Serpeggia il dubbio: per Biden conta più il voto di midterm o l’equilibrio internazionale?

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden (foto Ansa)

Su Huffington Post Italia Mariano Giustino scrive: «Ankara ha adottato un duplice approccio alla crisi ucraina, da un lato compiacendo i suoi alleati della Nato e dall’altro offrendosi come un’ancora di salvezza per la Russia colpita dalle paralizzanti sanzioni occidentali. E per questa posizione rischia di inimicarsi entrambe le parti. Per un verso sfida Mosca fornendo droni da combattimento all’Ucraina e, per altro verso, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan cerca di aumentare la prospettiva di una cooperazione più profonda con Mosca, cercando abilmente di dirottare in Turchia i capitali degli oligarchi sottoposti a sanzione».

Oggi si tiene l’incontro tra i ministri degli Esteri di Russia e Ucraina organizzato dal ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu ad Antalya, località costiera della Turchia. Tutte le persone di buona volontà, senza dimenticare chi è l’aggredito e chi è l’aggressore, sperano che si trovino le basi per un accordo. Ne guadagnerà qualcosa Erdogan? Non è questo oggi il problema principale.

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Su Atlantico quotidiano Michele Marsonet scrive su un’eventuale mediazione cinese: «E così ci siamo arrivati. L’Occidente, posto che tale termine abbia ancora un senso, si affida al dittatore per fermare un altro dittatore, Vladimir Putin. Siamo piombati in un incubo che sta mettendo a repentaglio il futuro delle nostre società liberaldemocratiche. Gli equilibri dell’ordine mondiale sono ormai sconvolti, e l’ordine nuovo che verrà non sarà certo a nostro favore. Sono trascorsi solo pochi mesi dal summit virtuale convocato da Joe Biden per compattare – almeno in teoria – il fronte dei paesi democratici e per contrastare l’avanzata impetuosa delle autocrazie sul piano globale. Quel summit è fallito, come tutti sappiamo, e ora gli autocrati, trionfanti e ringalluzziti, ci rammentano che la realtà è cambiata in modo radicale. Né è facile prevedere con esattezza il futuro che ci attende».

La vigilanza di Atlantico quotidiano sulla condotta delle democrazie occidentali nel loro impegno per far crescere una civiltà dei diritti nel mondo, è sempre severissima. Talvolta si può cogliere qualche mancanza di realismo in certe loro prese di posizione, ma resta comunque una “vigilanza” preziosa.

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Sulla Zuppa di Porro si scrive: «Ecco perché, mentre procedono le operazioni militari sul campo, l’attenzione occorre focalizzarla anche sui movimenti diplomatici. Putin si tiene in più o meno costante contatto con Olaf Scholz e Emmanuel Macron. Ma dopo le armi spedite in Ucraina e le sanzioni dell’Ue alla Russia, appare difficile che possa essere un leader europeo a mediare tra Kiev e Mosca. Il presidente Zelensky continua a chiedere al cancelliere tedesco di organizzare un incontro diretto con Putin. Soluzione complicata, così come appare ormai tramontato il tentativo di Israele di fare da paciere. Considerato troppo aperto alle “ragioni” di Mosca, il premier Bennett sembra ormai uscito dai radar della diplomazia».

Non manca qualche ragionevole perplessità sul perché Washington non abbia favorito il ruolo di Gerusalemme nella trattativa tra Mosca e Kiev.

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Sul Sussidiario si scrive: «“Ho paura”, dice al Sussidiario Franco Cardini, storico e saggista. “E ho più paura della Nato, di questa Nato, che di Putin”. Per mettere fine a questa guerra, dice Cardini, si deve trattare. “Ma ho l’impressione che all’interno della classe dirigente americana ci siano esponenti tentati dal cercare soluzioni pericolose”».

L’aggressione russa all’Ucraina deve togliere dal campo certe perplessità sulle scelte del fronte occidentale, anche se il dubbio che Joe Biden appaia più interessato alle elezioni di midterm che a ritrovare rapidamente equilibri internazionali ragionevoli e rassicuranti, non può non turbare tutte le persone in buona fede.

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Su Startmag Chiara Rossi scrive: «“Sembrerebbe una sorta di vero e proprio cortocircuito in corso tra Varsavia e Washington”, commenta l’analista militare Aurelio Giansiracusa su Ares Difesa. “Da una parte Varsavia pronta al ‘baratto’, dall’altra Washington che nega di aver dato il via libera a questo scambio”. Secondo l’esperto di Ares Difesa, “probabilmente a Washington non è piaciuto più di tanto l’invito agli altri paesi alleati di disfarsi dei Mig-29 ancora presenti nei loro arsenali perché probabilmente gli Stati Uniti non hanno interesse in questo momento ad una mossa del genere; infatti, possono coprire senza alcuna problema la cessione di due squadroni di Falcon usati alla Polonia e quelle a favore dei paesi alleati”».

