Elezioni. Nordio (Fdi): «Il vero male della magistratura? La “correntocrazia”»

L'attuazione del Codice Vassalli, la semplificazione delle procedure, la riduzione della spesa per le intercettazioni. Parla l'ex magistrato oggi in corsa con Fdi

Carlo Nordio (foto Tempi)

Dici giustizia e tutti cominciano ad agitarsi sulla sedia. Dici processo e a ciascuno viene in mente l’immagine della via crucis. Dici pubblico ministero e un po’ si forma nell’aria il fumetto di Superman, un po’ quello di Torquemada pronto a sostituire il viceré. Insomma, la croce e la delizia (a seconda della parte di scrivania che occupi in quel momento) della vita di milioni di italiani da tempi quasi immemori, è il sistema giustizia, il servizio giustizia, un fondamentale di tutte le nazioni. Come sanità e istruzione.

Tempi ha scambiato quattro chiacchiere con Carlo Nordio, ex magistrato che non necessita di presentazioni, non foss’altro per lo iato che separa lui dalla vulgata italica sui pubblici ministeri. Nordio è tra le personalità che questo giornale ha indicato come meritevoli di fiducia in vista del 25 settembre.

Giustizia, eterno malato del nostro sistema. Se potesse o dovesse, tra il penale e il civile, da dove inizierebbe la cura e con quale terapia o “vaccino” specifici?

Vanno di pari passo. La priorità assoluta è la lentezza dei processi penali e civili, madre dell’incertezza del diritto, della sfiducia dei cittadini e di un rallentamento dell’economia che ci costa un due per cento di Pil. A questa si rimedia con una semplificazione delle procedure e con un adeguato aumento di risorse, non solo di magistrati ma soprattutto di collaboratori amministrativi. Poi è necessaria la piena attuazione del codice Vassalli, un codice liberale voluto da un socialista decorato dalla Resistenza, che è stato progressivamente demolito.

Conosciamo a grandi linee il suo pensiero sulla separazione delle carriere dei magistrati penali. Se dovesse governare il centrodestra, crede che questo dado potrà essere definitivamente tratto o c’è ancora tanta strada da fare?

La separazione delle carriere è consustanziale al codice che nel 1989 Giuliano Vassalli, ripeto, un socialista ed eroe partigiano, ha voluto. Questo codice, di rito accusatorio cosiddetto anglosassone, funziona con principi opposti a quelli attuali, a cominciare dalle carriere separate e dalla discrezionalità dell’azione penale.

Vanità e contesto ambientale, le indico io quali potrebbero essere state le ragioni che hanno spinto molti suoi colleghi, in particolare pm, a gettarsi nell’agone politico, con i risultati, peraltro, che sappiamo. È d’accordo con questa analisi, sebbene molto parziale?

La vanità ce l’abbiamo un po’ tutti, e non è un peccato mortale. Quello che trovo inopportuno è che un magistrato, soprattutto un Pm, si candidi mentre è in servizio, o subito dopo averlo cessato. Io l’ho fatto dopo quasi sei anni dal pensionamento e con molte esitazioni.

Oggi il contesto è cambiato a suo giudizio o siamo sempre al punto iniziale?

Oggi le procure sono molto indebolite, a seguito dello scandalo di Palamara, della decimazione del Csm e delle indagini sui magistrati di Milano. Il contesto è cambiato e la politica può e deve recuperare la sua centralità senza subordinazioni nei confronti della magistratura.

Se domattina un sostituto procuratore decidesse di prendere di mira un presidente del Consiglio o il commerciante sotto casa e iniziasse a “indagare per capire se c’è da indagare”, è una cosa che considera ancora possibile a dispetto della plateale – ma non visibile – violazione delle norme di base dello stato di diritto? Se è così, mi indicherebbe quale dovrebbe essere il primo, ineludibile, passaggio normativo da fare, in senso costitutivo e/o abrogativo?

Oggi in effetti un Pm può anche “inventarsi” un’indagine, basta che estragga dai tanti procedimenti che ha in ufficio qualche spunto e ci costruisca sopra un fascicolo, magari contro ignoti. Il rimedio è, come dicevo, la piena attuazione del codice Vassalli. Il Pm dovrebbe procedere solo in base a una notitia criminis qualificata.

Dall’alto della sua lunga esperienza professionale, giudicherebbe l’Italia un Paese più o meno corrotto di altri?

La corruzione, secondo uno studio di Ambrosetti House che ho coordinato, è certamente più alta rispetto agli altri paesi europei, e molto più bassa rispetto alla media mondiale. La “percezione” della corruzione è invece assai elevata: in pratica ci consideriamo peggio di come siamo.

Se proprio dovesse farlo, quale sistema straniero indicherebbe come più adatto all’Italia?

Per il penale quello inglese, garantista, rapido e pragmatico. Per il civile quello tedesco: lì, a parità di risorse e di pendenze, i procedimenti durano un terzo rispetto ai nostri. Basterebbe copiarlo.

