Emergenza profughi. Tutte le responsabilità della Turchia

«Dietro la tragedia umanitaria, c'è l'atteggiamento del paese di Erdogan, che prima ha sostenuto la jihad e ostacolato i curdi, poi ha aperto i campi profughi». Parla Gian Micalessin

Nelle stesse ore in cui Aylan veniva sepolto a Kobane e Fainò, il bebé nato sulla nave della Guardia costiera da una giovane nigeriana salvata dalla morte in mare, emetteva i primi vagiti, l’Europa continuava ad interrogarsi sul da farsi davanti all’emergenza migranti. E mentre l’Europa continua ad interrogarsi e a dividersi sulle soluzioni, duecento di questi migranti, in Ungheria, stanchi di aspettare un treno in partenza per la Germania, hanno deciso di percorrere a piedi i 150 chilometri che li separano dall’Austria. Sono i primi, ma non è escluso che altri seguano il loro esempio, aggirando gli ostacoli posti dalle nazioni europee al loro viaggio della speranza. «Gran parte delle responsabilità di ciò che sta accadendo nell’Europa centro orientale con i migranti ce l’ha la Turchia» spiega a tempi.it il giornalista Gian Micalessin.

Perché?
Le responsabilità turche sono abbastanza chiare e nette. Prima di tutto, in termini storici, è la Turchia il paese che ha alimentato il conflitto siriano, sostenendo i jihadisti e contribuendo a creare i due milioni di profughi che poi si sono riversati sul suo territorio. Un numero enorme che ha iniziato a creare problemi politici interni. Nelle ultime elezioni il problema dei profughi ha generato un forte calo dei consensi per la maggioranza al governo. Così il presidente Erdogan ha deciso di svuotare i campi profughi e ben 124 mila persone dall’inizio del 2015 sono riuscite ad attraversare il confine, giungendo nelle isole greche di Kos, Samos, Chios, cioè il 750 per cento in più rispetto al 2014. Ma la stessa Turchia, ironia della sorte, è stata anche efficientissima nel bloccare le fontiere quando si è trattato di aiutare i militanti curdi a Kobane. In parole povere, questa Turchia sta usando l’emergenza siriana e i profughi, approfittando della fragilità dell’identità dell’Europa. Se fossimo stati forti, l’Unione Europea avrebbe dovuto dire “stop” a questa politica di Erdogan. Invece abbiamo lasciato fare, disinteressandocene, e adesso ne paghiamo le conseguenze.

Il presidente russo Vladimir Putin accusa l’Ue del disastro umanitario, per «la politica estera sbagliata, soprattutto nelle regioni del mondo musulmano, Medio Oriente, Nord Africa». Lei cosa ne pensa?
Putin dice una cosa corretta. L’Europa cos’ha fatto in Libia? Siamo intervenuti con la Nato per aiutare a far cadere Gheddafi e poi creare una situazione di totale caos. Nell’anno in cui era in atto l’accordo con Gheddafi, i morti in mare sui barconi sono stati 20. All’epoca di Mare Nostrum i morti erano 3.400. È chiaro che la presenza di uno stato libico forte, anche se detestabile e odioso, contribuiva a impedire che una massa di disperati perdesse la vita in mare.

Cosa pensa della svolta delle ultime ore della Germania, e di quella della Gran Bretagna, che si dicono pronte ad accogliere migliaia di migranti? Il premier inglese David Cameron, ad esempio, si dice pronto ad accogliere migliaia di siriani, ma solo provenienti dai campi profughi.
Lo vedremo tra qualche mese se si tratta solo di parole o di fatti. Per adesso la posizione ufficiale della Gran Bretagna, ribadita nei giorni scorsi dal ministro dell’Interno, è che quel paese vorrebbe chiudere le frontiere anche agli stessi europei che lavorano lì. Sulle centinaia di migliaia di sbarchi che ci sono stati, l’Inghilterra ha accolto solo 66 siriani. Tra le parole di commozione per la foto di Aylan e le posizioni reali c’è ancora una distanza siderale. Vale anche su quanto compie l’Europa: basta dire che il primo vertice convocato dall’Unione è stato fissato per il 15 settembre, e per giunta in quella sede non vi si deciderà nulla. Il vertice decisivo sarà infatti quello dei capi di stato a ottobre, e lì penso che non passerà una soluzione di accoglienza, dato che Ungheria, Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca saranno compatte per il “no”.

Quali sono le ragioni su cui queste nazioni fondano il loro no?
Sono ragioni essenzialmente culturali e identitarie. L’Ungheria ha espresso il suo no perché ha una forte identità culturale. Orban dice che l’arrivo massiccio di profughi in maggioranza islamici rischia di snaturare l’omogeneità della cultura cristiana europea: ed è vero. Senza contare che Angela Merkel, con le posizioni di apertura degli ultimi giorni in realtà rischia di non aprire le porte solo ai richiedenti asilo, ma anche a centinaia o migliaia di possibili jihadisti. Di fronte a queste politiche di apertura “senza se e senza ma” si dimenticano le ragioni di sicurezza.

Secondo lei come andrà a finire?
Non andrà a finire. Non si risolvono i problemi accogliendo uno o due milioni di profughi, quando c’è un’Africa di miliardi di persone con situazioni estremamente difficili, e quando la maggioranza dei migranti che bussano alle nostre porte non fuggono da guerre ma da povertà e fame. Finché non abbiamo le forze per accogliere con dignità queste persone e finché continueremo a porci davanti ai problemi solo con i nostri discorsi “emozionali”, queste persone diverranno nuove leve per gli estremismi.

Foto Ansa/Ap

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