La sensazione nello scambio di proposte (e di critiche) tra Washignton e Varsavia, è che gli americani abbiano voluto fare propaganda con l’invio di Mig polacchi all’Ucraina, e la Polonia abbia restituito il favore obbligando gli americani a esporsi nel negare a Kiev gli aerei di combattimento. Se è questo quello che è avvenuto, la sensazione che gli Stati Uniti eccedano nella propaganda in una situazione così delicata, pur senza in alcun modo giustificare l’aggressione russa, ne uscirebbe rafforzata.

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Su Huffington Post Italia Alberto Flores scrive: «Per Joe Biden non è uno schiaffo da poco. Il rifiuto dei leader di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti di parlare con il presidente Usa (rivelato dal Wall Street Journal) dopo che la Casa Bianca aveva annunciato martedì il divieto alle importazioni di petrolio russo negli Stati Uniti, è uno sgarbo che l’amministrazione Usa non aveva messo in conto».

Anche nella penisola araba (in parte in sintonia con Israele), un’altra delle aree tradizionalmente strategicamente rilevante sullo scacchiere internazionale, non mancano le preoccupazioni per quella che appare una linea di comportamento americano non bene definita, più propagandistica che politica. D’altro lato quando la parola passa alle armi, questo è quasi inevitabile.

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Su Huffington Post Italia Angela Mauro scrive: «“Fast track” all’Ucraina per aderire all’Unione Europea, se questo può diventare moneta di scambio utile nella trattativa diplomatica con la Russia. L’ipotesi che solo una settimana fa sembrava lunare plana sul tavolo dei leader Ue che domani e dopodomani ne discutono al Consiglio informale convocato dalla presidenza francese dell’Unione a Versailles. A dispetto dei rumors della vigilia, il summit non partorirà un altro piano di ripresa e resilienza dovuto alla guerra».

Nei prossimi giorni molta attenzione sarà rivolta alle mosse “concerete” che attuerà l’Unione Europea nel nuovo scenario segnato dalla guerra ucraina.

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Sul Sussidiario intervista a Gustavo Piga che dice: «Il documento di Bruxelles, come ho spiegato prima, è devastante, ma la Commissione europea non deve rispondere agli elettori, che invece hanno scelto i leader che devono esprimersi nel Consiglio europeo con pareri non tecnici, ma politici. Devono quindi prendere una posizione che rappresenti il benessere della collettività. Spero quindi che a Versailles non si discuta del documento della Commissione, ma si dica politicamente cos’è importante per questo continente che può esprimere dei valori di pace fondamentali per il pianeta».

Non so se le preoccupazioni di Piga siano completamente giustificate, è difficile però che le scelte che si definiranno a Versailles possano essere coperte dalla retorica che soprattutto nel recente passato ha quasi sempre velato il senso (o il non senso) delle mosse che assumeva l’Unione Europea.

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Su Affaritaliani Alberto Maggi scrive: «Italia grande assente sul piano europeo e internazionale. Non c’è niente da fare, passano i giorni, la guerra scatenata da Vladimir Putin in Ucraina non si ferma e il nostro paese resta ai margini dei fragili tentativi diplomatici per fermare il conflitto».

Non avere eletto Mario Draghi presidente della Repubblica non solo ha indebolito il presidente del Consiglio in carica, ma anche il ruolo internazionale dell’Italia che avrebbe potuto contare solo grazie a un gioco tra un Quirinale “garante” e un Palazzo Chigi più responsabilmente politico.

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Su Affaritaliani Fausto Bertinotti dice: «L’unica possibilità per fermare questa tragedia, per fermare la guerra, sono le trattative per arrivare alla pace. Che non è una poesia, ma un’ipotesi realistica. Tutte le altre opzioni tradiscono la realtà dei fatti e sono un riflesso incondizionato del partito della guerra. Il primo responsabile è sicuramente Vladimir Putin, che ha deciso l’invasione dell’Ucraina, ma questa verità non può e non deve oscurare le colpe di altri soggetti, ad esempio la Nato. Nel momento in cui si cerca di uscire dal conflitto e di arrivare alla pace occorre ricordare la responsabilità principale, ma anche quelle secondarie».

Molte delle considerazioni di Bertinotti sono condivisibili, mancano però del realismo che un tempo aveva la sinistra italiana, anche quella legata a Mosca: oggi è impossibile affrontare una pur sacrosanta e benedetta trattativa per la pace e la sicurezza europea, senza armare gli ucraini e senza sanzionare gli aggressori russi.

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