C’è chi pensa che i Tar andrebbero aboliti a causa delle reiterate “compensazioni” con la politica che essi, purtroppo, attraggono nella propria sfera durante o a valle di un giudizio. È d’accordo?

Aboliti ovviamente no, ma riveduti sì. Oggi la Costituzione ammette il ricorso contro ogni atto amministrativo, dalla negazione di una concessione importante fino alla bocciatura di un allievo, e questo li intasa rallentandone l’attività. Vorrei una riforma che dicesse: “La legge indica gli atti contro i quali il ricorso è ammissibile”. Quindi il ricorso sarebbe l’eccezione, non la regola.

Secondo lei perché si parla poco del Consiglio di Stato e quali dovrebbero essere i correttivi da introdurre anche in quell’ambito?

Perché all’opinione pubblica la giustizia amministrativa interessa poco. E invece la sua lentezza ci costa molto anche in termini economici. Per questo andrebbe riveduta. Ma per farlo occorre cambiare la Costituzione.

La famigerata carenza di personale negli uffici giudiziari per quanto tempo ancora potrà essere invocata come concausa dei tempi elefantiaci della giustizia in generale?

Fino a quando non saranno colmati i paurosi vuoti di organico, che peraltro è vecchio di anni, e oggi andrebbe rivisto e implementato. Ma, come ho detto, occorre anche semplificare le procedure e procedere a uno sfoltimento delle leggi che abbiamo.

È soddisfatto della Riforma Cartabia?

Cartabia ha fatto il possibile, per ottenere gli aiuti europei, con il Parlamento che abbiamo. Con il prossimo speriamo di pigiare sull’acceleratore, in senso più garantista e meno burocratico.

Ha in mente un progetto di legge in caso di sua elezione?

Intanto vediamo i risultati delle urne. Poi le mie idee sono quelle dette finora: depenalizzazione, semplificazione delle procedure, attuazione piena del codice Vassalli, revisione della giustizia amministrativa, riduzione delle enormi spese delle intercettazioni inutili convogliando queste risorse al potenziamento delle risorse umane e strutturali, in definitiva l’attuazione del garantismo nel suo duplice significato: la presunzione di innocenza prima della sentenza e la certezza della pena dopo la condanna.

Lei è fuori dal cliché del giudice “di sinistra” e questo la rende credibile a prescindere, tenuto conto dell’ultimo trentennio in particolare attraversato dal Paese. Quanto ha davvero pesato l’egemonia culturale della sinistra nel suo ambito professionale?

Nell’attività giurisdizionale assai poco. La stragrande maggioranza dei giudici nel lavoro è assolutamente imparziale. Spesso colleghi “di sinistra” hanno assolto amministratori “di destra” di cui avevo chiesto la condanna. L’ipoteca politica e culturale conta invece a livello associativo, tra le correnti e di conseguenza al Csm. Per quanto mi riguarda, a parte un conflitto con la Procura di Milano nel lontano 1995 risoltosi con un pareggio davanti al Csm, nessuno mi ha mai dato fastidio.

Infine, domanda irrinunciabile: sono le correnti del Csm a rendere tutto più complicato o è la stessa formazione culturale dei magistrati che determina un certo andamento della giustizia italiana?

La maggioranza dei magistrati, come emerge dalle stesse elezioni, è di orientamento moderato. E anche tra le cosiddette toghe rosse la maggioranza è fatta di persone di grande onestà intellettuale. È il sistema delle correnti che poi ingabbia più o meno tutti in una baratteria di cariche e di compromessi.

Intendiamoci: il correntismo in sé non è un male, è giusto che all’interno di un sindacato vi sia un dibattito tra chi ha idee differenti. È la correntocrazia o “correntopatia” che va sradicata. Io credo nel sorteggio dei membri del Csm, da effettuarsi nell’ambito di un canestro composto di magistrati anziani, docenti universitari e presidenti di ordini forensi. È vero che c’è il rischio che anche i sorteggiati diventino una corrente. In fondo è sempre questione di educazione, indipendenza e sensibilità istituzionale ma quella è come il coraggio: se non ce l’hai, non te la puoi dare.

Leggi anche Cattaneo (Noi Moderati): «Siamo i popolari. E siamo gli unici ad esserlo»

Leggi anche Lucia Albano: «In Fdi sono tutelate le mie idee su famiglia, lavoro e vita»

Leggi anche Palmieri (Fi): «Il voto a Calenda è un voto a scoppio ritardato dato al Pd»

Leggi anche Toccafondi (Iv-Azione): «Proseguire il lavoro sulla scuola per una vera libertà educativa»

Leggi anche Stefania Craxi (Fi): «Mi auguro una legislatura costituente»

Leggi anche Pera: «La riforma della Costituzione è indispensabile e indifferibile»

Exit mobile version