua si trovava in uno dei villaggi occupati dai jihadisti vicino a Raqqa, la capitale siriana del Califfato. È rimasta chiusa in casa per un anno, per paura di essere rapita e costretta a sposare un combattente straniero. Oggi Rudeina vive in Giordania, nel campo profughi di Azraq. «La nostra paura più grande era di essere mandate nella prigione femminile. Le donne imprigionate vengono sposate ai combattenti stranieri».

«SPOSATI O TI TAGLIEREMO LA TESTA». L’Isis non tratta affatto bene le donne come vorrebbe far credere. La madre di Rudeina, Nabiha, 42 anni, ricorda la fine fatta dalla figlia di una sua vicina di casa, il cui marito era arruolato nell’esercito di Bashar al-Assad: «”Sposa un miliziano – le hanno detto – o ti taglieremo la testa e l’appenderemo sulla pubblica piazza”. Ha dovuto sposare un combattente,  non abbiamo più saputo nulla di lei».

YAZIDE SUICIDE. Secondo le stime di Human Rights Watch e Amnesty International, lo Stato islamico ha schiavizzato migliaia di donne e ragazze della minoranza yazida residenti in Iraq. Proprio in questi giorni la deputata irachena Ameena Saeed Hasan, che ha salvato dai terroristi centinaia di ragazze, ha parlato della tragica fine che hanno fatto tante di loro: «Ho le foto di alcune di queste ragazze che si sono suicidate, quando hanno perso la speranza di essere salvate e quando l’Isis le ha vendute e stuprate più volte. Penso che siano un centinaio».

NIQAB OBBLIGATORIO. I terroristi, ovviamente, raccontano una storia del tutto diversa. Come recita il manifesto “Donne dello Stato islamico”, pubblicato dalla brigata jihadista tutta al femminile Al-Khansa, «il loro Creatore ha stabilito che non ci fosse responsabilità più grande per loro di quella di essere le mogli dei loro mariti». Molte donne, arabe ed occidentali, sono attratte da questo ideale e dall’idea di assistere gli uomini nella guerra santa. Anche se poi si ritrovano a doversi nascondere dietro il niqab (velo integrale che lascia scoperti solo gli occhi) e a non potere uscire quasi mai di casa, se non con il marito.

SCELTA DELLA MOGLIE. Sempre secondo il manifesto, un combattente può sposare anche una bambina a partire dai 9 anni. Ecco perché Amina Mustafa Humaidi, 40enne scappata da Raqqa a maggio, afferma di aver sempre tenuto nascosta la figlia di 9 anni per paura che venisse presa: «Sappiamo di tante storie di bambine rapite». Anche quando sono più grandi, le donne non hanno molta possibilità di scelta. All’arrivo nel Califfato, vengono sistemate in un albergo e messa in mostra. Qui i jihadisti vengono a sceglierle e sposarle, per poi alloggiarsi in una casa generalmente confiscata alle famiglie locali già trucidate o scappate.

JIHADISTE. Una ragazza che si firma con lo pseudonimo Shams, 27enne proveniente dalla Malesia e sposata a un terrorista islamico, nella sua propaganda online spiega di essere stata maritata a un jihadista dopo due mesi vissuti da single. Sul suo account del social network Tumbrl appare velata di bianco a fianco del marito. Sotto l’immagine una scritta dice: «Il matrimonio nella terra del jihad. Finché il martirio non ci separi». Per ora, alle jihadiste non è consentito di combattere sul campo ma secondo Peter Neumann, direttore dell’International Centre for the Study of Radicalization del King’s College di Londra, presto le regole potrebbero cambiare.

UN AMORE DIVERSO. Ma com’è possibile, si domanda il quotidiano americano, che anche tante giovani occidentali siano attirate da una cultura opposta a quella offerta loro dall’Occidente? A rispondere è Erin Marie Saltman, ricercatrice dell’Institute for Strategic Dialogue: «C’è una sorta di romanticismo. Quando hai perso la tua verginità con qualcuno e gli hai dato dei figli, lui diventa colui quello che si preoccupa del tuo sostentamento. Non si tratta dell’amore che vediamo nei film occidentali per adolescenti, ma è l’attaccamento a qualcuno. Ed è, a suo modo, un amore molto profondo».

@frigeriobenedet

Exit mobile version